ECONOMIA E DINTORNI Dal risparmio intelligente al price cap

0
ECONOMIA E DINTORNI Dal risparmio intelligente al price cap

Il teorico spirito solidaristico tra i partner dell’Area euro non sarà sufficiente a risolvere il forte impatto negativo del mancato approvvigionamento del prodotto russo. Dopo anni di indifferenza, se non addirittura di atteggiamento snobistico, la Germania sembra aprirsi al credito nei confronti delle proposte italiane per l’istituzione di un tetto europeo al prezzo del gas, in pratica un tardivo ravvedimento sulla linea indicata dal Governo Draghi poco prima che cadesse (poscia, più che il dolor poté il digiuno…). La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non ha ancora definito la proposta di un limite di prezzo per il gas russo, mentre le sanzioni non stanno avendo interamente lo sperato impatto negativo sulla Russia, che ha visto le proprie entrate ridotte in misura irrilevante.

Inviti a tagliare i consumi

Pertanto ogni giorno il cittadino europeo, e italiano in particolare, legge e ascolta proclami sulla necessità di tagliare i consumi energetici pubblici e privati. Il mantra quotidiano è il risparmio intelligente di elettricità attraverso il taglio del 10 per cento dei consumi in termini di megawatt orari (con un calo – teorico – di almeno il 5 per cento nelle ore di punta); si promuove costantemente un tetto ai ricavi delle aziende che producono elettricità a basso costo; si ipotizzano contributi di solidarietà da addebitare ad aziende di combustibili fossili per finanziare i cittadini vulnerabili e le fonti di energia auto-prodotte; le società di servizi energetici quotate devono essere supportate per far fronte alla volatilità dei mercati. Ma i fatti succedutisi in questi sei mesi di guerra testimoniano che l’Europa non ha né forza economica, né omogenea volontà politica per prendere il sopravvento sulla forza della Federazione Russa.

Ulteriori aiuti finanziari a Kiev

L’Europa ha recentemente deliberato di destinare ulteriori cinque miliardi di euro di assistenza macrofinanziaria (altro neologismo per il quale è stato coniato l’acronimo Amf) all’Ucraina come seconda parte del cosiddetto intervento eccezionale per sostenere i bisogni economici del Paese causati dall’invasione russa. È inutile essere ipocriti: il programma di aiuti aggiuntivi continuerà fino a raggiungere dieci miliardi di euro entro la fine del 2022 e sappiamo bene che la gran parte degli aiuti sarà finalizzata all’acquisto di armi, con buona pace di chi crede ancora nella forza del dialogo. Corre l’obbligo precisare che il “contratto” è a rimborso: i fondi vengono pertanto messi a disposizione dell’Ucraina sotto forma di prestiti a lungo termine e a condizioni favorevoli (non meglio specificate), da erogare in un numero di rate non ancora totalmente definite. La linea europea è pertanto chiarissima: armare l’Ucraina anziché promuovere la via diplomatica del disarmo russo.

Le immediate ricadute

Detto ciò, non possiamo sperare che a breve la Russia riprenda a fornirci gas a condizioni favorevoli, e non tanto per un atteggiamento revanscista di Mosca, ma perché noi non vogliamo (o non possiamo) prenderlo. L’elemento di novità è il gradimento tedesco per la proposta italiana del tetto al prezzo massimo del prodotto. Come sempre, nella comprensione di certi complessi fenomeni ci aiuta un esempio: Uniper è la utility tedesca nota alle cronache finanziarie perché salvata dal governo con 10 miliardi di euro fra linee di credito e liquidità diretta tramite interventi in equity; ebbene, la società sta perdendo 100 milioni di euro al giorno nella disperata ricerca sullo spot market di gas alternativo a quello russo.
Saremo ancora più chiari. Lo shortfall (in soldoni: mancato raggiungimento degli obiettivi di fornitura) energetico di Mosca per il sistema energetico tedesco è oggi pari all’80 p.c., dato molto grave con il prezzo del gas a 200 euro al MWh; se portiamo l’analisi ai valori degli ultimi dieci giorni si realizza uno psicodramma: ad appena un mese dal salvataggio, Uniper ha già necessità di altri 4 miliardi di euro, altrimenti il rischio insolvenza sarà reale, bruciando in tempo velocissimo la liquidità pubblica investita. Consideriamo che i consumi di gas naturale in Germania sono calati del 10 p.c. nel periodo estivo, ovvero ancor prima dell’arrivo dei primi freddi; per altro il mercato dei prezzi dei contratti futures energetici a un anno è in salita inarrestabile, definibile quasi strutturale, pertanto insostenibile. Si tratta in sostanza di quanto chi scrive paventava in tempi non sospetti sempre dalle colonne di questa autorevole testata: è il costo per la Germania del mantenimento di un sistema industriale talmente energivoro da aver reso insostituibile il rapporto con la Russia, i cui flussi di prodotto hanno permesso di rendere meno squilibrato un modello incentrato principalmente sull’export, finché i prezzi si sono mantenuti costanti e ragionevoli.

Domande in attesa di risposte

La domanda sorge spontanea: potrà l’Eurozona tenere duro nell’attuale contingenza, con la maggiore potenza così indebolita? La cosa più curiosa è il contrappasso secondo cui mentre la Grecia esce ufficialmente dal regime di vigilanza rafforzata, la Germania deve prendere coscienza dello squilibrio dei propri conti dopo decenni di conclamato “ordine e rigore”.
Il governo europeo e la BCE si attendevano un sostanziale default sovrano di Mosca, per l’impossibilità di onorare il pagamento di cedole e coupon; così non è stato, mentre è proprio la Germania a rischiare una certa forma di insolvenza. Ugualmente molti osservatori europei avevano pronosticato un graduale ridimensionamento per l’indebitata economia cinese, che non avrebbe potuto continuare a correre all’infinito, mentre inaspettatamente dobbiamo prendere atto del momento di forte stagnazione con possibilità di decrescita di quella europea, un vero e proprio Minsky moment.

Minsky moment

A beneficio del lettore, ci corre l’obbligo ricordare che Hyman Philip Minsky è stato un economista statunitense post-keynesiano, noto per la sua teoria dell’instabilità finanziaria e per la percezione delle cause di crisi dei mercati. Nella sua brillante analisi, il Professore sottolinea come un periodo di stabilità incoraggi l’assunzione di rischi, portando verso un periodo di instabilità in cui i rischi si traducono in perdite; tale instabilità costringe i protagonisti della dinamica economica a contrastare i rischi riducendo la leva finanziaria, attendendo il recupero della stabilità per impostare un nuovo ciclo espansivo. Insomma, un crollo improvviso e generale del valore delle attività originato da un’insufficiente disponibilità di energia, con quella posizionata sul mercato (poca o tanta che sia) a prezzi elevatissimi, spesso insostenibili per la logica marginalità industriale.

Lo squilibrio geopolitico

Il governo europeo si trova pertanto a dover gestire, del tutto impreparato, lo sbilanciamento tra i circa 2.000 miliardi di valore economico tedesco e la totale dipendenza da 20 miliardi di dollari di gas russo. Senza i flussi di prodotto e senza i prezzi illo tempore garantiti da Mosca per ogni fornitura, la Germania è alle corde. Ugualmente la ricerca di alternative qualificate è lenta in quanto difficile, nonostante i messaggi rassicuranti di Mario Draghi risalenti a sei mesi fa, né il carbone è più così economico, essendo aumentata la domanda a livelli ipotizzabili solo pochi mesi or sono; rebus sic stantibus, il governo Scholz dovrà ricorrere in fretta al nucleare, con buona pace del suo programma “ambientalistico” più che ambientalista, rischiando un probabile severo atteggiamento dei Verdi, oggi saldamente presenti nell’Esecutivo. Se si dovesse verificare una crisi di governo all’italiana, l’elettorato tedesco potrebbe dare origine a una class action per la psicoterapia collettiva, già in fase di progettazione dopo il macro rialzo del tasso BCE di 75 punti base.
Non possiamo sottacere per altro che il rialzo così deciso, in simili contingenze può dare inizio a una fase di brusco rallentamento della dinamica economica generale europea, ciò che gli accademici anglosassoni definiscono hard landing, né possiamo ignorare che qualcuno potrebbe trarre vantaggio da tali eventi, in particolare USA e Cina (a pensar male si fa peccato?).

Siamo al punto di non ritorno?

È palese che la situazione sta precipitando. La tanto acclamata locomotiva d’Europa vive un momento di grande timore. Tutte le radicate certezze sul rigore formale e sostanziale dei conti pubblici, tutta la fermezza sulla lotta all’inflazione, anche se programmata, tutte le linee guida inderogabili, per la prima volta dopo sei decenni stanno perdendo autorevolezza di fronte a parametri di contagio da default. I mercati sottili tedeschi, olandesi e scandinavi osservano con sgomento e impotenza le posizioni sui futures del gas naturale europeo, saliti di 16 volte dallo scorso anno, tanto che gli osservatori economici delle maggiori società di energia nordeuropee stimano in 1,5 trilioni di euro il valore potenziale di quei derivati. Troviamo sinceramente da irresponsabili l’euforia con la quale i CdA delle Utilities europee stanno salutando le loro performances di Borsa: ricordiamo tutti con rinnovato dolore che solo 13 anni fa Lehman Brothers è crollata portando al disastro 600 miliardi di dollari di titoli derivati. Paradossalmente, oggi il comparto energetico europeo è esposto per quasi 2.000 miliardi e la speculazione internazionale è disposta a pagare tassi di copertura sul rischio pari all’1,5 p.c., il più alto dal 2008 ad oggi. Il 2008 ritorna?

Gli interventi delle ultime ore

Ma evidentemente la Germania è più interessante di altri Paesi nello scacchiere europeo. Da notizie ormai certe provenienti dal Ministero dell’Energia, il governo francese, attraverso la controllata EDF, ha inopinatamente ridotto del 10 p.c. la quantità di energia elettrica per l’Italia, solo pochi mesi dopo la firma del Trattato del Quirinale. E quel 10 p.c. andrà direttamente negli accumulatori tedeschi, con buona pace di noi italiani, sempre pronti alla istituzionalizzazione della solidarietà come valore, contrariamente ad altri partner europei; venerdì 16 settembre scorso la filiale tedesca del colosso petrolifero russo Rosneft è stata posta sotto amministrazione fiduciaria del Regolatore Federale di Berlino, pertanto lo Stato tedesco esercita da alcuni giorni il controllo totale a costo zero della grande raffineria di Schwedt, approfittando del clima sanzionatorio nei confronti della proprietà. Non a caso il ministro dell’Economia Robert Habeck ha detto a chiare lettere che “con l’amministrazione fiduciaria viene contrastata la minaccia alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico”.

Scenario da grande crisi

Pertanto l’Italia non può aspettarsi grandi interventi di generosità dai propri soci. Peraltro la stessa Francia, a causa dell’insostenibilità dei costi energetici, ha autorizzato il taglio della produzione di alluminio per la Dunkerque Aluminium, principale produttrice di alluminio d’Europa; si parla del 22 p.c., quantitativo enorme! Il Ceo di Dunkerque Aluminium ha detto chiaramente in un’intervista alla rete televisiva nazionale France 24 che “il settore delle commodities sta pagando un prezzo molto alto alla crisi energetica; ulteriori tagli significherebbero la perdita di sovranità produttiva per l’Ue”. Scenario apocalittico, si direbbe. Diciamolo senza mezzi termini, la situazione sta precipitando con le modalità tipiche delle grandi crisi della storia: rapidamente e rovinosamente.
Ad majora!

*senior partner di juris consulta-cultura d’impresa

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display