È necessario un ente che coordini

Francesca Adelaide Garufi concluderà a giugno l’incarico di commissario dell’Università Popolare di Trieste. Bisognava fare chiarezza e riportare ordine. L’impasse si sta sbloccando

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È necessario un ente che coordini

Ex prefetto di Trieste dal 2012 al 2016, Francesca Adelaide Garufi è entrata ufficialmente in carica il 19 dicembre scorso come commissario e vi rimarrà fino al 30 giugno 2019. Siciliana, laureata in giurisprudenza, ha lavorato tra l’altro nelle prefetture di Roma, Matera, Arezzo, Manduria (incarico straordinario assunto nel settembre 2017, dopo lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni della criminalità organizzata, ndr), con compiti di responsabilità e sfide di non poco conto. La Regione Basilicata l’ha designata “donna dell’anno 2006”. Con il commissariamento dell’UPT sono stati azzerati tutti gli organi statutari precedentemente in carica. Nella lettera trasmessa all’ente il 18 dicembre, firmata dal presidente della Regione FVG, Massimiliano Fedriga, dal direttore generale per l’Unione europea della Farnesina, Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, e dal prefetto di Trieste, Annapaola Porzio, si spiega che lo scorso 10 dicembre il Nucleo di valutazione ha trasmesso una relazione dell’ente evidenziando che “allo stato gli organismi statutari non sono in grado di assicurare il regolare funzionamento dell’Università Popolare di Trieste e non vi sono margini per azioni, all’interno delle procedure previste dallo statuto, per porre rimedio alla situazione attuale”. La mossa dovrebbe contribuire a normalizzare la situazione in seno all’ente il prima possibile, perché il commissariamento “non è mai un fatto normale. Prima si pone rimedio e meglio è”, fa presente Garufi. La gestione commissariale dovrà assicurare il regolare funzionamento dell’UPT con particolare riferimento ai finanziamenti erogati dal MAECI e dalla Regione FVG, al fine di promuovere iniziative, interventi e attività culturali e didattiche a favore della CNI. Nel palazzo di piazza Ponterosso, sarà coadiuvata da due vice: il commercialista Alessandro Paolini di Udine e la viceprefetto di Trieste, Marzia Baso, dallo scorso 14 novembre già all’opera come componenti del Nucleo di valutazione per approntare un’analisi sullo stato in cui versa l’UPT.

Partiamo con il commissariamento. Se n’è parlato e scritto, indicando diversi motivi per questo provvedimento, con ipotesi anche non supportate da argomenti reali. Chi più autorevole di lei, dunque, a tracciare i motivi esatti del commissariamento dell’Università Popolare di Trieste?

“La causa del perché si è arrivati a una tale situazione è dovuta a un pregresso, che non mi è dato a sapere. Certamente al mio insediamento c’era un evidente situazione d’impasse, d’ingestibilità, per il fatto che i componenti del C.d.A. e il presidente si erano dimessi. Per chiarire la questione, quanto è avvenuto non è una cosa fuori dall’ordinario, avviene anche in altre realtà. Purtroppo quando c’è una situazione di stallo, bisogna intervenire per porre rimedio. Il blocco dell’UPT è stato provocato probabilmente anche da circostanze dettate da alcune problematiche che riguardavano la gestione dell’ente che erano state sottovalutate. Queste sono venute a galla in maniera prepotente nel 2017 e pertanto la leadership della vecchia gestione non ha saputo, non sapeva, come cavarsi d’impaccio. A quel punto gli enti che supportano con i loro finanziamenti l’attività dell’UPT hanno deciso per il Commissariamento”.

Piazza Ponterosso in cui si trova la sede dell’UPT. Foto Željko Jerneić

Quale situazione ha trovato una volta insediatasi?

“All’atto dell’insediamento ho trovato una situazione che effettivamente era di confusione, un arretrato legato al fatto che non era stato chiuso il bilancio del 2017 e vi erano altre vecchie situazioni da sistemate. C’era anche una questione di ritardo già pregresso nell’ordinaria gestione dei fondi che affluiscono all’UPT come da legge, destinate come da progettualità alle comunità nazionali italiane residenti nei territori della ex Jugoslavia. Un insieme di fatti che da subito, insieme con i vicecommissari, uno esponente della Prefettura e l’altro individuato dalla Regione, si è iniziato a guardare analiticamente, analizzando le varie problematiche per cercare di individuare quale ne fosse la causa. C’è stata da parte dell’organo commissariale una piena condivisione degli obiettivi”.

Quali erano questi?

“Gli obiettivi sono presenti nel decreto di commissariamento, e sostanzialmente sono due: riportare un’ordinata gestione dell’andamento dei conti dell’UPT e mettere mano alla revisione dello Statuto. La necessità di riportare a un’ordinata gestione ha comportato una studiata analisi del pregresso, e andando a ricostruire i vari conti, i bilanci degli anni passati, siamo arrivati alla conclusione che nel tempo non è mai stata fatta un’analisi seria e capillare, imprescindibile per ogni ente, relativa ai costi e benefici che avrebbe consentito all’ente di avere un sufficiente standard di vita. Se quest’analisi fosse stata fatta per tempo sarebbe emerso che c’erano, ci sono, alcuni campi nei quali si è sforato il bilancio, nel senso che le risorse accreditate non erano sufficienti a fare vivere in condizioni ottimali l’ente”.

Come si è arrivati agli sforamenti?

“Abbiamo appurato che nel tempo alcune situazioni nella gestione dell’ente, anche per quanto riguarda i corsi fatti dall’UPT per l’elevazione culturale della collettività triestina, non venivano compensati dalle quote associative e, naturalmente, questo creava perdite”.

Perché queste non emergevano?

“Perché i fondi che affluivano all’UPT da parte dello Stato italiano attraverso il Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, finalizzati agli interventi per la riaffermazione della cultura e dell’italianità delle nostre comunità oltre confine, non consentivano, nella parte di quota che veniva attribuita all’ente a titolo di spese di gestione delle iniziative, di vedere chiaramente che c’era una perdita. Vi era un flusso continuo di risorse, che andava a ripianare ammacchi precedenti. Per cui, in assenza si una radiografia dettagliata, anno per anno, non si sono potute riscontrare le mancanze”.

I fondi destinati alla CNI in Croazia e Slovenia venivano utilizzati per fini diversi?

“Bisogna fare chiarezza. I fondi riservati alla CNI non venivano utilizzati per altri scopi. Da questi veniva come da prassi detratta la quota spettante all’UPT per la gestione dei mezzi, il controllo dei conti, delle rendicontazioni, della documentazione e della sua correttezza. Quindi c’è a monte un attività che è assai impegnativa, importante. Purtroppo, e per questo ci troviamo oggi in queste condizioni, non è mai stata fatta un’analisi vera e propria per verificare se c’erano perdite, perché il flusso di denaro continuava a pervenire. Dunque, proprio per questo costante flusso di denaro è stato difficile accorgersi che magari qualche conto non quadrava. C’è poi un altro aspetto da considerare, ossia che alcune progettualità fatte valere sulla legge specifica, nel momento in cui veniva presentata la documentazione questa non era perfettamente in regola, non era aderente al dettato della progettualità, con qualche sforamento delle cifre, con alcune cose che non andavano e che non erano state fatte secondo i crismi previsti dallo Stato italiano. Mi riferisco ad attività per così dire non consone, non perfettamente allineata alle regole stabilite dalla normativa italiana, oppure non perfettamente aderenti all’indirizzo in sede di Comitato di Coordinamento. Nonostante questo, sono state realizzate a beneficio delle comunità, accollandone le spese all’ente, anche se, ripeto, non erano a valere sui fondi appositi della legge. Quindi, come UPT ci si sono accollati dei debiti pur di salvaguardare le progettualità già portate a termine. Abbiamo riscontrato nell’ultimo periodo diversi casi di questo genere. Abbiamo potuto fare queste indagini capillari solamente per i casi più recenti coperti da documentazione e purtroppo non abbiamo potuto ricostruire con precisione tutti i vari passaggi risalendo indietro nel tempo. Se a queste mancanze aggiungiamo l’effettuazione dei corsi fatti sul territorio triestino, dove in qualche circostanza vi è stato un eccesso rispetto al budget assegnato, ecco che si è arrivati a un punto in cui diventava difficile non fare emergere il passivo, che ovviamente dev’essere ripianato”.

Circolano diverse cifre. Possiamo quantificarle?

Francesca Adelaide Garufi. Foto Željko Jerneić

“Siamo ancora in corso di quantificazione, perché l’analisi richiede tempo. Due mesi fa abbiamo approvato il bilancio 2017, che era rimasto in panne, e in questo sono state recepite alcune osservazioni fatte su alcune spese ed entrate da parte degli organi di revisione. Con delle delibere ad hoc si è preso atto dei correttivi. Nell’approvare il consuntivo, si è dato atto che c’era già una situazione di passivo di oltre 300mila euro. Però, poiché una consistente parte di questo debito deriva anche dal meccanismo dell’avere accollato direttamente all’UPT una parte delle passività, è stato necessario coinvolgere gli enti commissarianti per valutare i provvedimenti necessari per rimettere a posto e ripianare questi bilanci. Già il fatto di aver portato ad approvazione il consuntivo 2017 ci ha dato la possibilità di guardare al bilancio 2018”.

Questo a che punto è?

“È in corso avanzato di elaborazione e spero che si possa approvare a breve. Di solito il consuntivo di ogni anno viene fatto entro il giugno-luglio dell’anno successivo, se era in ritardo per il 2017, per il 2018 non sarà così, siamo nei tempi. Il documento serve anche per l’elaborazione di un preventivo di massima per il 2019, anche questo in fase di stesura. Quindi, si sta andando avanti celermente per riportare la situazione alla regolarità, all’ordinarietà dei bilanci, fermo restando che certamente l’ammontare delle perdite che è in corso di elaborazione sulla base del pregresso del 2017 influirà sul bilancio 2018”.

Bisognerà riorganizzare le finanze dell’ente?

“Su tutto l’insieme di questi debiti si sta facendo una riflessione per vedere proprio come riorganizzare le finanze dell’UPT, perché una grossa parte di queste perdite in realtà sono passivi derivati dal fatto che si è dato più di quanto previsto dai canoni di legge a beneficio delle comunità oltre confine. Questa riflessione serve non soltanto a riorganizzare i conti, ma anche per capire quello che si deve evitare in futuro, ovvero dare delle linee di indirizzo di maggiore rigore nell’esame delle progettualità, dei rendiconti, nel comprendere in toto il meccanismo per evitare che tutto questo si riproduca. Se non si comprende questo fatto, la situazione non è destinata a migliorare. Può migliorare esclusivamente solo se si fa un analisi del perché è successo così da prevenirne scenari simili in futuro. Detto questo, nessuno si è intascato soldi, sono stati spesi a beneficio delle comunità”.

Il fatto che nessuno si sia intascato dei soldi è già di per se un aspetto positivo. Ma responsabilità precise sono state individuate? È possibile individuarle? Circolano voci di possibili indagini da parte della magistratura…

“Da quanto mi risulta non vi è assolutamente alcuna indagine in corso. È veramente molto difficile individuare delle responsabilità e non è compito dell’organo commissariale farlo. Noi quello che abbiamo iniziato a fare sui macro aggregati delle perdite, risale più o meno a partire dal 2000, parliamo di quasi 20 anni. Stiamo facendo un esame sui bilanci nella loro totalità ed è quindi difficile andare a reperire le singole voci dei bilanci, ci vorrebbero anni per un analisi del genere. Lo si è fatto ovviamente per gli anni più recenti, ma non si è potuto andare nel dettaglio indietro nel tempo più di tanto. Il flusso continuo del quale ho parlato prima è sempre stato costante negli anni e quindi anche ove c’erano debiti venivano saldati dai fondi successivi e così via. In questi 20 anni sono cambiati numerosi C.d.A., direttori, presidenti, ed è molto difficile andare a recuperare delle responsabilità, perché non c’è stato un produttore unico di un sistema di questo genere, ma c’è stata una gestione di tanti anni, di passaggi di mano in mano, e anche di una poca accuratezza dei C.d.A. di epoche pregresse, dei direttori generali, di comprendere appieno il meccanismo e di instaurare nell’ambito dell’Ente dei meccanismi adeguati di controllo di gestione”.

Ci sono diverse attività rivolte alla minoranza italiana, a carico dell’UPT, che ancora non sono state saldate. A che punto siamo con il saldo dei finanziamenti del 2018?

“È vero ci sono ancora attività che non sono state saldate, perché nello scorso anno l’attività si è un po’ paralizzata. A furia di parlare di crisi dell’ente, con un C.d.A. in bilico, c’è stata una sorta di rallentamento sia nelle attività fatta dall’UPT, sia nei relativi pagamenti da parte del Ministero. Questo rallentamento è stato palese, noi abbiamo rimesso in moto il meccanismo all’inizio dell’anno e molte cose sono state saldate, altre sono ancora in corso perché i progetti sono tanti, i contratti vanno vagliati dal Ministero degli Esteri, c’è un meccanismo che a volte porta via più tempo da parte dell’erogatore. Quando il grosso delle attività è stata contrattualizzata, da settembre in avanti, era proprio il momento critico nel quale si parlava di queste problematiche che erano emerse, c’è stato questo impasse che ha portato al rallentamento di tutta l’UPT. Le ultime tranche dei pagamenti sono in corso di esame da parte del Ministero degli Esteri e a breve verranno sistemate, anche perché dobbiamo lavorare sul preventivo 2019”.

A questo proposito proprio qualche giorni fa l’UPT ha pubblicato il Bando 2019. L’Unione Italiana si è detta fortemente contraria a modalità che non corrispondono alle reali necessità dei connazionali, tanto da chiederne l’annullamento. Perché è stato riproposto il bando, ma soprattutto le limitazioni, ossia l’importo massimo di circa 100mila euro per soggetto proponente. L’annullamento del bando, è una strada percorribile?

“Il bando è tale e quale a quello dello scorso anno, anche perché il commissariamento produce una forma di standby, nel senso che non si possono fare grandi riforme, non si possono sconvolgere le attività perché non è nel DNA dei commissariamenti in generale. I fondi regionali che affluiscono all’UPT sono stati già deliberati dalla Regione, è stato prorogato l’accordo-convenzione degli anni precedenti con valenza triennale, che doveva essere rifatta quest’anno, ma che la Regione ha deciso di mantenere ancora pe un anno per l’effetto del Commissariamento. Già l’assessore Pierpaolo Roberti ha dato giustamente la risposta, se noi come Regione proroghiamo perché c’è il commissario nominato da noi, qual è la motivazione per cambiare tutto? Allora tanto valeva che non si andasse al commissariamento. Allo scoppio del caso UPT, non c’è stata la rivoluzione che magari qualcuno sperava, ma c’è stato il commissariamento ed è quindi chiaro che la Regione ha deciso di prorogare l’accordo del 2016 che scadrebbe a giugno. Io ho condiviso quest’orientamento con gli assessori competenti, perché mi sembrava giusto non fare grossi cambiamenti finché c’è il commissario, che sta lavorando per conto della Regione, oltre che per conto del Ministero degli Esteri, per rimettere a posto i conti, guardare cosa si è verificato, come riparare. Si critica la questione della limitazione a 100mila euro, c’era anche l’anno scorso, e probabilmente è stata voluta per limitare che qualcuno facesse la parte del leone, l’asso pigliatutto. È una dose di ragionevolezza, credo che qualunque bando debba prevedere almeno un tetto, una soglia, una limitazione, per evitare che uno solo prenda tutto. Inoltre, nella normativa regionale non c’è nessuna norma esplicita che preveda di designare l’Unione Italiana come interlocutore, beneficiario, unico. Se poi un domani si vorrà andare in questa direzione, non c’è nessun problema, la Regione è libera di fare come ritiene più opportuno. Ne ho parlato con l’assessore Roberti. Se la Regione vuole un meccanismo diverso, di attribuzione diretta dei fondi attraverso i propri uffici, senza l’intermediazione dell’UPT, è libera di farlo, si cambia la legge regionale ed è fatta”.

Ha qualche notizia in merito, si sta andando in questa direzione?

“È stato presentato un apposito disegno, ma non credo sia stato discusso, di modifica delle modalità che prevede l’istituzione di un ufficio presso la Presidenza della Regione la cui competenza sarebbe proprio quella di occuparsi di questo tema, dei fondi regionali destinati alle comunità italiane nei territori dell’ex Jugoslavia”.

Invece per quanto riguarda i fondi statali, dalla CNI sono sempre più rumorose le voci che chiedono di gestire in maniera diretta i fondi a loro destinati.

“La motivazione per i quali i fondi transitano attraverso l’UPT è che lo Stato non può dare fondi da gestire direttamente all’Unione Italiana, perché si tratta di un ente di diritto privato croato. Credo che ci siano degli ostacoli di ordine giuridico per quanto riguarda i fondi destinati all’estero, anche se risposte più precise a queste domande si riceverebbero dal Ministero degli Esteri. Se a suo tempo il legislatore ha individuato questo meccanismo certamente c’è una ragione, e la regione credo risieda proprio in questo aspetto, ovvero nella difficoltà di attribuire fondi a un ente di diritto privato di uno stato estero, o meglio, per quanto riguarda l’UI di più stati esteri”.

A proposito di Unione Italiana, come giudica la collaborazione con la stessa?

“La collaborazione è positiva, ho parlato diverse volte con la presidenza dell’Unione Italiana, agiamo in accordo perché mi sembra giusto portare al massimo frutto un’attività collaborativa. È chiaro che l’Unione, essendo dall’altra parte del confine, ha un contatto diretto con le comunità, e quindi è obiettivo di entrambi fare il modo che i progetti vengano portati a termine in modo quanto più efficacie possibile. Non vedo motivi di contrasto”.

Se dovesse fare una previsione: i fondi regionali continueranno a passare tramite l’UPT oppure si troverà un altro canale?

“Onestamente, non saprei risponderle. Può darsi che la Regione decida di destinare i fondi attraverso un meccanismo diverso, è una libera scelta, che verrà fatta anche in luce dell’esperienza del commissariamento. Però credo che in linea di principio, quando si è deciso di dare vita ai fondi regionali destinati alle CI nei territori dell’ex Jugoslavia, la scelta di allocare questi attraverso il veicolo UPT sia derivata dall’esigenza di coordinamento. Ad esempio, se si presenta un progetto a valere sui fondi statali non si può riproporre lo stessi per quelli regionali. Ci dev’essere qualcuno che abbia una visione d’insieme, di ragionevolezza, anche di concretezza di verificare che cosa si è fatto con i fondi ricevuti per evitare duplicazioni. Un’esigenza di un maggiore coordinamento tra i fondi di derivazione statale e quelli regionali credo che ci sia, e credo che sia all’origine dell’allocazione di tutti nell’UPT.

Tra qualche mese il commissariamento volgerà al termine. Oltre a riportare ordine nei conti c’è anche il capitolo relativo al nuovo Statuto…

“Il commissariamento è previsto fino al 30 di giugno di quest’anno, salvo proroga che può essere determinata sulla base della revisione di uno Statuto che porti l’insediamento dei nuovi organi statutari. Questo è l’altro versante su cui l’organo commissariale sta lavorando, e ciò la revisione dello Statuto dell’ente, che è uno Statuto antico risalente a tempi passati, con organismi pletorici che in realtà non hanno lavorato, come ad esempio un comitato tecnico scientifico che non si è mai riunito. Mentre oggi gli organismi direttivi sono per la riduzione in funzione della massima economicità, C.d.A. con massimo 5 membri, l’attuale Statuto dell’UPT non è più in linea agli indirizzi di carattere generale, ai principi giuridici ai quali oggi vengono improntate le gestioni degli enti pubblici. Ora, poiché questo commissariamento è stato annoverato tra gli enti a carattere pubblico perché gestisce prioritariamente fondi direttamente derivanti da fondi statali, nell’ambito dell’ottica della finalità pubblica si deve regolare secondo le regole che vigono per tutti quelli che oggi vengono annoverati tra gli enti pubblici e, quindi, anche ad una revisione giusta degli organi statutari. L’organo commissariale presenterà entro i tempi previsti una proposta di un nuovo statuto, un ridimensionamento dell’ossatura dell’ente, che tutto sommato ha un ossatura snella”.

Ha conosciuto la CNI da un’angolatura particolare, le sue impressioni? Conosceva il mondo CNI prima del suo incarico?

 

Francesca Adelaide Garufi. Foto Željko Jerneić

“La conoscevo certamente, anche se non sono mai stata in Croazia. Sono stata più volte in Slovenia, conoscevo gli allora organi italiani presenti in Slovenia, il console, l’ambasciatore Rossella Franchini Sherifis, che frequento tutt’ora. Poi, privatamente, sono stata diverse volte in varie località. È senza ombra di dubbio un valore aggiunto il fatto che ci siano delle comunità così fortemente attaccate alle loro radici, alla lingua italiana, alle loro tradizione, che è un fattore di onore per l’Italia. Si tratta di comunità presenti in territori martoriati dalla storia che meritano tutto il rispetto e sostegno. Ci sono realtà simili nei territori di confine anche in altre parti, ma la CNI è un unicum, nessuna ha un radicamento talmente forte con le proprie radici, come avviene nei territori d’insediamento storico della Comunità nazionale italiana. Non sono giuridicamente italiane, ma lo sono nel loro Dna. È una realtà che è giusto continuare ad alimentare e condivido l’obiettivo di sostenere, anche attraverso un finanziamento, le loro attività. Poi si può anche discutere sulla metodologia, se continuare a fare piccoli progetti per consentire a ogni piccola comunità di sopravvivere, oppure concentrare i finanziamenti su ambizioni di maggiore importanza. Io questo non lo so, bisognerebbe comprendere qual è la metodologia migliore per rafforzare ancora di più il mondo CNI”.

Vi è la possibilità che lei rimanga in un qualche ruolo all’interno dell’UPT?

“Non credo. Il ruolo di un prefetto come me, che è andato in pensione, è un ruolo riparatore di meccanismi che non funzionano. Quando ho concluso la mia attività di prefetto e commissario di governo a Trieste qualche anno fa, durante il mio primo giorno in pensione mi hanno richiamato dandomi l’incarico relativo al commissariamento di una fondazione in Sicilia, poi c’è stata la gestione di un comune complicato e ora questo. Credo che concluso il mio mandato mi godrò la pensione”.

Cosa l’ha convinta ad accettare l’incarico di commissario straordinario all’UPT?

“Indubbiamente sono molto affezionata a questo territorio. Qui, forse anche perché era il mio ultimo incarico prima della pensione, sono stata per più tempo, più di tre anni vissuti a Trieste. Quindi ero già affezionata alla città, conoscevo le sue problematiche, il suo tessuto, la questione dei rimasti, gli esuli sparsi per il mondo, per me non erano tematiche nuove. Sotto questo profilo non mi sono sentita di dire di no, quando il prefetto Porzio me l’ha chiesto, non me lo sono sentita di rispondere negativamente, anche se dopo l’ultimo incarico mi ero ripromessa di godermi la pensione”.

In conclusione che messaggio si sente di dare alla Comunità nazionale italiana in Croazia e Slovenia?

“Voglio tranquillizzarli. La situazione del Commissariamento può avere creato qualche disorientamento, ma non c’è nulla di drammatico, di tragico e irreparabile. C’è una situazione amministrativa che va sistemata, ma non siamo in una situazione di non ritorno. Non voglio sminuire, ma mi sembra che si sia presa una deriva di catastrofismo secondo la quale tutta deve essere portato all’estremo. Non è così, ho visto tante di quelle situazioni disastrate, ma disastrate sul serio, nei comuni, enti, che questa questione dell’UPT rappresenta un fatto minore, molto molto minore. Come Ministero dell’Interno, ho uno spaccato di situazioni che veramente in molte circostanze sono state catastrofiche e dico chiaramente che qui non c’è assolutamente niente di catastrofico. Parliamo di una disorganizzazione amministrativa, che nel tempo ha prodotto una situazione patologica, dalla quale si può tranquillamente uscire senza che ci sia una criminalizzazione o un catastrofismo da dire “oddio scompare un mondo”. Non è così, non è vero, chi lo sostiene avrà dei suoi motivi, altri fini, ma non rispondono alla realtà. C’è da fare un riassetto, e giustamente gli enti che tutelano e vigilano sull’UPT hanno colto l’essenza, hanno optato per il commissariamento per rimettere in sesto l’ente morale. Quindi, in conclusione, la CNI deve sapere che l’aiuto che viene dall’Italia è un aiuto pensato per loro ed è giusto che loro lo sentano come tale. Parlo di loro come individui, come persone, a prescindere dagli incidenti di percorso che sono decisamente banali rispetto a situazioni ben più gravi che avvengono in altri enti. Un piccolo inciampo che verrà rimesso a posto, se poi qualcunoo lo vuole considerare una catastrofe, questo fa parte di una sensibilità personale esasperata. Quello che mi preoccupa di più è la partecipazione nel sentirsi una comunità, perché questo è il presupposto di tutto. Vediamo che le elezioni passano praticamente deserte, se la comunità diserta i luoghi della decisione, alla fine si finisce che sempre gli stessi si presentano e vestono i panni dei depositari, ma poi è inutile stupirsi che la partecipazione si affievolisca. Ci vorrebbe uno sforzo maggiore verso degli obiettivi più alti. Il ruolo collettore svolto dall’Unione Italiana è un ruolo importante, però si dovrebbe cercare, ne ho parlato con Tremul e Corva, di indirizzare le progettualità verso cose di più alto profilo, più ambiziose. Man mano che le persone più anziane che hanno sentito di più il distacco dalla Madre patria non ci saranno più, i loro figli e nipoti, cresciuti nell’Unione europea, continueranno ad essere legati alle proprie radici grazie al finanziamento della decima, undicesima, o non so quale edizione del festival della poesia o della canzone? È questa la soluzione? Nulla contro la poesia o la canzone, ma non sarebbe male pensare anche ad altre possibilità. Il rischio è che con il passare del tempo vadano ad affievolirsi quelle ragioni di radicamento che invece oggi devono essere valorizzate per evitare possibili scenari negativi. Sono quelli i problemi seri, gli scenari drammatici paventati, che poi sarà difficile da risolvere. Questo dell’UPT si risolverà”.

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