Pizzul e l’intervista alla Voce: «Lo stadio di Cantrida… civettuolo»

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Pizzul e l’intervista alla Voce: «Lo stadio di Cantrida… civettuolo»
Bruno Pizzul. Foto Goran Žiković

Nel febbraio del 2012, in occasione del tradizionale appuntamento con gli Sportivi dell’anno della Comunità Nazionale italiana, a Rovigno come ospite d’onore assieme all’ex calciatore, numero 10 azzurro e della Fiorentina, Giancarlo Antognoni, era venuto il grande (e non solo per statura, era alto 1,93) Bruno Pizzul colui che ne ha narrato le gesta. Il nostro Lucio Vidotto aveva approfittato, prima, durante e dopo la conferenza stampa di catturarne le sue battute, quel vocabolario semplice, ma mai banale.

Già alla presentazione Pizzul, come notò con piacere il nostro inviato, aveva stupito di una cosa. Infatti, si ricordava perfettamente dello stadio di Cantrida a Fiume, che non ospitò eventi storici da lui seguiti e commentati. Ci venne negli anni ’80. Ci sono modi diversi per descrivere uno stadio. Tra tutti gli aggettivi all’epoca Pizzul scelse “civettuolo”.

Da Cormons, nel Friuli goriziano, a pochi passi della Slovenia, Bruno Pizzul raccontò al nostro quotidiano di aver seguito sempre le vicende dall’altra parte del confine, attraverso un’ottica sportiva, calcistica. “Noi ragazzini guardavamo alle squadre di calcio dell’Istria come a qualcosa che rappresentava per noi un territorio mitico. Oltre alle più famose come la Grion Pola e la Fiumana, per noi aveva un valore particolare, non so per quale motivo, la squadra dell’Ampelea di Isola. Eravamo affascinati da questo nome. In questa squadra, tra l’altro, confluivano anche dei giocatori importanti, che andavano a giocare lì perché vi si offrivano anche dei posti di lavoro. Appena dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando si ebbe dalle nostre parti un arrivo massiccio di genti istriane di nazionalità italiana, abbiamo imparato a capire quanto lo sport fosse importante anche al di fuori del calcio. Tutti quelli che si sono fermati dalle nostre parti hanno avuto un passato sportivo che non era limitato al calcio. C’erano moltissimi canottieri, gente che correva, gente che nuotava da cui abbiamo imparato come nelle loro terre fosse profondamente radicata la cultura sportiva. D’altra parte, anche oggigiorno i risultati ottenuti, non soltanto da fiumani, istriani, dalmati o giuliani di nazionalità italiana, ma dalla gente che vive in questo territorio, sono la testimonianza chiara di quanto da queste parti la pratica sportiva sia importante, anche quella di altissimo livello”.

Bruno Pizzul raccontò grandi eventi, anche tragici come quello della finale di Coppa Campioni all’Heysel tra Juventus e Liverpool, ma anche tante vittorie. In molti anni di carriera non ebbe l’occasione di gioire in diretta per un Mondiale o un Europeo vinto dall’Italia. “Me lo fanno notare spesso – disse Pizzul –, ma vi confesso che per questo fatto non ho mai perso il sonno”.

Pizzul ammise che la vocazione per il giornalismo nacque per caso, o quasi… “Quando cercavo, con esiti più o meno disastrosi, di diventare un bravo giocatore di calcio avevo maturato una sincera antipatia verso la categoria dei giornalisti sportivi. Quando parlavano delle mie prestazioni, probabilmente a ragione, erano tutt’altro che teneri. Non avrei mai pensato di diventare giornalista sportivo e tanto meno telecronista. Per una serie di circostanze assolutamente casuali venni indotto a fare un concorso alla RAI dove alla fine venni assunto. Mi ritrovai a fare questo tipo di professione che alla fine è stata gratificante, fatta con piacere. La carriera di calciatore, pur con i risultati non lusinghieri, mi ha aiutato a fare un tipo di lavoro indubbiamente appagante, anche sul piano della vanità personale”.

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