L’INTERVISTA Gianluca Zambrotta: «La Champions il mio unico rimpianto»

Il campione del mondo 2006, ospite della mostra dedicata a Paolo Rossi, si racconta: «Che cosa disse Materazzi a Zidane? Dovreste chiederlo a lui...»

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L’INTERVISTA Gianluca Zambrotta: «La Champions il mio unico rimpianto»
Gianluca Zambrotta. Foto Mauro Bernes

È stato uno dei leader “silenziosi” dell’Italia in quella clamorosa cavalcata al Mondiale 2006, quello del cielo azzurro sopra Berlino. Tutti ricordano il rigore decisivo di Grosso nella finalissima dell’Olympiastdion contro la Francia, i gol dello stesso Grosso e di Del Piero nell’extra time della semifinale con la Germania e il rigore di Totti fuori tempo massimo nel soffertissimo ottavo di finale contro l’Australia. Ma una delle pedine chiave nello scacchiere di Marcello Lippi è stato senza dubbio Gianluca Zambrotta. Magari poco appariscente, però le sue sgroppate sulla fascia destra sono state semplicemente inarrestabili. E non solamente in attacco (suo il gol che ha aperto le marcature nel quarto contro l’Ucraina) perché il suo lavoro è stato preziosissimo anche in fase di ripiegamento. Un terzino completo, uno dei più forti al mondo della sua epoca. È stato inoltre una delle bandiere della Juventus dei primi anni 2000 (oltre 200 presenze in maglia bianconera impreziosite da due scudetti e altrettante Supercoppe italiane), ma ha collezionato trofei anche con Milan e Barcellona.

E non poteva che essere lui l’ospite più atteso della mostra “Paolo Rossi e le leggende del calcio”, inaugurata al Museo Civico (Cubetto) di Fiume. Inondato da richieste di foto e selfie, si è concesso anche ai nostri microfoni per una breve ma piacevole chiacchierata.

È la tua prima volta in Croazia dopo la carriera di calciatore?

“Diversi anni fa siamo stati a Pola ospiti di un evento sempre legato al calcio, ovvero a dei camp per bambini”.

Di cosa ti occupi oggi?

“Sono ambassador della Lega Serie A e della Liga spagnola, nonché vicepresidente del settore tecnico della FIGC per l’Associazione italiana calciatori. Inoltre da questa stagione faccio anche l’opinionista per TV8, una tv in chiaro del gruppo Sky Italia”.

Gianluca Zambrotta e Daro Šimić alla mostra dedicata a Paolo Rossi allestita a Fiume. Foto Goran Žiković

La tua carriera da allenatore è stata piuttosto breve…

“Appena smesso di giocare ho fatto un anno e mezzo a Chiasso, vicino a casa mia a Como, nella seconda divisione svizzera. Ho fatto poi quattro mesi nella Superleague indiana da primo allenatore e un anno da assistente nello staff di Fabio Capello in Cina. Mi è comunque piaciuto il ruolo di allenatore, anche se poi ho intrapreso altre strade”.

Qual è la tua prima immagine del Mondiale 2006?

“Sono due. La prima è il mio gol realizzato contro l’Ucraina nei quarti di finale, la seconda è ovviamente l’ultimo rigore di Grosso che ci ha portati al trionfo”.

Ci credevate di poter andare fino in fondo alla vigilia del torneo?

“Era un momento complicato perché arrivavamo da Calciopoli ed era quindi una situazione di grande pressione. Però siamo stati bravi tutti quanti, da noi giocatori allo staff tecnico, a cementare il gruppo e a compattare lo spogliatoio. Ed è quello che alla fine ha fatto differenza”.

Che cosa disse Materazzi a Zidane per beccarsi quella famosa testata?

“Bisognerebbe chiederlo al diretto interessato…”.

Hai vissuto in prima persona lo scandalo Calciopoli, tu che proprio in quel periodo eri alla Juve…

“Non voglio parlarne. È una vicenda ormai lontana nel tempo e ho già detto tutto quello che dovevo dire. Non mi piace dover tornare ancora su quell’argomento a distanza di 20 anni”.

Il trofeo a livello di club al quale sei più legato?

“Il primo scudetto con la Juve”.

E il ricordo più bello?

“Due in particolare: l’esordio da professionista con la squadra della mia città, il Como, in Serie B con allenatore Marco Tardelli e poi l’esordio in Serie A col Bari”.

Qualche rimpianto?

“Ho avuto la fortuna di vincere la Coppa del Mondo che è il trofeo più difficile da conquistare. È un po’ il sogno di ogni bambino che inizia a praticare calcio. Il rimpianto può essere magari quello di non aver mai vinto, nonostante avessi giocato in grandi squadre, la Champions League”.

Capitolo Serie A: la corsa scudetto si limiterà a una lotta a due tra Napoli e Inter?

“È ancora presto perché siamo appena a metà stagione. Napoli e Inter sono lanciatissime, è vero, ma l’Atalanta non è lontana e se guardiamo la classifica in questo momento è più una lotta a tre. Ma, ripeto, è ancora lunga essendo il campionato soltanto al giro di boa. Senza contare che le grandi squadre sono impegnate nelle coppe europee e anche quello sarà sicuramente un fattore da tenere in considerazione”.

Il «tuo» Como riuscirà a salvarsi?

“Penso di sì. Sta disputando un buon campionato e tra le squadre in lotta per la salvezza è quello che secondo me esprime il calcio migliore”.

Nelle ultime due edizioni dei Mondiali la Croazia è salita sul podio mentre invece l’Italia non si è nemmeno qualificata: come te lo spieghi?

“Sarà perché i tecnici italiani allenano in Croazia… Battute a parte, la Croazia ha sempre sfornato grandi calciatori nonostante sia un Paese piccolo. È chiaro che l’Italia essendo più grande ha maggiori possibilità di scovare talenti, però è anche vero che la dimensione fisica di un Paese non è necessariamente un fattore determinante. Vedere l’Italia saltare gli ultimi due Mondiali è stata una grande delusione per tutti, ma nel frattempo Spalletti sta iniziando a trovare la quadra e in più con l’allargamento del format a 48 nazionali ci saranno maggiori chance per qualificarci. Nel 2026 l’Italia ci sarà”.

Chi sono i terzini più forti al mondo in questo momento?

“Se devo guardare alla Serie A dico Hernandez sulla sinistra e Dumfries sulla destra”.

E se invece guardi oltre?

“Sempre Hernandez e Dumfries. Direi che i terzini più forti al mondo ce li abbiamo nella nostra Serie A”.

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