“Campioni, campioni”, risuonava a Rujevica dopo la vittoria (2-0) ai danni dello Slaven Belupo nell’ultima giornata del girone autunnale della SuperSport HNL. Per la seconda volta nella storia il Rijeka è campione d’inverno, un titolo platonico, ma spesso una specie di prologo per quello che succede poi a maggio. La prima fu nella stagione 2016/17, quella della storica accoppiata campionato-Coppa Croazia. Allora in panchina c’era Matjaž Kek, una delle figure più importanti di quella cavalcata trionfante, colui che rimarrà per sempre nel cuore dei tifosi e nei libri di storia del club fiumano. Ora il condottiero è un altro tecnico straniero, Radomir Đalović: nazionalità e cittadinanza montenegrina, Fiume e il Rijeka nel cuore. E con uno spiccato senso del dovere e di gratitudine, due virtù sempre meno diffuse nel mondo in cui viviamo oggi. Un esempio? In occasione della vergognosa “fuga” di Sergej Jakirović alla Dinamo l’unico dello staff tecnico che rifiutò di seguire il 48enne di Mostar al Maksimir fu proprio Đalović. “Il Rijeka mi ha dato tanto, non posso andarmene così. Non sarebbe corretto”, disse. Venne “ricompensato” con il ruolo di vice di Željko Sopić e poi, dopo il suo discusso esonero, fu promosso ad allenatore capo. Un po’ a sorpresa e con parecchie perplessità in merito, ma meritatamente. Oggi, quattro mesi e mezzo dopo, si gode i frutti del suo lavoro.
“È bellissimo poter guardare tutti dall’alto dopo un girone autunnale straordinario, senza nemmeno una sconfitta. Faccio ancora una volta i complimenti ai miei ragazzi, se lo sono meritati eccome. Hanno dimostrato qualità tecnica, ma anche attaccamento alla maglia e carattere. Abbiamo chiuso il 2024 in modo trionfale, però nel nuovo anno dovremo essere ancora migliori per poter realizzare i nostri obiettivi. Non sarà per nulla facile mantenerci a questi livelli e rimanere in vetta”.
C’è un segreto di questo successo a metà stagione?
“Forse l’atmosfera famigliare che regna in seno e intorno al Rijeka. D’altronde il nostro presidente l’ha spesso sottolineato. Contro lo Slaven, ad esempio, abbiamo avuto modo di vedere Majstorović e Gojak cantare con i tifosi. Le altre società hanno un bilancio superiore e maggiori attese, noi invece cerchiamo di compensare il tutto creando all’interno un gruppo sano, nel quale ogni singolo giocatore si sentirà apprezzato e stimato. Poi è ovvio che in tal contesto anche gli stessi giocatori cercheranno di dare il massimo”.
In 18 partite di campionato, più le due di Coppa, il Rijeka è ancora imbattuto. Contro Dinamo e Hajduk eravate in svantaggio, salvo poi recuperare. Segno evidente che la squadra ci crede e ha fiducia nei propri mezzi…
“Come ho detto prima, i miei ragazzi hanno carattere da vendere. E spesso sono anche un po’ sottovalutati, il che onestamente mi disturba un po’. Lavoro con loro ogni giorno, li vedo e li osservo, e so quanto ci tengano a far bene. Andiamo passo per passo, di partita in partita, e a fine stagione faremo i conti. Non possiamo promettere nulla, a parte una cosa: lotteremo con il coltello fra i denti in ogni singola partita, dall’inizio alla fine”.
Torniamo indietro di qualche mese. Un Rijeka che fatica con il Corvinul, poi cede all’Elfsborg e alla fine rimedia un’onta a Lubiana. Dalla serata orribile dello Stožice, però, inizia un’altra storia. Come se lo spiega?
“Direi che forse la squadra ha capito di poter fare molto meglio. Il classico caso che quando tocchi il fondo non vedi l’ora di rialzarti. La partita con l’Olimpija è stata un episodio a parte, colpa esclusivamente mia. Mi prendo tutte le responsabilità del caso e non cerco alibi. Avevamo però cinque giocatori con il Covid, che erano praticamente a digiuno da 2-3 giorni e fisicamente a terra. Ma, d’altra parte, come fai a rinunciare in una gara così importante a Janković, Radeljić o Fruk? Inoltre Ivanović aveva già le valigie in mano, ma ha voluto dare comunque il suo contribuito. A conti fatti, è stata una lezione che ci è servita eccome. Eppoi se guardiamo i risultati dell’Olimpija da allora a oggi, soprattutto in Europa, vediamo che non è decisamente la squadra materasso che in molti si aspettavano”.
Ricapitoliamo un po’. Il presidente Mišković ha indicato come obiettivi stagionali la lotta per le posizioni di vertice e la qualificazione alle coppe europee. Sotto sotto, però…
“L’appetito vien mangiando, o sbaglio? Non c’è alcun imperativo a tal proposito, ma se hai l’occasione devi per forza provarci. Guardo, analizzo e valuto le nostre avversarie, arrivando alla conclusione che non abbiamo nulla da invidiare a Hajduk e Dinamo. E non sono assolutamente d’accordo con chi sostiene che il Rijeka non ha pressione sulle spalle: siamo primi e vogliamo restarci, pertanto la pressione c’è eccome. Possiamo competere con chiunque e ci crediamo. Il presidente è stato molto corretto con le sue richieste, ma visto che siamo arrivati fino a questo punto vogliamo osare di più. D’altronde sognare non costa nulla…”.
La gara con lo Slaven Belupo ha confermato che il Rijeka, contrariamente forse a ciò che si pensi, ha una panchina lunga e alternative valide…
“Io lo vado dicendo da tempo che questa è una rosa completa e competitiva. Poi è ovvio che si può sempre rafforzarla con innesti di qualità. Nell’ultima gara, quella con lo Slaven per l’appunto, in porta c’era un 18enne e come sua alternativa un 16enne. A tal proposito devo lodare il mio assistente Ivan Vargić, preparatore dei portieri. Vučetić ha confermato da subito il suo potenziale, non si è fatto per nulla impressionare e ha salvato anche un gol. In panchina, come detto, c’era Kovač, che ha un brillantissimo futuro davanti a sé. Quando di tratta di portieri, il Rijeka può stare tranquillo per tantissimi anni”.
La mancanza di una punta di qualità è un dato di fatto. Forse anche per questo motivo emerge che il Rijeka è, statisticamente provato, la squadra che ha segnato più gol da fuori area…
“Abbiamo centrocampisti e mezzepunte con il vizio del gol, dotati di un buon tiro. Ed è sempre un bene avere quante più soluzioni offensive. Però è altrettanto vero che Janković o Pašalić sanno essere altrettanto letali all’interno dei sedici metri. In fin dei conti i gol di Niko e Marco contro lo Slaven sono arrivati da posizione ravvicinata. E non sono state reti banali, bensì di pregevole fattura tecnica e frutto di ben precise trame offensive”.
L’impressione è che Fruk da centravanti sia un po’ sprecato, per non dire… a tratti sofferente?
“Toni è un giocatore di eccellente qualità, che può ricoprire parecchi ruoli. Forse si tende a sottovalutare il suo lavoro tattico, ma guardate un po’ come difende palla davanti la porta avversaria. Gli manca il gol, questo è vero, però apre tantissimi spazi per i compagni. Se Pašalić e Djouahra possono fare le loro scorribande sulle fasce il merito è sicuramente anche di Fruk”.
A proposito di attaccanti, chiederà alla società una specie di regalo di Natale sottoforma di punta?
“Come primo passo sarei felicissimo se l’ossatura della squadra rimanesse al completo. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane, ma dalle eventuali partenze dipenderà anche il nostro mercato in entrata. Se poi dovesse presentarsi l’occasione per l’innesto di un giocatore di qualità, in grado di darci qualcosa in più, allora sarebbe un peccato non approfittarne”.
Radeljić starà purtroppo fuori per diverso tempo…
“Sinceramente credevo che l’infortunio fosse meno grave, ma purtroppo lo attende un lungo stop. Per noi è un brutto colpo, parliamo di uno dei pilastri della difesa meno battuta del campionato. Ci ritroviamo senza un titolare, ma anche con delle scelte obbligate. Ci sono Majstorović e Galešić, però la stagione è ancora lunga e ci sarà bisogno di rifiatare. Non mi piace fare i conti senza l’oste, ma ci sono ottime possibilità che presto arrivi un giocatore in questo ruolo. Eppoi, in caso di bisogno, Ivan Smolčić può giocare da centrale”.
Cambiamo discorso e parliamo un po’ di lei. Da giocatore era un attaccante dal gol facile. Ora che fa l’allenatore, la sua squadra ha come punto di forza la difesa, mentre fatica parecchio in quanto a realizzazione. Insomma, quasi un paradosso.
“Sì, è vero. Di ruolo ero una punta, ma spesso difendevo, e anche piuttosto bene. Per questo motivo chiedo lo stesso anche ai miei ragazzi. Non dico che da una buona difesa parte tutto, ma c’è del vero”.
Nella sua carriera professionale ha avuto parecchi allenatori. C’è uno al quale s’ispira particolarmente?
“Oserei dire che da ognuno di loro ho preso qualcosa. Zlatko Kranjčar, Zlatko Dalić, Mile Petković o Nenad Gračan sono stati dei tecnici dai quali ho imparato molto. Di Petković, che mi aveva allenato allo Zagreb, ricordo benissimo una frase, ovvero: ‘Loro sono in undici, noi siamo in undici: scendiamo in campo e poi vediamo..’. Ecco, è questa la filosofia sulla quale dobbiamo basarci sempre. Ma non dimentichiamo anche i tecnici con i quali ho lavorato negli ultimi anni al Rijeka come Serse Cosmi, Sergej Jakirović o Željko Sopić. Ora cerco di trasmettere questo sapere accumulato nel corso degli anni anche alla mia squadra. E sono orgoglioso che i ragazzi mi seguano e abbiano fiducia in me”.
«Il calcio mi ha salvato»
Un amore sin da quando era bambino quello di Radomir Đalović per lo sport. “Se non avessi fatto il calciatore temo che avrei intrapreso una strada non certo raccomandabile ai giovani. Quando avevo appena 13 anni sono arrivato a Belgrado da Bijelo Polje per unirmi alle giovanili della Crvena zvezda – ha raccontato di recente –. Tutto solo in una realtà nuova, in una grande città dove non conoscevo nessuno. Ci sono stati momenti difficili, che mi hanno però fatto crescere e maturare come uomo. Vivevo in una specie di baracca di fronte al Marakana con Nemanja Vidić, mio compagno di squadra nelle giovanili. Ero un bravo studente, ma con il tempo avevo un po’ trascurato gli obblighi scolastici. Spesso mio padre mi rimproverava in merito, mettendomi in guardia che sarei finito in strada a vendere sigarette. Per questo motivo ho dato il massimo per riuscire a sfondare nel calcio. Purtroppo non ho fatto bene alla Zvezda e ne sono rimasto profondamente deluso. Mi faceva tanto male. Pazienza, sarà che non era destino. Il club voleva darmi in prestito, ma io, giovane e testardo, avevo puntato i piedi chiedendo di andar via. Andai allo Železnik, ma pure lì non fu un’esperienza memorabile. Poi, nel 2002, arrivò la chiamata dello Zagreb che segnò la sterzata decisiva…”.
Sì, perché due anni dopo con l’Under 21 della Serbia e Montenegro partecipò agli Europei di categoria in Germania, arrivando sino alla finale. Lì ci fu di fronte l’Italia dei vari Amelia, Bonera, De Rossi e Gilardino, che alla fine s’impose per 3-0. Con la nazionale maggiore del Montenegro vanta invece 27 presenze e 7 gol nel periodo dal 2007 al 2012.
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