Skansi. Un signore dentro e fuori dal campo

Aco Petrović, Aramis Naglić e Damir Mulaomerović ricordano Petar Skansi. «Perdiamo un gigante del basket. Lascia un vuoto incolmabile»

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Skansi. Un signore dentro e fuori dal campo

Da giocatore vinse praticamente tutto, ma fu da allenatore che entrò nella leggenda trascinando la nazionale croata a quello storico argento a cinque cerchi a Barcellona ‘92 in quell’indimenticabile finale contro Dream Team a stelle e strisce dei vari Jordan, Pippen, Malone e Bird. Una squadra assemblata in fretta e furia dopo il riconoscimento della Croazia da parte del Comitato olimpico internazionale (CIO) e capace subito di stupire il mondo. Petar Skansi si trovò tra le mani una generazione di fenomeni: Dražen Petrović, Velimir Perasović, Danko Cvjetićanin, Toni Kukoč, Vladan Alanović, Franjo Arapović, Žan Tabak, Stojko Vranković, Alan Gregov, Arijan Komazec, Dino Rađa, Aramis Naglić.

Il suo vice in quella straordinaria cavalcata fu Aleksandar Petrović. “Sportivamente parlando, mi sono innamorai di lui nel momento in cui la Jugoslavia vinse l’oro ai Mondiali 1970 a Lubiana, con Pero che si portò a casa anche il titolo di MVP del torneo – racconta Aco –. Nel 1992 fu una corsa contro il tempo nell’allestire la squadra per il preolimpico e dopo per i Giochi. Furono 3-4 mesi vissuti in apnea e quell’argento fu un autentico capolavoro. È vero che quella squadra era già fortissima di suo, ma riuscire ad amalgamare in così poco tempo giocatori che militavano in NBA, Europa e nel campionato croato era tutt’altro che scontato. Lui ci riuscì magistralmente e questo la dice lunga sulle sue qualità di allenatore”.

Aleksandar Petrović.
Foto: RONI BRMALJ

Elegante nei modi, pacato nei toni

Chi lo conosceva bene era il fiumano Aramis Naglić. “Ci eravamo conosciuti ancora prima del mio ingresso in nazionale – ricorda l’attuale allenatore in seconda della Croazia –. È dura trovare le parole in questo momento difficile. Abbiamo perso un gigante della pallacanestro non soltanto croata, bensì anche internazionale, capace di avvicinare intere generazioni al nostro sport. Era un grande signore. Una persona brillante, intelligente, perspicace. Posso assicurare che non era per niente facile gestire il nostro gruppo alle Olimpiadi di Barcellona. Alcuni giocatori avevano un ego spropositato. Eravamo un po’ delle teste calde, ma lui sapeva come prenderci e come farci abbassare la cresta. E anche questa è stata una sua grandissima qualità che tanti apprezzavano. Era elegante nei modi e pacato nei toni, però al tempo stesso era diretto e le cose te le diceva in faccia. Ed era esattamente così anche fuori dal campo. Dal momento che risiedeva a Laurana capitava spesso di incrociarci ed era sempre un piacere scambiarci quattro chiacchiere”.

Aramis Naglić.
Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Guida e punto di riferimento

Damir Mulaomerović appartiene invece a un’altra generazione, ma anche lui ha avuto la fortuna di averlo come allenatore. “Ero legatissimo a lui e non smetterò mai di ringraziarlo. Fu lui a volermi alla Fortitudo Bologna quando ero ancora un ragazzino, in quella che fu la mia prima esperienza all’estero. È stato per me una guida e un punto di riferimento. Mi ha insegnato tanto, in campo e fuori. Come allenatore non era severo, anzi, era sempre molto composto, ma sapeva farsi rispettare. E poi credeva tanto nei giovani e non si faceva problemi a lanciarli nella mischia. Gli piaceva metterli alla prova. L’anno scorso quando la nazionale era stata in ritiro a Fiume ero stato a casa sua a Laurana dove avevamo trascorso una piacevolissima serata. Non ci vedevamo spesso, ma eravamo sempre in contatto. Soprattutto nel momento in cui ho iniziato la carriera da allenatore lo chiamavo spesso per chiedergli consigli e lui era sempre disponibilissimo. Di natura era una persona molto solare, una di quelle che vedevano il bicchiere sempre mezzo pieno, anche negli ultimi anni, malgrado la malattia. Sono ancora scosso. Lascia un vuoto incolmabile”, ha infine aggiunto il selezionatore della nazionale e tecnico dello Cedevita Junior.

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