Mauro German Camoranesi: «A Sesana posso essere me stesso»

INTERVISTA L'italo-argentino, ex Juventus e campione del mondo 2006, racconta la sua esperienza sulla panchina del Tabor

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Mauro German Camoranesi: «A Sesana posso essere me stesso»

Quando trapelò la voce che il Tabor Sesana avrebbe affidato la panchina a Mauro Germán Camoranesi Serra, campione del mondo con l’Italia nel 2006, in molti erano dell’opinione che si trattasse della classica fake news. E invece, il 10 gennaio, il 43.enne italoargentino nativo di Tandil si presentò in conferenza stampa davanti a un nutritissimo numero di giornalisti che in Carso non si erano mai visti. A distanza di sei mesi, grazie alla vittoria di Kranj per 2-1, Camoranesi ha centrato l’obiettivo della salvezza con ben tre giornate d’anticipo, cosa che non era poi così scontata. Il Tabor, che era tornato tra l’élite 19 anni dopo l’unica presenza, ha così mantenuto la categoria. Nella prossima stagione, al via il 12 agosto, Mauro German sarà ancora in panchina, vuoi perché ha ancora un anno di contratto e vuoi per il fatto che in Slovenia, la sua prima destinazione di allenatore in Europa dopo le esperienze in Sud e Centroamerica, ha trovato un ambiente sano, dove poter crescere e fare esperienza.
Si può lavorare con serenità
“Sono molto felice perché ho trovato un posto tranquillo, un luogo dove posso essere me stesso, un ambiente nel quale si può lavorare con serenità, almeno per momento – racconta Camoranesi, che ha il calcio nel DNA: il padre Juan Carlos, tuttofare di giorno, era infatti un calciatore che ha giocato a livelli dilettantistici, mentre lo zio Nestor Gomez ha militato nel massimo campionato argentino –. In molti sono rimasti sorpresi della mia scelta di venire a Sesana. Ho avuto un contatto in Italia con Giovanni Galli (l’ex portiere, nda), il quale mi presentò Denis Hovelja, dello sponsor generale CherryBox24. Dopo l’incontro avevo capito che si presentava l’occasione di sbarcare in Europa. Da una parte dovevo pur iniziare. Non allenavo dal 2017, dai tempi dei Cafetaleros de Tapachula, formazione della seconda divisione messicana, anche perché nello stesso periodo avevo iniziato a seguire a Coverciano il corso per allenatori. In seguito ho ottenuto la licenza di allenatore di prima categoria UEFA PRO. Siccome Sesana era vicina all’Italia, mi si presentava anche la possibilità di allenare una squadra che giocava in Serie A: non importa se è la Slovenia, si tratta pur sempre della massima serie in un Paese. Un’opportunità unica per me”.
Conoscevo il calcio sloveno
Che Camoranesi abbia preso a cuore questa esperienza lo illustra anche il fatto che una volta alla settimana vada a lezione di sloveno. E in quanto a terminologia calcistica sta facendo passi da gigante. “Conoscevo il calcio sloveno, avevo visto diverse partite prima di venire a Sesana. Ho analizzato il gioco delle altre squadre per comprendere quale sarebbe stato il modo migliore di giocare. Quindi ho deciso di fare l’esatto contrario degli altri – racconta con un sorriso sornione –. Venivo in una squadra che prendeva tanti gol, che aveva perso il cannoniere della squadra Sikimić. Sapevo di avere tre centrali forti e due esterni che riescono a fare tutta la fascia. In attacco, senza il centravanti di razza, ho optato per le tre punte, non di ruolo bensì mezze punte. Qui si è vista la mano dello staff e il lavoro quotidiano: non è un caso che abbiamo conquistato la salvezza con grande anticipo. Dobbiamo esserne fieri. Il segreto? Rispetto, disciplina, intensità, volontà, impegno e uno spogliatoio unito. Con la nostra mentalità siamo stati competitivi con tutti, l’unica squadra che ci ha un po’ sorpreso è il Mura. Alla fine i punti conquistati sono reali“.
Una famiglia numerosa
Mauro è legatissimo ai genitori e alla sorella che risiedono in Argentina. La sua famiglia invece vive a Torino, ma spesso e volentieri lo raggiunge a Sesana. Sposato, ha cinque figli tra i 7 e i 22 anni, con l’ultima nata, Vittoria, che è l’unica rappresentante del gentil sesso. Il terzogenito Matteo sembrava potesse seguire le sue orme, ma un problema respiratorio i lo ha tenuto lontano dai campi da gioco per due anni e alla fine ha smesso di giocare. Un altro figlio invece pratica il rugby. “Mi considero un nomade e sono dell’opinione che ci sono cose molto più belle al di fuori dei propri confini. Secondo me il mondo è cambiato negli ultimi 20 anni, ci sono meno barriere e meno confini, va esplorato e vissuto. Per questo motivo accettare di venire a Sesana non è stato un problema. Se il progetto è valido, è giusto mettersi in gioco. Io voglio vincere sempre”.
Stile e carattere ben riconoscibili
Nella seconda parte della stagione il Tabor è diventato una squadra molto più aggressiva, d’altronde Camoranesi ha cercato di trasmettere ai giocatori il suo stesso stile che aveva conquistato il cuore dei tifosi della Juventus e il tecnico Marcello Lippi, il quale aveva deciso, insieme alla FIGC, di naturalizzarlo in nome del bisnonno Luigi di Potenza Piceno, emigrato negli Anni 20. “In Slovenia gli arbitri sono propensi ad ammonire subito perché non sono abituati a vedere un calcio fisico. Ogni contatto un po’ più duro viene punito con il cartellino giallo. La mia squadra è stata la più penalizzata. Il calcio è uno sport di contatto, quello che va interpretata è l’intenzione. Se uno vuole fare male è giusto che venga ammonito, ma non si può farlo ad ogni contatto. È questo che mi fa arrabbiare. Se guardate i campionati più importanti, ovvero Inghilterra, Italia, Spagna e Germania, ciò non avviene. 36 cartellini in cinque partite mi sembrano un’esagerazione, i miei giocatori non sono certo dei killer. Se mi chiedete del VAR, dico che aiuta, ma non è fondamentale. È uno strumento in più, però non è infallibile”.
I complimenti di Maradona
Per quanto riguarda il Mondiale del 2006, il giorno prima della finalissima di Berlino con la Francia Camoranesi ricevette una telefonata inattesa. “Era sera. Mi squillò il telefono e dall’altra parte c’era Maradona, che mi faceva i complimenti per essere arrivato sino in fondo. Mi disse di dormire tranquillo che domani con l’Italia sarei diventato campione del mondo. Questo è stato un augurio bellissimo, che poi si è avverato per mia somma soddisfazione – ricorda Mauro, che quando parla di Maradona non nasconde l’emozione –. L’Italia campione del mondo è frutto del lavoro fatto da Lippi e dal suo staff. Ha creato quella nazionale dal punto di vista umano e non soltanto sportivo. Eppoi, tutta quella vicenda del 2006 legata a Calciopoli non ci ha intaccato. In nazionale eravamo tranquilli, per quanto insicuri su quello che sarebbe stato il futuro per molti. Ma quando indossi la maglia dell’Italia ti concentri soltanto su questo. Abbiamo ricevuto la conferma che eravamo una squadra unita e competitiva in quanto avevamo tutti i giocatori nel pieno della maturità, tra i 28 e i 33 anni, che stavano bene fisicamente e mentalmente. Le vittorie in amichevole con Germania e Olanda ci avevano permesso di capire che eravamo pronti a giocarcela con tutti. Penso che questo sia stato il segreto. Sapevamo che se si giocava al 100% eravamo imbattibili, o meglio dire sarebbe stata dura per chiunque, e allo stesso tempo eravamo consapevoli che se si giocava al 90% perdevamo contro chiunque. Da qui anche la sconfitta con la Slovenia a Celje per 1-0, l’unica ufficiale della gestione Lippi prima del trionfo al Mondiale”.
Allenare la Slovenia? Perché no
Oggi Camoranesi si vede ancora sulla panchina del Tabor, anche se nel calcio tutto è possibile. “ Negli ultimi anni è cambiato tutto. Basta pensare ai selezionatori. Le nazionali del passato avevano degli allenatore di esperienza, con alle spalle 20, 30 anni di carriera, mentre oggi i tecnici sono giovani. Uno che ha 45 anni può pensare di allenare una nazionale. Sentivo che Kek avrebbe potuto lasciare la Slovenia per accasarsi alla Dinamo Zagabria. Ebbene, se lo avesse fatto e poi qualcuno sarebbe venuto a bussare alla mia porta chiedendomi di prendere le redini della Slovenia, non avrei avuto alcun dubbio nell’accettare l’incarico. La nazionale è sempre la nazionale, e non ho paura di andare in guerra nel mio lavoro”.
Kempes, Baggio e Neymar
Mauro è sicuramente una persona riflessiva, ma decisa e spesso sorprendente. Tra gli argentini di sempre, al fianco di Maradona, mette Mario Kempes e non Messi, mentre tra gli italiani dell’ultimo trentennio Roberto Baggio e Gianluigi Buffon. Ma la risposta che non ti aspetti è quella che riguarda la partita più importante in carriera. “Il mio debutto da titolare in Verona-Inter, finita 2-2, ovvero la mia prima partita in Europa. Ricordo che mi marcava lo slovacco Greško e sapevo che avrei fatto una grande prestazione, come è puntualmente avvenuto. Per quanto riguarda il giocatore preferito, se si escludono Ronaldo e Messi, è senza dubbio Neymar. Con la sua partenza il Barcellona ha perso il 30% del potenziale”.
Bisogna lavorare con i giovani
La Champions League sarà una competizione dove vince chi, come al Mondiale, indovina tutte le mosse nelle settimane in cui si gioca, mentre per quanto riguarda le nazionali la ricetta vincente è semplice. “Bisogna lavorare con i giovani e poi avere la fortuna di poter contare su una generazione di 6 o 7 giocatori importanti, come è successo di recente con Cile, Giappone, Corea del Sud, Inghilterra, Spagna. Per i calciatori sino ai 20-21 anni è importante che giochino sempre, non importa in serie A, B, C o D. Delle volte è preferibile rinunciare ai soldi e giocare. Meglio così che avere il portafoglio pieno, fare soltanto gli allenamenti e poi andare in tribuna il giorno della partita”. E se lo dice uno che dopo aver mosso i primi passi nelle giovanili del club argentino Gymnasia y Esgrima ha esordito da professionista in Messico, al Santos Laguna, i suoi consigli non sono sicuramente da disprezzare.

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