Monsignor Mate Uzinić: «Chiesa aperta a tutti»

A tutto tondo con monsignor Mate Uzinić, arcivescovo metropolita dell’Arcidiocesi di Fiume

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Monsignor Mate Uzinić: «Chiesa aperta a tutti»
Foto: RONI BRMALJ

Papa Francesco lo nominò arcivescovo coadiutore nell’Arcidiocesi di Fiume il 4 novembre 2020, quando le aperture dei giornali, le trasmissioni informative in TV, i notiziari alla radio e i media digitali erano monopolizzate dalla pandemia. Nel mondo si faceva il conto delle vittime del Covid-19, che tornavano a crescere anche dalle nostre parti, dopo una sospensione provvisoria e parziale dell’emergenza per consentire di incassare qualcosa dal turismo. Veniva annunciato l’imminente arrivo del vaccino, che nei mesi successivi avrebbe arricchito i notiziari con un nuovo dato, quello delle persone vaccinate che si aggiungeva ai numeri dei contagi, delle guarigioni e dei morti. Fu l’anno del terremoto nella zona di Petrinja, a pochi mesi da quello a Zagabria.

Incontriamo l’arcivescovo Mate Uzinić, in pieno clima natalizio, quando sacro e profano vanno a mescolarsi, a fondersi, ad alternarsi. Sono le giornate in cui si alternano mani caritatevoli e quelle alla ricerca frenetica di oggetti da regalare o da regalarsi. Ci ritorniamo tra poco.

Foto: Goran Kovacic/PIXSELL

La secolarità non è un problema, anzi
A tre anni dall’arrivo, che idea si è fatto della città e della sua gente? È una domanda scontata, per certi versi retorica, ma sappiamo che non lo sarà la risposta.
“Ciò che noi nella Chiesa possiamo notare a Fiume è la secolarità e la pluralità della sua comunità, diversa rispetto a molte altre in Croazia e da quelle in cui ho prestato servizio, dall’Arcidiocesi di Makarska e Spalato, poi a Spalato e successivamente a Ragusa (Dubrovnik). C’è chi la secolarità e la pluralità la vede come un problema. Per me non lo è. Per me è una sfida, un’opportunità per la Chiesa di migliorarsi, di lavorare sulla propria credibilità, proponendo un’interpretazione più autentica nel testimoniare il Vangelo. L’idea di cambiamento non si riferisce a un ritorno alla tradizione nel modo di vivere la cristianità, ma a un ritorno alle origini, un ritorno lì, in una comunità secolare simile a questa, in cui la cristianità dovette farsi strada, presentandosi come la luce, come il sale. Né troppa luce né troppo sale sono gradevoli. Vorremmo essere la spezia per un mondo migliore”.
Mate Uzinić, per il suo atteggiamento, per le sue parole chiare e semplici, ma allo stesso tempo profonde, è un interlocutore richiesto dai media. I suoi messaggi non hanno difficoltà a fare breccia anche tra i non credenti. L’arcivescovo risponde sorridendo, a questa valutazione: “In questo senso ricevo anche molte critiche”. Ne riceve anche Papa Francesco e quindi, non c’è da preoccuparsi più di tanto. Anche il Santo Padre ha dei detrattori, soprattutto tra quei credenti che hanno un legame forte con la tradizione. “Non c’entro io, io non sono importante. Lo è il Vangelo autentico. È gioia”, ha precisato Uzinić.

La Chiesa a sinistra, a destra…
Scomodiamo una volta ancora Papa Francesco che i più conservatori criticano per il suo impegno “di parte” nell’affrontare la questione delle disuguaglianze sociali. È di sinistra? Quando parliamo di sinistra o di destra, tendiamo a confondere i concetti, tra quella ideologica e quella politica. Il ruolo della Chiesa non dovrebbe essere proprio quello di mettersi dalla parte dei più deboli, dei diseredati?
“Sì, dovrebbe esserlo. Lo sottolinea Papa Francesco ed è proprio questo quel ritorno alle origini a cui avevo accennato. È un ritorno a Gesù Cristo che non venne a Gerusalemme tra i potenti, o a Roma tra gli imperatori, bensì in un villaggio sperduto in cui non venne accolto dagli esclusi a cui si rivolse per finire a sua volta da escluso. È con questo atteggiamento che ha sempre voluto includere, non escludere. Insegna anche a noi a fare altrettanto. Le critiche arrivano da chi osserva da un’altra prospettiva in cui non si parte dal Vangelo, ma da altri interessi e da elementi storici che hanno oscurato il messaggio del Vangelo stesso”.

Tabù scardinati
Non cambia la dottrina sul matrimonio, ma anche per le coppie gay ci potrà essere la benedizione in chiesa. Anche se dal Vaticano viene precisato: “evitando, però, che questo gesto di prossimità pastorale contenga elementi anche lontanamente assimilabili a un rito matrimoniale”. Comunque, è una svolta, un’ulteriore apertura da parte di Papa Francesco. Lo stesso Mate Uzinić, in qualche modo, aveva chiesto perdono per il fatto che la Chiesa non sapesse rispondere alle esigenze, al bisogno che può avere una persona omosessuale credente.
“La questione del perdono venne posta da Giovanni Paolo II durante il grande Giubileo. Chiese perdono per gli errori storici commessi dalla Chiesa cattolica. Io ebbi qualche riserva ritenendo che dal nostro punto di vista non avremmo potuto giudicare certi eventi storici e le loro ragioni. È bene chiedere perdono perché tutte le cose buone e quelle che non lo sono state appartengono alla Chiesa di oggi, è la nostra eredità. Possiamo immaginare il mondo senza Gesù Cristo e senza ciò che la cristianità ha rappresentato per la storia del mondo. Ritenevo, tornando sui dubbi a cui ho appena accennato, che anche i fatti negativi, gli errori, fossero nati da intenti originariamente positivi. Ero nel dubbio se chiedere il perdono per cose avvenute e che non possiamo cambiare oppure impegnarsi affinché una Chiesa del futuro non debba chiedere perdono per quella odierna. Penso che allora non sia stato fatto abbastanza in questo senso e oggi Papa Francesco va in questa direzione. Seguendo Benedetto XVI che seppe affrontare il tema dell’abuso nei confronti dei bambini e dei minori nella Chiesa cattolica. Vorrei ricordare il pensiero di Giovanni Paolo II, il quale volle intendere la Chiesa come una casa di vetro attraverso la quale si vede tutto. Questa è l’unica via che la Chiesa può seguire, senza nulla da nascondere, senza segreti. Siamo tutti uomini e talvolta possono succedere delle cose indesiderate. In ogni caso, non le dobbiamo nascondere. Mi riferisco anche all’aspetto finanziario nei confronti del quale la trasparenza auspicata in quanto riduce il rischio di frodi”.
Ecco un pensiero e una spiegazione anche sul messaggio recentissimo di Francesco, da parte dell’arcivescovo Uzinić: “Personalmente riconosco in questo il desiderio della Chiesa cattolica di essere davvero una Chiesa con le porte aperte dove tutti potranno trovare accoglienza e amore. Ciò non cambia l’insegnamento della Chiesa cattolica sul matrimonio, né esso è un sacramento, ma una benedizione che può essere ricevuta da persone che vivono in situazioni ecclesiastiche “irregolari” – ad esempio non sposate, sposate civilmente o conviventi – e che, come si legge nella stessa Dichiarazione, pregano affinché tutto ciò che è vero, buono e umanamente valido nella loro vita e nelle loro relazioni venga arricchito, guarito ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. La fonte della Dichiarazione è il Vangelo, cioè la persona di Gesù Cristo che va incontro a ogni persona, nessuna esclusa, compiendo gesti che scandalizzano chi usa norme e regole per rifiutare e chiudere la porta. Tra i commenti alla Dichiarazione, ho sentito anche che si dimentica che Gesù dice alla donna adultera del vangelo di Giovanni non solo di non condannarla, ma anche di andare e non peccare più. La Lettera del Dicastero per la Dottrina della Fede sull’accesso ai sacramenti, pubblicata di recente, afferma che la frase “non peccare più” non è il messaggio centrale di questa pericope, che è semplicemente un invito a rendersi conto che nessuno può scagliare la prima pietra. Questa Dichiarazione è un appello a non lanciare sassi – come ho sottolineato una volta nel contesto di un altro caso su cui l’opinione pubblica era divisa –, ma a essere vicini a coloro che hanno bisogno della vicinanza di Dio”.

Le vie infinite del digitale
Le tecnologie che ci sono state messe a disposizione ci aiutano a essere molto più informati rispetto al passato, anche informati male, ma assumono un ruolo dominante su tutti, credenti e non.
“Le nuove tecnologie sono anche un dono di Dio e noi cristiani accettiamo ciò che ci aiuta nella comunicazione. Possiamo comunicare con una persona cara che si trova all’altro capo del mondo. Ci si può sentire più vicini. Durante la pandemia abbiamo compreso l’importanza della possibilità di imparare e studiare da remoto. C’è chi si è laureato in questo modo. Abbiamo accesso ai libri digitali e a materiali un tempo inaccessibili. Possiamo portarci dietro un’intera biblioteca, contenuta nel nostro cellulare. È un nuovo mondo. Come ogni altro strumento, può essere utilizzato non solo per fare del bene. Anche una zappa, da strumento di lavoro può diventare un’arma. Le tecnologie consentono anche la diffusione del male, dei nazionalismi, dell’omofobia, del razzismo, del bullismo e altri contenuti che possono portare a gravi conseguenze per chi li subisce. Sono soprattutto i più giovani a esserne maggiormente esposti. Ci vorrebbero dei sistemi per il controllo e per il sanzionamento, anche se le sanzioni non sono una soluzione. Il mondo virtuale influisce sempre di più su quello reale e osserviamo, purtroppo, che stanno tornando quelle forze oscure che credevamo di avere sconfitto per sempre. Sono una minaccia per il mondo reale. I social, comunque, non potranno mai prendere il posto di un incontro reale. Durante la pandemia, però, io stesso ho fatto ricorso alle tecnologie per rimanere vicino alla gente, anche ai terremotati che avevano un grande bisogno di conforto e sostegno. So di averli aiutati”.

Durante la pandemia speravamo di uscirne affacciandoci su un mondo migliore.
“Più che altro, credevamo che la pandemia potesse farci comprendere quanto certe cose siano relative. Usciti dalla pandemia siamo tornati lì dove ci eravamo fermati, pensando agli affari nostri, ai nostri interessi. La pandemia ci ha insegnato, comunque, che non possiamo salvare noi stessi se non salviamo gli altri”.
Empatia selettiva
I conflitti e la povertà hanno come conseguenza un flusso continuo di migranti. L’Arcidiocesi con la Caritas, la Città, la Croce rossa e altre organizzazioni, hanno fatto sì che Fiume offrisse un minimo di ospitalità ai migranti in transito. Osservando i social, scopriamo che esiste la solidarietà emergenziale che, però, è spesso selettiva. Non siamo disposti ad accogliere con la stessa empatia chi arriva, per esempio, dall’Afghanistan e chi è fuggito dall’Ucraina. In fondo, siamo tutti discendenti di migranti.
“La selettività è un problema. Sono dei nostri o dei loro? A Fiume siamo riusciti a fare qualcosa. Noi abbiamo agito da cristiani, facendo ciò che avrebbe fatto Gesù Cristo. Egli è di tutti. Dio non ha Nazione. È israeliano, palestinese, afghano, ucraino, serbo, croato… Noi cristiani dobbiamo agire nello spirito del Buon Samaritano, sempre disposto ad aiutare senza chiedere al bisognoso chi sia e il motivo delle sue condizioni. Siccome ci stiamo rivolgendo ai vostri lettori, agli appartenenti alla comunità italiana, vorrei ricordare che in tanti se ne dovettero andare a causa di circostanze storiche. Anche per questo motivo credo che attraverso le esperienze personali possano comprendere le esigenze dei migranti che, possiamo esserne certi, continueranno ad arrivare a causa delle guerre, delle diseguaglianze, dei cambiamenti climatici. Ci sono luoghi nel mondo poco ospitali e la colpa non è di chi ci vive, ma di tutti, in particolare di noi che viviamo in un contesto di benessere e che abbiamo delle responsabilità per molte cose che avvengono nel mondo. A Fiume abbiamo compiuto un passo importante istituendo il punto di accoglienza. Per intenderci, non abbiamo creato condizioni ideali, ma abbiamo fatto vedere il nostro lato umano”.

Gente solo di passaggio
Ne sono passati a migliaia, diretti prevalentemente verso il Nord Europa. Si tratta di migranti, in prevalenza giovani, in cerca di lavoro. Rimangono per pochi giorni e se ne vanno.
“Mi sono chiesto perché tutta questa gente arriva e se ne va, senza dimostrare alcun interesse per rimanere qui. Dall’altra parte, la nostra gente se ne va a lavorare e a vivere all’estero, una scelta legittima, per intenderci. In sostanza, tra gli uni e gli altri non vi è una grande differenza. Ognuno tende a una vita migliore. Dovremmo chiederci perché i nostri giovani cercano una vita migliore altrove. In molti non ce la faranno. Non riesco a comprendere il clima che è venuto a crearsi qui da noi. Ritengo che anche qui si possa vivere bene con tutte le condizioni per poterci sentire realizzati. Ritorno alla domanda che mi sono posto in precedenza. Perché quelli che arrivano da lontano non si fermano. Cos’è che ci manca? Il centro che abbiamo allestito ha un valore particolare perché vi hanno contribuito tutti, non solo volontari cattolici. In occasione del Giovedì Santo avevo invitato 12 volontari, non tutti cattolici, e c’è stato qualcuno che me l’ha fatto notare. Ho risposto che li ho invitati non come credenti, ma come volontari. Delle volte ho difficoltà a spiegarlo”.

Il significato, vero, del Natale
C’è l’avvento degli Avventi in tutte le città con mercatini, vin brûlé, hamburger, concerti all’aperto. Non andiamo nemmeno a commentare ciò che incontriamo nei centri commerciali.
“Se ci riferiamo all’Avvento, ammetto che vi trovo anche degli aspetti positivi. È qualcosa che ci induce a uscire di casa e a farci incontrare altra gente. Possiamo bere insieme il vin brûlé e mangiare la salsiccia. È un bene, non tanto per ciò che consumiamo, ma per il fatto che lo facciamo insieme. Anche i doni che ci premuriamo a distribuire hanno in sé anche il valore simbolico di Dio che dona sé stesso. Anche il dono ci unisce. Papa Francesco ha espresso un pensiero sul modo in cui dare l’elemosina al mendicante. Non lo si fa dall’alto per poi andarsene appagati dal fatto di averlo fatto. Anche il mendicante va guardato negli occhi. A Roma ci sono tantissimi mendicanti e tanti nascondono il volto, vergognandosi della propria condizione. A Natale questo incontro deve avvenire, al di là del divertimento”.

La sede dell’Arcidiocesi a Fiume.
Foto: Goran Kovacic/PIXSELL

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