Manzoni e Tommaseo. Curare e far crescere la lingua

Si è tenuta presso la sede dell'IRCI di Trieste una conferenza organizzata dalla Società Dante Alighieri del capoluogo giuliano curata dalla professoressa Francesca Favaro

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Manzoni e Tommaseo. Curare e far crescere la lingua
Francesca Favaro e Fulvio Salimbeni. Foto: ROSSANA POLETTI

“Manzoni e Tommaseo e la ricerca delle radici” è il titolo di un incontro tenutosi nella sede dell’IRCI a cura della Società Dante Alighieri di Trieste.

Mettiamo subito in chiaro, le radici di cui si parla nel titolo di questa interessante conversazione della prof.ssa Francesca Favaro non sono quelle che vengono immediatamente alla mente, la ricerca di una lontana appartenenza e il suo radicamento, quando pensiamo a due personaggi che ebbero a cuore la costruzione dell’Italia. Il prof. Fulvio Salimbeni ha premesso che Manzoni e Tommaseo si conobbero e mantennero rapporti costanti. Il nostro dalmata era stato mandato in esilio nel 1849 dagli austriaci, perché protagonista risorgimentale dell’insurrezione di Venezia e, liberato, continuò poi nei suoi studi letterari, rimanendo impegnato sul piano politico fino alla morte avvenuta nel 1872.
La prof.ssa Favaro ha raccontato in premessa che le radici che accomunavano entrambi sono quelle della parola, non solo affini alla scrittura creativa, ma anche attraverso gli strumenti dei dizionari, che contribuissero alla diffusione di un idioma condiviso e identitario, nella ricerca dentro la lingua, nelle sue ramificazioni della cultura e dell’appartenenza ad un popolo. “Manzoni fu un appassionato di tre temi centrali, famiglia, natura e versi – ha ricordato. Il terreno che i due letterati volevano dissodare e ripulire era proprio il terreno della lingua, da crescere, curare ed emendare. Se all’inizio un giovane Tommaseo si era mostrato con rispetto e devozione a Manzoni, successivamente lasciò emergere qualche frizione sul terreno delle parole, in quanto i due batterono strade diverse: verso una lingua più popolare il gran lombardo, quando invece il dalmata interpretava la prosa con maggiore enfasi”.
L’attenzione della prof.ssa Favaro si è poi concentrata su una parola specifica del romanzo “I promessi sposi”, che il Tommaseo non mancò di commentare: il fiore che non compare spesso nel racconto, usato più frequentemente come riferimento a figure femminili, Lucia, Gertrude e la madre di Cecilia. “Nella parola generale Manzoni vuole attribuire un valore emotivo sentimentale da associare a questi importanti personaggi di donne – ha affermato. Al Tommaseo interessa Gertrude, nel suo dizionario dei Sinonimi e Contrari si trova la parola “sfiorita” descritta con grande somiglianza verso le espressioni usate dal Manzoni per descrivere la bella giovane donna, che il destino ha invecchiato precocemente. E a questa descrizione il Tommaseo risponderà con un aggettivo: divino”. Ma non sarà sempre così tenero.

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