Radin: «Essere pochi non significa essere piccoli»

Mondo scuola. L'intervento del vicepresidente del Sabor e deputato della CNI, Furio Radin

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Radin: «Essere pochi non significa essere piccoli»
Furio Radin durante la sessione dell’Assemblea UI a Sissano. Foto: Goran Žiković

“Per comprendere il senso, e la responsabilità delle scuole, e di conseguenza degli operatori scolastici, è fondamentale realizzare che la società, non molto tempo fa, con la rivoluzione industriale, si rese conto che servivano molti più lavoratori con un’istruzione più qualificata. Così, gradualmente, ma anche velocemente i tre anni obbligatori passarono a cinque con tre anni in più per le classi più privilegiate. Poi, divennero sempre più frequenti le iscrizioni alle scuole superiori, tecniche, scientifiche ma anche generali e, con il passare dei decenni le scuole superiori e le università divennero sempre più accessibili”, si legge nella parte iniziale dell’introduzione del discorso che il vicepresidente del Sabor e deputato della Comunità Nazionale Italiana al Parlamento croato, Furio Radin, ha preparato con l’intenzione di leggerlo durante la seduta tematica dell’Assemblea dell’Unione Italiana dedicata al mondo della scuola. Mercoledì scorso a Sissano, però, Radin, ha ritenuto più utile trattare altri argomenti, ricollegandosi agli interventi fatti da alcuni consiglieri dell’Assemblea dell’UI e da altri relatori che lo hanno preceduto al microfono durante i lavori dell’assise.
Il discorso istituzionale del vicepresidente del Parlamento di uno Stato membro dell’Unione europea e della NATO, tuttavia, è un documento importante, specie per una Comunità nazionale, tanto più quando tratta un argomento strategico per le sorti della medesima (la scuola), ponendolo nel contesto dei temi di attualità sullo scacchiere internazionale. Sarebbe stato un peccato se il discorso di Radin fosse rimasto celato in un archivio, nell’attesa di essere recuperato, forse, un giorno da qualche storico impegnato in qualche ricerca. Siamo andati dunque a recuperarlo con l’intenzione di condividerlo con i nostri lettori.
“Parallelamente – prosegue Radin nell’introduzione del suo discorso –, si manifestò un altro fenomeno, venutosi a creare in questo lasso di tempo in cui gli individui non erano più bambini, ma neanche economicamente emancipati, oppure pauperizzazioni e lasciati a loro stessi. Questo periodo, destinato a prolungarsi con gli anni che passavano, e non è ancora concluso a tutti gli effetti, in cui non sei più bambino, ma neanche adulto, se con questa accezione definiamo questo stadio di età. E così nacque, perché si sviluppò davanti agli occhi dei nostri padri, nonni e bisnonni, e dunque è un fenomeno che è nato per alcune contingenze, così si formò la gioventù. Non più come un’età dell’aristocrazia o dell’alta borghesia, ma un fenomeno trasversale”. “I giovani nacquero – ancora Radin – perché la società aveva bisogno della scuola e la scuola diventò un incubatore per una fascia demografica in cui lo sviluppo fisico e psicologico era compiuto, ma non esisteva ancora un’emancipazione economica”. “È chiaro che, ai suoi limiti, il processo si espande anche alla disoccupazione, dovuto o voluta, tanto che non è difficile trovare ‘giovinastri’ di quarant’anni che si fanno ancora mantenere dai genitori. Il principio è però, quello di una correlazione tra scuola e ‘najčitanijih’ (più eruditi, nda) della gioventù, il che pone l’istituzione scolastica a un livello sociale ben più ampio di quello dell’istruzione e dell’educazione”, ha scritto il vicepresidente del Parlamento di Zagabria.
“Tutto questo per dire che alcuni problemi, che vengono a crearsi nelle istituzioni scolastiche, nella fattispecie quelle etniche, sono importanti, ma non esclusivi”, ha puntualizzato Radin. “Dobbiamo infatti chiederci – ha rilevato – in che misura formiamo innanzitutto uomini, poi italiani e infine se ce la mettiamo proprio tutta in questa missione. Perché di missione, e non di professione, cari amici connazionali, si tratta. In un mondo sull’orlo della catastrofe dobbiamo guardare tutto, i fenomeni etnici, ma anche quelle grandi, in quanto persone, a prescindere dalla nazionalità. Non mi esprimerei in questo modo se non ci trovassimo sull’orlo di una, speriamo evitabile, apocalisse, nel senso laico e concreto del termine, e non traslato e simbolico”.
“Voi mi chiederete, cosa possiamo fare, noi, e in questo caso tutti noi, che non abbiamo gli strumenti per opporci alla pazzia dei grandi, al loro delirio di potere. Niente, è ovvio, ma se ci teniamo uniti, ne guadagneremo in ogni caso, anche se le manie di grandezza non si metteranno in pratica. Capire che l’unità è importante anche quando ti dà soltanto la forza psicologica è fondamentale. Poi, se questo diventa un insegnamento destinato a continuare nella vita, potremo dire di essere tra quelli che la ragione non l’hanno persa, quelli che non si sono guardati l’ombelico, ma negli occhi, anche per mostrare ai giovani che formiamo che questo è l’unico modo per contrapporsi a un mondo sempre meno umano. Grazie, amici docenti per tutto il lavoro che avete fatto finora, continuiamo su questa strada, che è la strada di chi non accetta di essere piccolo soltanto perché è meno numeroso”, ha concluso l’On. Radin.

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