«Il vangelo del nemico» non lascia indifferenti

Un turbine di emozioni e di pensieri profondi alla base della nuova produzione del Dramma Italiano, firmata da Roberta Dubac, per la regia di Giulio Settimo

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«Il vangelo del nemico» non lascia indifferenti

I confini spesso li diamo per scontati, considerandoli una barriera necessaria e indispensabile alla nostra sicurezza. Spesso, però, non ci rendiamo conto che non servono a mantenere le distanze dagli altri, ma piuttosto a rinchiuderci in una gabbia dorata di isolamento e paura. Lo spettacolo andato in scena ieri sera nel salone della Filodrammatica, “Il vangelo del nemico” di Roberta Dubac, ha parlato appunto dell’altro lato della medaglia, ovvero di cosa vuol dire erigere una barriera, fisica o mentale, tra noi e il diverso.

“Il vangelo del nemico” racconta la storia recente, il bisogno di giustificare la guerra e la paura identificando (o meno) un nemico o un pericolo esterno. In realtà il nemico rimane evanescente e non si riesce ad identificarlo con precisione. Il militare ubbidisce agli ordini e non si pone troppe domande, ma il civile vuole sapere con esattezza chi bisogna temere. Lo spettacolo si conclude con tale incognita. Il nemico non si sa chi sia. Sappiamo solo che ci portiamo dentro una parte di lui e lo riconosciamo soltanto quando vediamo nell’altro parte di noi stessi.

La pièce ha avuto un impatto decisamente forte sul pubblico, soprattutto in questo momento storico, quando per attraversare un confine abbiamo bisogno di un tampone oppure dobbiamo pagare centinaia di euro di multa. Anche in questo caso la paura (del diverso, ma anche del contagio) la fa da padrone e a essere soggiogati ad essa siamo tutti noi, da entrambe le parti del valico. Mirko Soldano, nei panni del militare, ed Elena Brumini, nei panni del civile, espongono gli argomenti che tutti noi potremmo avere o abbiamo avuto pensando al bisogno o meno di rinchiuderci e di non far passare qualcuno attraverso il nostro Paese.

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