Racconti fiumani tra fantasia e realtà. Hartera rocks!

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Racconti fiumani tra fantasia e realtà. Hartera rocks!
Foto: Roni Brmalj

“Pavel, metti via questa telecamera… mi hai stufato… sto andando in bagno…”. Ripose l’apparecchio di piccole dimensioni, che maneggiava abilmente con una mano. Da quando erano partiti dalla Polonia per andare a suonare al Dark Circle Festival a Fiume, cercava di immortalare in modo quasi ossessivo ogni attimo. Voleva realizzare un cortometraggio da presentare come lavoro di laurea per la triennale in Video Design e Film-making e raccontare la vita di una rock band in tournée. Per pagarsi gli studi, faceva il tecnico del suono per un gruppo di amici che avevano raggiunto un discreto successo nel mondo dell’underground metal. Ripose con cura il suo prezioso attrezzo del mestiere, la chiave di un futuro glorioso. Era sicuro di avere del talento e che sarebbe diventato un regista importante come il suo idolo Rob Zombie, autore di film dell’orrore dai colori e dalle musiche particolari.
Avevano viaggiato tutta la notte ed erano in dirittura d’arrivo, sulla superstrada che porta direttamente al centro di Fiume. I colori dell’alba si riflettevano su quello specchio di mare che gli appariva come un grande lago, incorniciato da verdi montagne e isole. Era sorpreso da tanta bellezza. Il tour-bus era ancora immerso nel silenzio e quasi tutti dormivano. Lui invece aspettava, pronto a riprendere il momento del risveglio, la parte che trovava più divertente e autentica della giornata. Quei ragazzi, che la sera si trasformavano con abito e trucco in una specie di supereroi del rock satanico, gli ricordavano dei pulcini smarriti.
Dopo una ventina di minuti, il bus si infilò in una strada stretta che costeggiava un fiume, non molto ricco d’acqua, ma molto movimentato. Gli edifici che vi si affacciavano erano sempre più degradati. Il concerto era stato organizzato nel complesso della vecchia Cartiera, un luogo molto interessante. Aveva iniziato la sua attività nel lontano 1821 e aveva chiuso i battenti nel 2005 a causa delle conseguenze della guerra nell’ex Jugoslavia, che le fece perdere il suo mercato di riferimento causandone il fallimento. I ragazzi della band erano ancora assonnati e non volevano muovere un dito prima di aver fatto colazione. Mentre aspettavano, Pavel scese dal bus e cominciò a ispezionare il luogo. Ne era affascinato. Si intrufolò negli spazi abbandonati della vecchia Cartiera, o Hartera come la chiamavano, e cercò di carpirne i segreti. Vi trovò poltrone sfondate, vecchi divani, tappeti, materassi, spazzatura di ogni genere. Sembrava una discarica piena di graffiti colorati. Dopo che la fabbrica era stata chiusa, era rimasto poco al suo interno. I ragazzi della città avevano subito approfittato di quegli enormi spazi abbandonati in centro e li avevano trasformati in un luogo di raduno semi-clandestino. Camminando intorno all’edificio si era fermato ad ammirare una finestra trasformata in un’opera di street art molto particolare: rappresentava un bambino intento a lanciare sassi con una fionda contro un enorme vetro rotto (precedentemente) in vari punti. Poi alzò lo sguardo e vide l’altissimo camino, che doveva avere almeno un’ottantina di metri (ne ha 85, nda). Stordito da tutto quello che aveva visto, tornò dalla band.
La sera arrivò rapidamente. I membri del gruppo iniziarono a spalmarsi sul volto quel trucco bianco e nero da blackmetallers in stile norvegese. Volevano sembrare più duri dei duri. Pavel nel frattempo aveva deciso di fare delle riprese particolari. Gli era venuta in mente un’idea. Aveva solo bisogno di un complice di sesso femminile. Si avvicinò a due ragazze che gli sembravano particolarmente brillanti e le convinse ad aiutarlo. Era stato davvero fortunato! Posizionò la sua telecamera, che poteva registrare anche a infrarossi, nell’angolo di uno stanzone enorme e dai soffitti altissimi, in cui fasci di luce bianca spezzavano il buio pesto. Poi collegò il cellulare con dei piccoli altoparlanti e li mise in alcuni punti strategici. Una delle sue passioni erano gli effetti sonori ed era molto bravo. Per fortuna, i suoi compagni di viaggio erano ignari di questa sua abilità. Le ragazze gli servivano per attirare qui i ragazzi della band.
Tornò nel camerino, a cercare gli altri e a gettare la sua esca.
“Ragazzi, qui le ragazze sono pazzesche! Oltre a essere molto belle sono anche molto disponibili e in questo posto ci sono tanti spazi dove appartarsi. Non so se mi spiego…”.
Il suo modo ammiccante di parlare attirò subito la loro attenzione. Volevano anche loro conoscere le ragazze del posto!
Tornò nello stanzone e si preparò. Dopo poco sentì le voci delle sue complici: si stavano avvicinando insieme a uno dei componenti della band. Era uno dei chitarristi. Udiva parole in polacco miste a parole inglesi e croate a cui si aggiungeva anche l’italiano. Era uno strano mix, che per Fiume non era molto insolito, a parte il polacco naturalmente. Le ragazze stavano civettando a volume volutamente alto, per farsi sentire da Pavel sempre più impaziente. Erano arrivati a quella specie di hangar. Helena si staccò dal gruppo e andò in un punto dove il buio era ancora più denso. Con movimenti sensuali, fece finta di togliersi gli abiti. Invitò la sua amica e le due ragazze iniziarono a inscenare un rapporto voluttuoso, di cui lui poteva vedere solo i brevi attimi in cui venivano illuminate da qualche fascio di luce. Báleygr, il suo nome d’arte e uno dei nomi di Odino, era molto interessato e si stava quasi dimenticando della paura che aveva del buio.
“Vieni!”, disse una delle ragazze. Lui non attendeva altro. Mosse subito alcuni passi nella direzione della voce.
“Vieni!”, disse l’altra ragazza. La sua voce, però, gli arrivò da un altro punto. Si fermò. E poi udì di nuovo la voce della prima ragazza che lo chiamava. I suoni provenivano da tutte le direzioni e lui non riusciva a vedere nulla. Era confuso e disorientato.
“Dove? Ragazzeee? Dove siete?”.
Una risata diabolica risuonò all’unisono da tutte le direzioni facendogli gelare il sangue.
“Siamo quiiii! Vieni a prenderci!”.
Il suono di quelle voci sembrava girare intorno a lui, facendogli venire le vertigini. Poi sobbalzò al rumore di un masso caduto dal soffitto o qualcosa del genere. Cercò nella tasca il cellulare, che voleva usare come torcia, ma non trovò nulla. Dovevano averlo preso le ragazze. I fasci di luce bianca che filtravano dall’esterno rendevano impossibile adattarsi alle zone d’ombra. Non sentiva più le ragazze. Era rimasto solo. Un rumore metallico ruppe il silenzio. Sembrava un martello che conficcava dei chiodi in un materiale abbastanza morbido, forse del legno. Poi udì dei passi e dopo un po’ lo stesso suono provenire da un’altra direzione. Cercò di raggiungere la porta da cui era entrato. Strusciava i piedi l’uno contro l’altro per non rischiare di sbilanciarsi e cadere. Il martello risuonò da un punto dalla parte opposta. Era più che mai intenzionato a uscire al più presto da lì. I suoi passi erano sempre più veloci, ma altrettanto incerti. Arrivò al passaggio da cui era arrivato e vi si infilò, anche se all’interno il buio era ancora più denso. Tirò la porta con forza, ma la trovò bloccata! Iniziò a urlare in modo isterico e a battere con i pugni. Sentendo il rumore di chitarre pesanti di uno dei gruppi della serata capì subito che non l’avrebbero mai sentito.
“Hanno inchiodato la porta… E poi le altre due… Che faccio ora…”, pensò.
Si raggomitolò a terra stringendo strette a sé le ginocchia. Doveva riflettere, ma nella sua testa sentiva solo il battito veloce del suo cuore, che non voleva saperne di rallentare. Altri passi, sempre più forti, sempre più vicini, echeggiarono in quello spazio rimbalzando dalle enormi finestre rotte. Poi un’altra gelida risata, un altro tonfo, dei rumori sordi e di nuovo il silenzio. I tre ragazzi ridacchiavano da un punto ben nascosto della sala. A un tratto una luce di torcia li prese alla sprovvista.
“Ragazze, scappiamo. È arrivato qualcuno!”, sussurrò Pavel.
Báleygr alzò lo sguardo rassegnato. L’unica cosa che riusciva a distinguere gli sembrava un mantello svolazzante.
“Ragazzo, che fai qui? È proibito entrare in questa sala. Alzati subito!”.
L’uomo lo stava tirando su con forza e con una torcia puntata dritta in faccia.
“Ma piangi? Sei drogato? Due ceffoni e ti passa tutto!”.
“I-I-I am Báleygr from Ma-ma-leficienter. I p-p-play tonight”.
L’uomo non conosceva l’inglese, ma il nome del gruppo gli era noto e capì di aver fatto centro.
“Drakulić, piacere. Seguimi!”, disse l’uomo alto quasi due metri e dalla voce profonda.
Doveva riportarlo al backstage. Gli mise un braccio intorno alla schiena per sorreggerlo e Báleygr si trovò avvolto in quel singolare mantello nero, soffice e caldo. Provò a divincolarsi, ma la sua presa era molto solida. Grazie alla torcia, arrivarono velocemente in fondo alla sala e si infilarono in un passaggio con una porta, uguale a quella sulla quale si era sfogato con calci e pugni. C’era una sola differenza: era spalancata. Báleygr era talmente convinto di essere prigioniero da non aver nemmeno cercato altre vie d’uscita.
Il signor Drakulić, buttafuori e amico di Marko (l’organizzatore), riportò il chitarrista nel camerino e lo buttò su un divanetto malconcio. Mancavano altri due ragazzi: il batterista e il cantante. Marko cominciava a innervosirsi.
“Conte, torna fuori a cercarli. Tra mezz’ora vanno in scena e non so che fine hanno fatto… Ma sai che ti dona proprio questo mantello!”.
“È in tono con la serata! E tiene lontani i reumatismi”.
Il signor Drakulić alzò un lembo del mantello, se lo portò davanti al volto, si girò all’improvviso e uscì dalla stanza. Marko non si trattenne più e rise fragorosamente. Báleygr lo guardò in cerca di spiegazioni.
“Si chiama Drakulić e gli piace giocare a fare il conte Dracula. Ma è innocuo”.
Gli porse una birra ghiacciata e uscì ad accertarsi che tutto procedesse bene. Dopo una decina di minuti, Drakulić tornò al camerino e dal suo mantello sbucarono i due musicisti mancanti, pallidi come Báleygr. Nessuno dei tre spiaccicò una parola.
“Forza. Tocca a voi!”, disse Marko e accompagnò i musicisti al punto di accesso al palco. Si spensero le luci, il fumo di scena rese l’aria satura e dall’odore dolciastro. Senza farsi notare ognuno prese la propria posizione con lo strumento in mano. L’ultimo a salire fu il cantante accolto da luci stroboscopiche e da una melodia perfetta per una messa satanica. Erano tutti vestiti di nero, coperti da tatuaggi e truccati in modo da far paura. Un urlo bestiale diede inizio all’esibizione. Quando la nebbia si diradò, poterono vedere il loro pubblico in faccia. Sembravano apprezzare molto. Nella scena underground i Maleficienter avevano un posto di tutto rispetto e non capitava spesso di avere gruppi famosi in città. Il cantante fece un cenno a Pavel di alzare i monitor, in modo da sentire meglio i suoi compagni, ma nel farlo notò anche che non era da solo. Riconobbe le due ragazze! Lanciò un urlo e fece il cenno di lasciare il palco. Il chitarrista lo fermò (avevano firmato un contratto molto vincolante!) e continuò a cantare. Il canto gutturale si fece più aggressivo e con dei gesti a ritmo di musica sembrò puntare il dito contro Pavel.
Le due ragazze scoppiarono a ridere. Helena si avvicinò all’orecchio di Pavel: “Ma il testo di questa canzone non era un po’ diverso? Non ha appena detto: @#$!!%&! ÷ø!! Se ti prendo ti faccio &$%£^&!!!! Brutto %”&%$@# me la pagherai £$/&%$”^@#!!!!!”.
“Sì”, rispose lui. “Mi sa che siamo stati scoperti”. E le fece l’occhiolino.
Ed è così che il gruppo cambiò tecnico del suono, ma in compenso Pavel realizzò un ottimo cortometraggio per il quale ottenne la lode. Lo intitolò: “Sotto alla maschera”. Parlava di quanto l’apparenza possa essere diversa dalla realtà. Partiva dall’esibizione dei Maleficienter alla Cartiera fiumana. Quei ragazzi sul palco sembravano l’incarnazione del male, esseri intoccabili ricoperti da pitture rituali e sangue. Vi infilò scene girate nei meandri della fabbrica abbandonata, mentre frignavano, vittime del suo scherzo, e quelle di loro, appena svegli, in cerca di merendine e altre situazioni da ragazzi normalissimi. Il video diede al gruppo una popolarità inaspettata sul web. Da un lato diventarono la barzelletta del black metal, ma questo apparire teneri unito al look duro da rock star, li rese molto popolari tra il pubblico femminile. Alla fine ci guadagnarono e perdonarono il loro amico Pavel, che per loro realizzò diversi video musicali.

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