«Nacque tutto come un gioco tra i sub militari»

Rubes Levada Un bolognese con indirizzo zagabrese racconta la storia del nuoto pinnato, uno sport ancora avvolto da un alone di mistero

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«Nacque tutto come un gioco tra i sub militari»
Il nuoto pinnato è uno sport ancora sconosciuto ai più. Foto: RUBES LEVADA

Che cosa succederebbe in un’ipotetica sfida tra Michael Phelps e un atleta di nuoto pinnato? Il confronto sarebbe impietoso perché lo squalo di Baltimora verrebbe letteralmente “bastonato” in termini cronometrici. Non è un caso se il nuoto pinnato viene considerato la Formula 1 degli sport natatori, dato che si raggiungono punte di 6-7 nodi. Ma che cos’è questo sport ancora sconosciuto ai più e avvolto da un alone di mistero? A spiegarcelo è Rubes Levada, un bolognese che dal 2006 risiede a Zagabria dove ricopre la carica di presidente del Club di nuoto pinnato Komet. “Il nuoto pinnato nasce in seno alle attività subacquee nel secondo dopoguerra – racconta l’ex nazionale azzurro –. Nasce principalmente in Italia come una sorta di gioco tra sommozzatori militari che facevano delle gare tra di loro. Poi con il passare degli anni inizia ad affermarsi come attività sportiva, in particolare nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche in Unione Sovietica. Sul finire degli anni ‘70 c’è stato un passaggio importante perché le pinne sono state unite per la prima volta in una pinna unica, detta monopinna, grazie alla trovata di alcuni allenatori sovietici. Quest’unione crea una propulsione maggiore permettendo di raggiungere velocità più elevate. Un altro elemento distintivo è il boccaglio, che viene indossato sulla testa. È differente da quello classico che vediamo al mare essendo rigido in modo che non si schiacci, permettendo così il flusso dell’aria. Il nuoto pinnato viene praticato sia in piscina che in acque libere su diverse distanze. Le discipline standard sono quelle con monopinna, bipinna e apnea. Quest’ultima consiste in una gara di 50 metri fatta tutta sott’acqua con monopinna e senza respirare. Si differenzia dall’apnea classica perché dopo 50 metri si passa nel regime di free diving, che è un altro sport. E poi c’è una quarta disciplina che presume l’utilizzo di una bomboletta di aria compressa. Viene fatta sempre con monopinna e stando sott’acqua. Le distanze sono un po’ quelle del nuoto classico, quindi 50, 100, 200, 400, 800, 1.500 e fondo. Oggi ci sono poi anche le staffette”.

Status olimpico: strada in salita
Negli ultimi anni il nuoto pinnato ha iniziato a prendere piede anche in Croazia. “Ci sono una decina di circoli: quattro a Zagabria, due a Fiume, uno a Kostrena, Medolino, Fužine e Koprivnica. Fino a una quindicina di anni fa il nuoto pinnato era praticato da pochi dilettanti in Croazia. Poi sono nati i primi circoli e il movimento è gradualmente cresciuto arrivando ad avere un vicecampione del mondo nel 2016 e una vicecampionessa europea nel 2019. Altri due miei ex atleti si trovano ora negli Stati Uniti dove stanno preparando i Mondiali in Colombia ed entrambi hanno ottime chance di andare a medaglia. Diciamo che la Croazia è stabilmente nella top ten mondiale”.
Il nuoto pinnato sta facendo sforzi enormi per entrare a far parte della famiglia olimpica, ma la strada è tutta in salita. “Quello dello status olimpico è una questione un po’ delicata. Quando ci furono le Olimpiadi di Mosca nel 1980, il pinnato sarebbe dovuto entrarci, ma dato che non aveva sufficienti voti in seno al CIO in seguito al boicottaggio degli Stati Uniti, si votò contro il suo ingresso perché sennò sarebbero state altre medaglie per l’URSS. Nel 2004 quando fu Atene a ospitare i Giochi, la Grecia premeva per l’ingresso in quanto in quel momento aveva un paio di atleti fortissimi che potevano garantire un bel bottino di medaglie, ma siccome c’erano dei ritardi nella costruzione dei vari impianti sportivi, alla fine non se ne fece nulla. Questi sono stati i due momenti in cui il pinnato è stato il più vicino a ottenere lo status olimpico. In tal senso sarebbe importante che il nuoto pinnato si staccasse dalla Confederazione mondiale delle attività subacquee.”
Rubes è nato e cresciuto a Bologna, ha praticato nuoto pinnato arrivando anche a conquistare medaglie tra Mondiali ed Europei, nel 2001 appende pinne e boccaglio al chiodo iniziando la carriera da allenatore, poi nel 2006 il trasferimento a Zagabria. Per amore… “Ai tempi stavo con una ragazza croata, che poi è diventata mia moglie. Lei visse per sei mesi a Bologna, ma non si trovò bene e così mi chiese di fare il contrario, ovvero di trasferirmi a Zagabria. Mi sono trovato benissimo fin da subito e devo dire che qui ho trovato uno standard di vita migliore che in Italia”.

L’avventura in Africa
La prossima settimana Rubes volerà alla volta dell’Algeria per prendere parte a un camp di formazione e di presentazione del pinnato. “Negli anni mi sono messo a provare a creare un percorso mio personale andando a fare ogni tanto qualche presentazione di questo sport in posti dove non c’è. Ho capito che ci poteva essere una domanda e così mi ci sono tuffato. Nel 2019 feci una cosa in Spagna, che venne notata da una mia amica tunisina la quale mi invitò in Tunisia l’anno successivo per partecipare a un evento. Da lì è nato tutto e da allora ho contribuito a fondare tre associazioni sportive in Kenya, Uganda e Tanzania, che sono tuttora attive nonostante il Covid che ci ha frenati parecchio. L’anno scorso ho fatto il primo boot camp di nuoto pinnato in Tanzania e ora pianifico di farne un altro a novembre. Una volta che ci mette dentro il piede in questi Paesi, poi ti chiedono di tutto, quindi i corsi di nutrizione, la psicologia sportiva ma anche qualcuno che possa presentare degli altri sport. Loro le strutture ce le avrebbero anche, ma non hanno chi glielo possa insegnare. C’è dunque un interesse enorme. Lo faccio veramente con piacere, oltre al fatto di avere la possibilità di visitare Paesi nuovi ed entrare in contatto con culture diverse”, conclude Rubes Levada.

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