Livio Magoni. La solitudine dei numeri primi

L’allenatore bergamasco, che dal 2016 segue la fuoriclasse slovacca Petra Vlhova, non si accontenta del terzo posto nel gigante di Sölden con cui si è aperta la nuova stagione e proietta la sua allieva verso orizzonti sempre più ambiziosi. «La Coppa del Mondo generale e le Olimpiadi cinesi sono il nostro obiettivo primario»

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Livio Magoni. La solitudine dei numeri primi

La solitudine può essere una tremenda condanna, ma per Livio Magoni è stata una meravigliosa conquista. Lui non ha mai preteso di diventare un profeta in patria, voleva soltanto essere lasciato libero di allenare con le proprie convinzioni. Sulla bontà dei suoi metodi bastava chiedere a Tina Maze, che al suo fianco ha sbriciolato ogni record, conquistando non solo la grande sfera di cristallo, la prima nella storia della Slovenia, ma anche il record di punti e il primato di podi in una sola stagione di Coppa del Mondo. Eppure la Federazione italiana non ha avuto orecchie per ascoltare né occhi per ammirare l’ennesimo capolavoro del tecnico bergamasco, che in meno di due anni era riuscito a fare di un gruppo di atlete sfiduciate un piccolo gioiello. Purtroppo, in Italia, tanti atleti e dirigenti federali ancora oggi preferiscono il quieto vivere. Che non fa rumore, non disturba. Ma non fa neanche vincere. Così Livio, licenziato e tradito dalla sua patria, si è subito rimesso in pista alla ricerca di un nuovo progetto che gli consentisse di riproporre la sua ricetta vincente. Poco importa che fosse rimasto nuovamente solo: chi ama la solitudine ama anche la libertà perché soltanto quando si è soli si è liberi. Finalmente, grazie allo Ski Team Vlha, che nel 2016 gli ha offerto l’incarico di plasmare il talento ancora acerbo di Petra Vlhova, Livio è tornato libero di allenare. Ma, soprattutto, libero di poter inculcare la fame di vittorie negli occhi di un’atleta che voleva a tutti i costi essere allenata dal più forte per poter diventare una fuoriclasse. Non è certo un caso, dunque, che da allora la 25enne di Liptovsky Mikulaš abbia collezionato un palmares di tutto rispetto. Sin qui, sotto la guida di Livio, Petra ha vinto quattro medaglie ai Mondiali – 1 oro in gigante ad Åre 2019, 2 argenti (gara a squadre a Sankt Moritz 2017 e combinata ad Åre 2019), 1 bronzo in slalom ad Åre 2019 –. In Coppa del Mondo ha conquistato 35 podi con 14 vittorie (4 in gigante, 8 in slalom, 2 in slalom parallelo), 12 secondi e 9 terzi posti. Inoltre, in classifica generale è arrivata seconda nel 2019 e terza nel 2020, aggiudicandosi nell’ultima stagione le coppe di specialità di slalom speciale e slalom parallelo. Ma il meglio deve ancora venire perché Livio non gioca mai per il secondo posto e questa è la prima cosa che ha insegnato a Petra.

La collaborazione tra Livio Magoni e Petra Vlhova è iniziata nel 2016

Lo scorso aprile hai rinnovato il contratto con Petra, che alleni da maggio 2016. Quali garanzie hai ricevuto dal team Vlhova per sentirti così legato al progetto?
“Ho chiesto ancora più professionalità da parte di Petra per cercare di vincere qualcosa d’importante. Dopo le medaglie mondiali e le coppe di disciplina è opportuno continuare ad alzare l’asticella: la Coppa del Mondo generale e le Olimpiadi cinesi sono ora l’obiettivo primario. Non si tratta di essere presuntuosi o di sminuire il valore delle avversarie, ma la prerogativa di ogni atleta dev’essere sempre quella di migliorarsi”.

Siete riusciti a preparare in maniera adeguata la nuova stagione in una situazione così difficile a causa della pandemia?
“Fortunatamente, nonostante l’emergenza sanitaria, per noi non è cambiato quasi niente. Dopo la chiusura anticipata della passata stagione le restrizioni alla circolazione non ci hanno impedito di lasciare Åre, consentendoci di fare subito ritorno in Slovacchia. Tra le nevi di casa Petra ha potuto effettuare tutti i test necessari allenandosi a Jasna da metà marzo fino ai primi di maggio”.

Dopo gli evidenti progressi evidenziati nella scorsa stagione nelle discipline veloci, con Petra avete insistito ancora sulla velocità?
“Certo. A fine maggio ci siamo trasferiti allo Stelvio presso la Baita Ortler, che è ormai la nostra base estiva. Qui abbiamo svolto una buona preparazione in tutte le discipline curando tanto anche la velocità, sia nella tecnica che nei salti. Inoltre gli skiman hanno potuto lavorare al meglio sui materiali”.

Di che cosa ti occupi esattamente come allenatore?
“In qualità di head coach curo ogni dettaglio della vita sportiva di Petra: dalla preparazione tecnica e atletica a quella dei materiali, dall’aspetto medico alla parte organizzativa. Mi occupo in prima persona della logistica, delle prenotazioni, dei programmi di allenamento, dell’esecuzione dei test nella galleria del vento e della gestione della base invernale a Vipiteno”.

Da chi altro è composto il team Vlhova?
“Matej Gemza è il secondo allenatore, nonché fisioterapista di Petra. Matteo Baldissarutti e Gigi Parravicini si dividono tra il ruolo di allenatore e quello di skiman. Marco Porta è il responsabile della parte atletica, mentre quando Petra torna nella sua Liptovsky Mikulaš a seguirla da vicino è il preparatore Šimon Klimčík”.

Il Team Vlhova in festa

Nelle stagioni 2013/14 e 2014/15, sotto la tua guida tecnica, ben sette azzurre sono arrivate alle finali del gigante di Coppa del Mondo a Meribel. Nonostante ciò sei stato sollevato dall’incarico di responsabile delle specialità tecniche femminili. Che cosa non ha funzionato nel tuo rapporto con la Federazione italiana?
“Sinceramente non l’ho capito neanch’io. La mia gestione è stata sicuramente positiva non solo per i risultati raggiunti, ma anche per le condizioni in cui sono arrivati. Non ci dimentichiamo che ho portato quasi tutte le ragazze nelle migliori posizioni di partenza dopo aver svolto il mio primo raduno a Stubai nel 2013 con due sole atlete perché tutte le altre erano alle prese con infortuni e malanni vari”.

Se potessi tornare indietro c’è qualcosa che non rifaresti?
“Assolutamente no. La mia unica colpa, se così vogliamo chiamarla, è stata quella di aver proposto un metodo di lavoro troppo professionale e troppo esasperato per ottenere il massimo risultato, che per me è soltanto la vittoria. In Italia, invece, ci si è sempre accontentati di buoni podi e qualche successo. Per quanto mi riguarda, non riuscirei mai ad allenare senza pormi obiettivi di altissimo livello”.

Allora non dev’essere stato per niente facile passare da Tina Maze alla Federazione italiana.
“Già. Essendo abituato alla mentalità vincente del team Maze, per me era normale puntare in alto e spremere le atlete il più possibile in base alle specifiche qualità individuali. Purtroppo non sono stato capito non solo dalle atlete, ma neanche dagli altri componenti del team e dai responsabili della Federazione italiana”.

Cosa ne pensi dei risultati delle azzurre di oggi?
“Non è certo un caso che adesso stiano iniziando a ottenere buoni risultati proprio con quelle atlete che già nel 2014 avevo detto che avrebbero potuto togliersi grandi soddisfazioni qualora fossero state inserite in un sistema diverso e più professionale”.

Prima di allenare Petra hai portato Tina Maze alla conquista della Coppa del Mondo generale con la bellezza di 2.414 punti. Quali sono le differenze tra le due campionesse?
“Petra e Tina non sono paragonabili. Tina è stata una fuoriclasse in tutto e per tutto. Io stesso ho imparato tanto da lei. Era in grado di arrivare ai risultati sia con la classe che con il lavoro. Petra, invece, al momento è una campionessa ‘lavoratrice’, nel senso che riesce a vincere con tanto lavoro ma con poca classe. Ha ancora tanto da imparare prima di avvicinarsi a Tina”.

Il tecnico bergamasco è stato uno dei maggiori artefici dei successi di Tina Maze

Lo scorso gennaio, dopo la fantastica vittoria di Petra nello slalom di Zagabria, sei stato accusato ferocemente dal team Shiffrin di aver “spiato” gli allenamenti della fuoriclasse americana. Vuoi spiegarci meglio l’accaduto?
“Tutti i team di Coppa del Mondo, in gara come in allenamento, possono filmare le performance degli atleti che vincono e raggiungono risultati di livello. Non sono stato il primo e non sarò certo l’ultimo. La finalità è soltanto quella di imparare dai più forti e non è mica illegale cercare di comprendere dove si vince o si perde una gara. Del resto non vi è alcuna regola della FIS (la Federsci internazionale, nda) che impedisca di filmare gli atleti”.

Allora ti sei chiesto quale fosse la causa di tanto nervosismo e risentimento nei tuoi confronti?
“Il team Shiffrin sa benissimo che il loro comportamento è stato indegno tanto che ci hanno chiesto scusa in occasione della gara successiva. Naturalmente non li ho ascoltati né tantomeno perdonati. Era la solita manfrina americana tra sorrisi e sorrisetti. Tanto la verità è un’altra…”.

Cioè?
“Sono conosciuti nel nostro ambiente perché non amano perdere. Evidentemente non sanno neanche perdere…”.

Consentimi una battuta: come potevano pretendere gli americani di dare lezioni di sport a Livio Magoni?
“Ben detto! Ho la fortuna di essere cresciuto in una famiglia di sportivi di alto livello e quindi so bene come funziona questo mondo. Paola è stata campionessa olimpica a Sarajevo nel 1984, mentre io e Sonia abbiamo fatto parte della squadra azzurra in Coppa del Mondo. Oscar, invece, dopo aver sciato con buoni risultati in Coppa Europa, ha deciso di cambiare disciplina sportiva e si è tolto grandi soddisfazioni nel calcio giocando tanti anni in Serie A”.

A proposito, sei tifoso di qualche squadra?
“Ho iniziato a seguire ancora di più il calcio facendo il tifo per mio fratello. In ogni caso non sono un semplice tifoso, ma un vero e proprio ultrà dell’Atalanta. Di questi tempi sono davvero orgoglioso della mia squadra del cuore”.

Invece quali sono i tuoi allenatori di calcio preferiti?
“Ammiro tutti coloro che sono in grado di apportare cambiamenti notevoli nella gestione della squadra, riuscendo ad arrivare al successo attraverso una loro impronta. Mi sono sempre piaciuti Sacchi, Capello e Ancelotti, mentre oggi mi rivedo tanto in Gasperini. Quando allenava l’Inter nessuno lo aveva capito, ma adesso i risultati dell’Atalanta sono sotto gli occhi di tutti”.

Proprio come i tuoi. Che altro dire, buona fortuna Livio!
“Grazie, ne ho davvero bisogno. Siamo un piccolo team e lottiamo soli contro tutti”.

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