Nenad Gračan: «Ero un po’ scettico poi mi sono ricreduto»

Da un anno e mezzo il 61.enne tecnico fiumano allena la nazionale croata femminile, un'esperienza del tutto nuova e insolita

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Nenad Gračan: «Ero un po’ scettico poi mi sono ricreduto»
Nenad Gračan alla guida del Rijeka. Foto: Igor Kralj/PIXSELL

Nenad Gračan è uno che il calcio lo ha nel sangue, da quando nel 1979 debuttò con la maglia del Rijeka. Sette anni dopo passò all’Hajduk, dove giocò per tre stagioni. In seguito militò nell’Oviedo, prima di tornare a Fiume nel 1995 e chiudere la carriera professionale. Collezionò anche 10 presenze e due gol con la maglia della nazionale jugoslava, vincendo nell’occasione il bronzo ai Giochi Olimpici del 1984 a Los Angeles. Una volta appese le scarpe al chiodo intraprese la carriera di allenatore e oggi è uno dei pochi tecnici a potersi vantare di avere guidato le quattro maggiori squadre nazionali, ovvero Dinamo, Hajduk, Rijeka e Osijek. Dal 2013 al 2019 allenò la nazionale croata Under 21. Al momento il 61.enne fiumano è alla guida della nazionale femminile, un’esperienza del tutto nuova. “Neno”, come lo chiamano un po’ tutti, ce la racconta con piacere e orgoglio.

È passato un anno e mezzo da quando è sulla panchina della Croazia. Al momento della nomina aveva detto che il primo obiettivo sarebbe stato compiere il salto di qualità. Ritiene che ci siamo?
“Direi proprio di sì, si nota nettamente il miglioramento. Ciò che mi rende felice, così come la Federcalcio, è che le ragazze hanno entusiasmo e rispondono regolarmente alla chiamata, incluse quelle che militano all’estero. Anni fa succedeva che la nazionale si ritrovasse e affrontasse gli impegni con meno convinzione. Adesso questo approccio è cambiato radicalmente. Le ragazze capiscono di avere determinate qualità. Ovvio che è difficile avvicinarsi alle nazionali migliori, all’élite del calcio europeo. L’importante è riuscire a tenere testa e lottare alla pari con avversarie di seconda o terza fascia. Al recente torneo a Cipro abbiamo battuto sia l’Ungheria che la Romania, se non sbaglio per la prima volta in assoluto. Nel due test con la Grecia abbiamo figurato molto bene nonostante l’assenza di 5-6 titolari. Ciò ci ha comunque permesso di convocare altre giocatrici e valutarle attentamente. Direi che c’è da essere ottimista in vista della Nations League a settembre: abbiamo una base solida e determinata qualità tecnica”.

Torniamo al ciclo delle qualificazioni per i Mondiali, nel quale lei è subentrato in corso. Italia e Svizzera sono obiettivamente un altro mondo, mentre Lituania e Moldavia non sembrano all’altezza. Possiamo dire che resta il rammarico per non aver saputo chiudere terzi davanti alla già citata Romania?
“Un po’ sì, ma quando ho assunto la guida della nazionale eravamo in un momento particolare. Abbiamo perso di misura a Velika Gorica una partita che sarebbe potuta finire anche diversamente. Ed era già una buona notizia visto che ci eravamo affrontati anche nel ciclo precedente, con la Romania che aveva vinto facilmente. Adesso è tutto molto più equilibrato. Ricollegandoci alla domanda precedente, inutile tuttavia attendersi passi da gigante: ci vogliono anni per raggiungere livelli superiori e avvicinarci ulteriormente alle nazionali migliori. L’importante è lavorare bene nei club e creare un bacino dal quale poter poi attingere giocatrici per la nazionale. Qui devo citare anche la Federcalcio, che sta investendo parecchio nel calcio femminile”.

Il tecnico durante una partita della nazionale croata femminile.
Foto: Igor Soban/PIXSELL

Largo ai giovani
Uno degli obiettivi primari è ringiovanire la rosa. Alcune senatrici come Iva Landeka hanno dato addio alla nazionale, mentre altre sono ormai al tramonto. A livello di campionato croato c’è una base solida oppure dovrà pescare all’estero, come nel caso con Ivana Rudelić, nata e cresciuta in Germania?
“Entrambi i casi. In Croazia ci sono alcune ragazze interessanti, che meritano considerazione. Purtroppo il campionato è poco competitivo e bisognerebbe alzare sensibilmente il livello. Soltanto così si potrebbe fare una selezione mirata. Un dato di fatto è che le migliori guardano come andare all’estero, il che può essere un’arma a doppio taglio: potrebbero compiere il salto di qualità auspicato, così come cadere nel dimenticatoio. Però vanno capite, in quanto in Croazia non si può vivere di calcio femminile. Da quando alleno la nazionale parecchie hanno varcato i confini nazionali e quasi tutte ne hanno beneficiato. Lo noto quando le ho in nazionale: si capisce subito che sono abituate a ritmi ben superiori rispetto a coloro che militano nel campionato croato”.

Un nome che viene a mente è Petra Mikulica, da tempo in orbita Milan. Può essere lei il futuro punto di riferimento?
“Petra è un grande talento che fa parte della nazionale maggiore già da tempo nonostante la sua giovane età. Dal Rijeka è passata alla Dinamo, per poi giocare qualche partita con il Milan e chiudere la stagione a Zagabria. Spesso si è allenata individualmente, ed è riuscita a farlo molto bene grazie alle sue qualità. Deve però trovare una sistemazione fissa e concentrarsi al massimo. Soltanto così riuscirà a far emergere in pieno il suo talento, che è notevole”.

Tornando al campionato croato, la buona notizia è che Dinamo e Hajduk, intese come società, hanno ora un’ingerenza diretta sul settore femminile. Quella meno positiva è che lo Split, primo e unico club semiprofessionale del Paese, è in netta flessione. La conseguenza è che, dopo due stagioni di grande equilibrio, l’Osijek non ha più una degna rivale…
“Nello Split ci sono alcune giocatrici che studiano e lavorano e altre, soprattutto le straniere, che sono professioniste. La mancata qualificazione in Champions è stata dura da digerire ed è subentrato un ridimensionamento delle ambizioni. Sarà fondamentale che il declino non continui: non possiamo permetterci di perdere un club così ben organizzato, a prescindere dal fatto che Dinamo e Hajduk crescono strutturalmente e qualitativamente di anno in anno. A tal proposito, mi auguro che anche il Rijeka imbocchi la stessa strada, così come l’Agram. Tutto ciò contribuisce o meno alla crescita del progetto del calcio nazionale femminile”.

Gli investimenti pagano
A livello europeo e mondiale il calcio femminile è in rapida ascesa negli ultimi due-tre anni: in Barcellona-Real Madrid di Champions si è superati quota 90.000 spettatori, mentre agli Europei in Inghilterra c’è stato un grande interesse da parte degli sponsor e dei media. Come si spiega questo fenomeno?
“La risposta è semplice: si investe moltissimo. Brave sicuramente FIFA e UEFA ad aver potenziato e sostenuto il progetto di rilancio e crescita. Anche noi come Federazione croata abbiamo aderito all’iniziativa comune. Bisogna cogliere in pieno il momento favorevole. Guadiamo il caso dell’Italia, che è partita molto in ritardo rispetto agli altri Paesi tradizionali. Il boom si è avuto con l’entrata in scena di Juventus, Milan, Roma e Inter. Ci sono alcune nostre giocatrici che militano in Serie A e B e sono contente delle condizioni di lavoro. Per le squadre femminili è fondamentale il sostegno delle rispettive società maschili, sia a livello organizzativo che sportivo”.

In estate ci sono i Mondiali in Australia. Pianifica magari di portare la famiglia in vacanza e guardarsi qualche partita dal vivo?
“Un po’ difficile. Ne parlavamo a livello di Federcalcio, ma ci sono problemi logistici. Sarà sicuramente uno spettacolo indimenticabile, d’altronde alcune partite sono state spostate in stadi più grandi per l’enorme interesse del pubblico. In pratica i biglietti sono stati venduti non appena messi in prevendita, un anno prima dell’evento stesso. Qualcosa di inimmaginabile soltanto qualche tempo fa”.

L’allenatore fiumano quando era al timone dell’Under 21.
Foto: Hrvoje Jelavic/PIXSELL

Basta con i pregiudizi
Ha allenato squadre maschili, l’Under 21 croata e ora la nazionale femminile. C’è una sostanziale differenza nel guidare le ragazze?
“Sì. Ammetto che ho dovuto adattarmi al mio nuovo ruolo e direi che ci sono riuscito in fretta. Il calcio è pur sempre… calcio. Una parte della metodologia di lavoro è identica tra squadra maschili e femminili, ma le ragazze vivono il tutto in modo molto più emotivo. Direi che sono maggiormente suscettibili. Ciò che sto per dire potrebbe anche sorprendere, ma è molto più facile lavorare con le ragazze che con gli uomini. Prestano più attenzione, sono maggiormente responsabili e rispettano la figura dell’allenatore. E anche l’approccio è diverso. Poi è ovvio che ci sono differenze tra una partita maschile e femminile prettamente dall’aspetto tecnico, come d’altronde in ogni sport”.

Mi consenta una battuta: lei ha a casa moglie, tre figlie e due nipoti femmine. Un po’ facilitato lo è…
“Certo. Devo ammettere che per anni ero un po’ scettico sul calcio femminile. Poi, quando la Federcalcio mi ha offerto l’incarico, ho iniziato a ricredermi e ora sono felicissimo della mia scelta. Anzi, inviterei molti miei colleghi allenatori a rigettare i vari pregiudizi. A mio avviso, meglio allenare una squadra femminile di Prima Lega che una maschile di serie inferiore. Non abbiate paura, provateci! Perché alla fine, ed è ciò che conta maggiormente, fai ciò che ti piace. All’inizio può sembrare un po’ insolito, ma poi ci si abitua. La mia ‘situazione familiare’ mi ha aiutato a gestire la situazione e capire meglio l’altra parte, ovvero le ragazze e il loro modo di ragionare”.

Una volta era diverso
Quant’è cambiato il calcio in generale rispetto agli anni quando lei giocava?
“Parecchio, soprattutto dal punto di vista del seguito e del modo di interpretarlo. Anche ai miei tempi c’erano partite belle e brutte, giocate sopraffine ed errori clamorosi. Il calcio è rimasto tale, forse c’è più velocità. Ciò che è cambiato è il mondo che lo circonda. Sono comparsi nuovi club grazie ai finanziamenti dall’estero, di ricchi proprietari o di cordate internazionali. Avanzano nuove realtà e si rafforza la concorrenza, il che stimola inevitabilmente anche la qualità. Mancano le bandiere? Vero, ma non è determinante. L’importante è che arrivino le nuove generazioni”.

Pelé, Maradona, Messi, Ronaldo. Chi è il più grande di sempre?
“I tempi cambiano ed è difficile tracciare una parallela. Io ho giocato ai tempi di Diego e l’ho anche affrontato, pertanto spezzo una lancia a suo favore. Era un giocatore incredibile, che faceva cose straordinarie con il pallone. Oggi un calciatore è molto più tutelato, nel senso che non subisce falli gravi come qualche decennio fa. Allora era davvero difficile portare palla senza subire entrate, anche pericolose, da parte degli avversari”.

Per concludere, c’è qualche allenatore, ex o attuale, che ritiene un modello da seguire o al quale si ispira?
“Quando ho cominciato ad allenare cercavo di far tesoro degli insegnamenti che ho avuto da parte dei vari tecnici. Da ognuno prendi qualcosa. Se tuttavia devo fare un nome, Joško Skoblar ha influito molto sul mio modo di concepire il calcio. Ai tempi di calciatore mi ha aiutato e sostenuto tantissimo. Come poi dimenticare Ćiro Blažević, che negli anni Ottanta mi aveva fatto debuttare in prima squadra. Gli devo tanto, per di più che in quegli anni le rispettive squadre non forzavano i giovani essendoci la regola di non poter andare all’estero prima di aver compiuto 28 anni. Per un ragazzotto era davvero difficile trovare spazio e farsi strada. Lui credette in me e mi diede fiducia. Tutte queste esperienze vissute oggi mi aiutano tantissimo…”

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