Pola. Una riva per pescare con… divieto

Per praticare l’attività è necessario il permesso della Capitaneria di porto, che però non ne ha emessi nemmeno uno. Dopo la costruzione del collettore l’acqua è più pulita, ma non propriamente eccellente

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Pola. Una riva per pescare con… divieto
Il sole brucia, ma all’amo il pesce morde. Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Pola ne ha di coste adatte alla pesca con canna e che non sono invase dai teli da spiaggia piazzati da una miriade di bagnanti. C’è posto per tutti. Ma ci sono tanti, mai tanti come ora, che si piazzano lungo la banchina del porto polese, a pochi metri l’uno dall’altro, in certi punti – evidentemente dove le acque della riva sono più profonde e più popolate dal pesce – appiccicati l’uno all’altro, muniti di lenza e in attesa che qualcosa abbocchi. Cosa? Cefali in primis, minutaglia sicuramente, ma persino orate e branzini, come pure salpe, di cui gli esperti in ittica segnalano il ritorno nelle acque portuali che, dopo la costruzione del nuovo collettore della canalizzazione, sono tornate a mostrare un’immagine discretamente più limpida. Diciamo che prendere una bella orata nel porto e pescarne una in mare aperto non è proprio la stessa cosa e che l’inquinamento comunque, anche se in quantità differenti, è presente un po’ ovunque. Ma c’è un “piccolo” particolare che stona. La pesca al comodo nel porto di Pola è attività proibita. Lo attestano anche le tabelle piazzate nelle vicinanze della Capitaneria di porto, ma c’è chi non si cura delle ordinanze che impediscono di praticare la cattura e d’altra parte sembra non esserci alcuno a controllare e, tanto meno, a comminare sanzioni. Stando alle norme dettate e comunicate a suo tempo dal Ministero del Mare, traffico e infrastrutture e al Regolamento della Capitaneria di porto di Pola (che per gli abusivi prevede multe da 500 a 10.000 kune, convertite in euro) l’attività ittica può venire concessa in determinate zone dell’insenatura portuale e in via eccezionale, soltanto su permesso della stessa Capitaneria. Cosa che però non si pratica. Si denota tra l’altro la nonchalce di questa fattispecie di pescatori che popolano la riva anche in piena battuta di sole, con cappello di paglia o berrettino a visiera, safari o da surf, rigorosamente in bermuda, che poi scappano quando il sudore e il cervello finiscono in ebollizione, dimenticando la bottiglia vuota di birra, il cartone della pizza, il sacchetto della merendina che vola altrove… Un poco di microrifiuti sono niente in confronto alle acque di scarico che una volta uscivano dalle cloache portuali. Cosa capita dopo che hanno esercitato la pesca abusivamente? Qualcuno, che forse vive in condizioni di indigenza, avrà procacciato la cena a rischio di malanni per la calura. Magari sarà riuscito a tirare a campare, mettendo in piatto pietanze altrimenti offerte a prezzi proibitivi e da ristoranti di lusso. E non dà fastidio nemmeno la sensazione dei possibili residui che potrebbero essere ingeriti dai pesci. La struttura portuale non è del tutto aperta. Potrebbe esserci ristagno di sostanze inquinanti, forse lasciate da navi e imbarcazioni che durante la stagione estiva vanno e vengono, forse scaricando olio e carburanti e poi si aggiungono pure i movimenti del diporto. Nessuno può negare nemmeno il fatto che il bottino estratto dalle acque portuali non finisca per arricchire l’offerta dei banconi della pescheria di Pola.

Vietato pescare, però…
Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Sia come sia, quello di Pola è un luogo di traffico e di lavoro e come tale andrebbe considerato e rispettato, vissuto con decoro. Semmai trasformato nella sua parte più settentrionale in punto d’aggregazione, passeggiata e svago, riconosciuto dalla collettività. Ma tutto questo è sempre una chimera, presente eventualmente nei programmi della campagna politica che rimane su carta a odorare di vecchio. Come il pesce rimasto invenduto ai mercati centrali.

Nuvole in giornata. Pesca più facile.
Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

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