
Chi l’avrebbe immaginato di incontrare Luisa Perini Parkes con il marito Mike e i due figli Grace e William, in una calda giornata d’estate in piazza della Borsa a Trieste. Perché la meraviglia? Luisa è figlia di Antonio Perini e Silva Graziella Morgan, andati esuli Oltreoceano negli anni Cinquanta e stabilitisi a Chatham, località della campagna canadese a qualche ora di autostrada da Toronto. Uscita dall’adolescenza, Luisa, come già prima di lei la sorella Cristina fece un viaggio formativo, il cosiddetto “Origini”, che l’Associazione giuliani nel Mondo di Trieste organizza da decenni per promuovere i contatti tra la Regione Friuli Venezia Giulia e i corregionali nel mondo.
In effetti l’iniziativa nacque per favorire le seconde e terze generazioni di giuliani nello stabilire un rapporto con i luoghi d’origine delle famiglie.
“Fu un viaggio meraviglioso – ricorda Luisa – perché eravamo un gruppo di giovani di varie parti del mondo, alcuni parlavano il nostro dialetto o l’italiano, altri lo capivano a malapena, ma le nostre storie di famiglia erano simili. Allora a Trieste c’erano le nonne e i parenti di noi tutti, dove spesso tornavano anche i miei genitori. Ebbi modo di confrontare tutto ciò che erano state fino ad allora le mie dinamiche familiari e ciò che questa esperienza mi stava dando”.
Il viaggio delle “Origini” comprendeva incontri con le istituzioni, dalla regione ai singoli comuni dove i giovani venivano spesso accolti dai consiglieri, dai sindaci e dagli assessori comunali, in alcune edizioni vennero condotti in Istria e a Fiume a conoscere i luoghi dell’esodo, ma anche a incontrare altri giovani nelle partite di calcio.
Ricordi Luisa…? Certo che ricorda. Anni dopo il suo corso “Origini” c’incontrammo a Chatham, dove avevano avuto luogo le manifestazioni in ricordo dei cinquant’anni dell’arrivo in loco degli istriani. Ci aveva colpito il fatto che la città giuliana sembrasse dietro l’angolo, anzi era quasi un’estensione della loro realtà, del quotidiano. La modernità, spesso imputata di aver sconvolto i ritmi della nostra esistenza, in questo caso era stata e continua a esserlo, la salvezza: si comunica via Internet in tempo reale, nell’arco di una giornata si riesce a raggiungere l’Europa, per chi è nato lontano dall’Europa viaggiare è un’abitudine senza l’ansia delle distanze.
È dedicata all’Italia una delle birrerie più frequentate di Chatham con immagini di Venezia e scorci di vita peninsulare, allora, nel 2007, si cantò tutti insieme “Co’ son lontan de ti Trieste mia” con i giovani, i figli degli istriani arrivati cinquant’anni prima, ma anche con le mogli dei primi nati in Canada.
“Provengono da Paesi come la Cechia – ci raccontarono – ma conoscono le nostre canzoni: magia dell’incontro e del rispetto delle reciproche culture di cui spesso manca testimonianza proprio nei nostri territori. Altrove, nei matrimoni misti sovente prevale la lingua del coniuge del gruppo di maggioranza. Qui non c’è una maggioranza – ci dissero con orgoglio –, ma solo uomini liberi in un Paese accogliente”.
Pochi gli Italiani in Canada, che si occupano di politica. Sono rari gli esempi di connazionali che hanno raggiunto i vertici nelle istituzioni del Paese. Lo diceva, a uno degli incontri dei giuliano–dalmati, una parlamentare di origini italiane.
A guardarci intorno, non è solo un fenomeno canadese. Diciamoci la verità, la nostra gente se non è costretta, preferisce prendere altre strade: quelle della cultura, per esempio, dell’insegnamento, o delle professioni che permettono comunque di rimanere vicini alla famiglia. Ed è forse quest’ultima la loro e nostra vera vocazione.
“Non abitiamo vicino a mio padre Antonio – ci confessa Luisa –, ma ci vediamo spesso e siamo costantemente in contatto. Gli piace preparare il sugo per i nipoti ed è tuttora il perno della famiglia. Mia sorella Cristina ha sposato un triestino e quindi a casa loro si parla italiano e il dialetto naturalmente. Mio marito è inglese, quindi parliamo la lingua inglese, ma appena sono arrivata a Trieste quest’estate, ora che i ragazzi sono un po’ più grandi, ho ingaggiato un’insegnante di italiano affinché li seguisse per un mese. È giovane, a loro è piaciuta subito. Li ha portati al market e per prima cosa ha insegnato loro i nomi dei generi di prima necessità. William è orgoglioso di poter chiedere un succo di pesca…”.
Perché per te sono così importanti, la lingua, Trieste?
“Perché io sono di qui, qui sono le miei radici, dei miei genitori che ho sempre sentito parlare il nostro dialetto. Questo è il mio mare, il Carso dove hanno abitato tutti i miei parenti giunti esuli da Capodistria e dal Buiese. A casa mia questi luoghi erano sempre presenti, erano l’identità, il resto era il quotidiano, la vita…, ma mai completamente staccata da questa dimensione”.
I tuoi figli come sentono questa realtà?
“Ora sono piccoli, i loro interessi principali sono lo sport e la scuola, ma lentamente anche loro prenderanno coscienza della loro appartenenza, è inevitabile perché è il mondo dei nonni, degli zii, sia di mia sorella Cristina che di mio fratello Denny. È il nostro mondo ricco di tante cose, la lingua, le tradizioni, il desiderio di conoscere, la nostra cucina, tutto resiste”.
Tu di cosa ti occupi?
“Per qualche anno, finché i figli erano piccoli, ho scelto di fare la mamma a tempo pieno, ora faccio la contabile per la parrocchia e mi trovo molto bene”. La ricordavamo studentessa alle prese con gli esami di economia.
Una scelta di studio consona agli insegnamenti della famiglia, come a dire che, per vivere bene in un Paese, e nel mondo, bisogna innanzitutto conoscere le regole del buon funzionamento delle regole economiche. Non è forse così che si sono fatti strada i giuliano–dalmati, adeguandosi alle logiche produttive del Paese, fornendo soluzioni concrete alle necessità di una società in piena crescita, rimboccandosi le maniche – come avevano sottolineato gli istriani di Chatham al loro Raduno – facendosi rispettare dagli altri?
“Brava gente gli istriani”. L’avevano ripetuto tutti durante quegli incontri, a sottolineare con orgoglio il contributo che sono riusciti a dare alla crescita reale del Paese e questo basta a renderli preziosi per la comunità, appagati a loro volta della strada intrapresa. Lo ricordiamo con Luisa che in quell’occasione era stata l’anima della festa, sempre accanto al padre nell’accoglienza degli ospiti, mediando i discorsi ufficiali, dettando il protocollo.
Ma com’era Chatham all’arrivo della nostra gente?
“Durante il giorno tutta la famiglia lavorava nelle campagne, la sera si studiava l’inglese. Un folto gruppo, principalmente delle zone di Capodistria e Buiese, erano stati destinati ai campi di barbabietole e granturco di Chatham–Kent Essex a sud–ovest di Toronto (oggi, tre ore di autostrada per arrivarci partendo dalla metropoli). Un territorio sereno, con un orizzonte aperto verso il quale si perdono enormi distese coltivate. Intorno alla città, le ciminiere segnano lo sviluppo degli ultimi anni, si producono prodotti alimentari, ma anche carburante dalle pannocchie di granturco.
Il centro è composto da pochi isolati di basse case di mattoni rossi, il municipio, qualche banca e diverse chiese importanti a segnalare la composizione della locale società di cattolici, protestanti e non soltanto. La vita si svolge fuori dal centro, nelle case sparse lungo il fiume Tamigi dalle acque scure per gli scoli agricoli, alle quali si accede da ampi vialetti, giardini, tanti fiori. Quelle degli istriani sono facilmente riconoscibili, tra i fiori e gli altissimi alberi secolari, si scorge un orto, solitamente di modeste dimensioni, ma con ogni ben di Dio: dal radicchio al pomodoro, dai fagiolini agli odori necessari in cucina. È un marchio, un indicatore di provenienza”.
La Lega Istriana di Chatham si è costituita formalmente solo nel 1989, per dare legittimità e maggior spessore a una realtà già esistente. Lontani da casa, gli istriani sono vissuti uniti.
“Ci si incontrava alle scampagnate – aveva raccontato in quell’occasione Dario Zanini – ci si frequentava come se si trattasse di un’unica grande famiglia. I nostri figli sono cresciuti insieme”.
L’esodo è stato uno strappo violento, ma ha anche aperto la strada a nuove possibilità. Dopo cinquant’anni questa consapevolezza era emersa in modo forte. “La civiltà istriana, trapiantata in una terra fertile, ha fatto sbocciare un fiore raro, da coltivare con sapienza” era stato il motto dell’incontro, la legge del ricordo era stata varata da poco, ma aveva portato immediatamente maggiore attenzione delle municipalità, anche Oltreoceano, nei confronti degli esuli. Un fenomeno di cui spesso non si ha consapevolezza in Italia.
Salutiamo Luisa e la sua bella famiglia, ha deciso di visitare altre città italiane, i ragazzi devono immagazzinare immagini, sensazioni, parole, nuovi stimoli.
Mike, il marito di Luisa, si occupa di Energia, ha una posizione al vertice, conosce le dinamiche europee in materia.
“Chissà, magari lo mandano a lavorare da queste parti!”.
È un auspicio, un desiderio, un sogno. Lusia sorride, con gli occhi che parlano, dicono tutto… e ci abbracciamo. Alla prossima.
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