Ivan Krapić A Parigi per chiudere il cerchio

Il centroboa fiumano, capitano della nazionale, racconta la straordinaria cavalcata della Croazia che a Spalato ha conquistato il suo secondo titolo continentale e guarda già ai Giochi del 2024

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Ivan Krapić  A Parigi per chiudere il cerchio
Il centroboa fiumano è il capitano della nazionale croata. Foto: MARKO LUKUNIC/PIXSELL

È tornato in nazionale dall’entrata secondaria. Quasi senza voler disturbare. Dopo le Olimpiadi di Tokyo è iniziato il processo di ricambio generazionale e Ivica Tucak ha subito pensato a lui, perfettamente consapevole di come la sua esperienza sarebbe stata fondamentale in un gruppo nuovo e con tanti esordienti, assegnandogli pure i gradi di capitano. A sollevare il trofeo destinato alla squadra campione d’Europa, nel delirio della Spaladium Arena, è stato il centroboa fiumano Ivan Krapić. Di gol ne ha segnati pochi, ma il suo compito non è tanto gonfiare la rete quanto piuttosto lottare con i difensori avversari cercando di assicurare alla propria squadra la superiorità numerica in fase d’attacco. Insomma, è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo. E lui l’ha fatto magistralmente, come del resto anche i suoi compagni, riportando la Croazia sul trono d’Europa a distanza di 12 anni dal trionfo di Zagabria.

Ivan Krapić solleva il trofeo destinato alla squadra campione d’Europa.
Foto: HINA/ MARIO STRMOTIĆ

Che cosa si prova a essere campioni d’Europa?
“Diciamo che non l’ho ancora realizzato pienamente. Ora mi sto godendo finalmente qualche giorno di riposo e quando sono in vacanza la pallanuoto è l’ultimo dei miei pensieri…”.

Come avete festeggiato?
“Con una cena assieme a tutta la Federazione, alla quale peraltro erano stati invitati anche molti altri ospiti. Dopodiché ci siamo ritrovati soltanto noi giocatori per festeggiare e chiudere in bellezza un’estate interminabile, ma ricca di soddisfazioni”.

Qual è stata la chiave nella finale contro l’Ungheria?
“La nostra compattezza e una difesa granitica. Nei momenti decisivi della partita siamo stati bravi a non prendere gol e non farci acciuffare dagli ungheresi che erano sempre attaccati al punteggio. E poi a spingerci è stato un pubblico semplicemente eccezionale: un’atmosfera come quella in semifinale e in finale non l’ho mai vissuta prima e probabilmente non la rivivrò mai più nella mia carriera da giocatore”.

Indubbiamente il pubblico è stato per voi l’uomo in più, ma d’altra parte giocare in una bolgia ti carica anche di tanta pressione…
“In realtà no. Nelle prime due partite del girone abbiamo avvertito un po’ questo peso perché non eravamo abituati a giocare davanti a così tante persone. Da lì in poi il tifo è stata la nostra arma in più e, anzi, ha messo sotto pressione i nostri avversari. Ne avevo infatti parlato con i francesi, italiani e ungheresi e tutti loro mi hanno confessato che è stata dura giocare in un ambiente così infuocato”.

C’è stato un momento nel corso del torneo in cui avete capito che sareste arrivati fino in fondo o ve ne siete resi conto soltanto al termine della finale?
“Dopo il successo sull’Italia in semifinale era diventato chiaro che la medaglia d’oro era a portata di mano e che davanti a un pubblico così sarebbe stato molto difficile batterci”.

Già con il quarto posto ai Mondiali di Budapest avevate lanciato un chiaro segnale sulle potenzialità di questa Croazia.
“Quando arrivi tra le migliori quattro squadre del mondo vuol dire che sei lì a giocarti un posto sul podio. Sapevamo che saremmo ulteriormente cresciuti dopo Budapest e che potevamo ambire a qualcosa di grande, ma le squadre più forti sono tutte più o meno sullo stesso livello perciò sul piano tecnico le differenze tra un quarto e un primo posto sono davvero minime. È ovvio poi che per vincere l’oro tanti pezzi devono incastrarsi e noi, per tutto quello che abbiamo fatto vedere, ce lo siamo presi con grande merito”.

Dopo Tokyo c’è stata una rivoluzione, eppure in meno di un anno siete riusciti a trovare il giusto affiatamento.
“La chimica all’interno dello spogliatoio è una delle basi negli sport di squadra. Puoi anche avere una squadra imbottita di fenomeni, ma se manca quella complicità tra i giocatori non andrai lontano. È un aspetto sul quale abbiamo insistito molto durante la preparazione, anche per compensare qualche lacuna a livello individuale”.

In una nazionale senza stelle è il gruppo a fare la differenza…
“Non è una squadra senza stelle visto che abbiamo due fuoriclasse assoluti come Bijač e Vrlić, che in questo momento sono il miglior portiere e centroboa al mondo. Poi è chiaro che rispetto alle generazioni precedenti ci sono meno stelle, se pensiamo a giocatori del calibro di Joković, Bušlje, Garcia, Lončar e prima ancora Sukno”.

Il tuo ritorno in nazionale è stata un po’ una sorpresa: molti pensavano che questo capitolo fosse ormai chiuso.
“L’arrivo di Vrlić dopo il Mondiale di cinque anni fa ha cambiato un po’ le gerarchie. Ne avevo parlato apertamente con Tucak il quale mi spiegò che puntava su Vrlić e Lončar. Compresi benissimo le sue motivazioni perché oggettivamente non ero al loro livello, però gli dissi che la mia porta restava comunque aperta e che se in futuro avesse avuto bisogno di me, io ci sarei stato. Ed effettivamente andò proprio così. Un anno fa mi chiamò chiedendomi se fossi disponibile a tornare e di mettere la mia esperienza al servizio del nuovo gruppo che si stava costruendo. La mia disponibilità nei confronti della nazionale non è mai venuta meno”.

Questo titolo vinto in casa è il coronamento della tua carriera?
“I conti li farò una volta che lascerò la pallanuoto. Ora voglio provare a vincere altri titoli e medaglie”.

Ciò significa che non hai intenzione di appendere la calottina della nazionale al chiodo?
“L’appetito vien mangiando e dopo un successo come questo vuoi subito tornare in vasca per inseguirne un altro. Non sono più un ragazzino, ma so di avere ancora qualcosa da dare alla squadra”.

Nel 2017 hai vinto il titolo iridato, adesso quello continentale e ora alla tua collezione manca soltanto l’oro a cinque cerchi. E tra due anni ci sono le Olimpiadi di Parigi…
“Ho vinto l’argento a Rio, ma l’oro sarebbe un sogno. Vediamo. A Parigi mancano ancora due anni e da qui ad allora tante cose possono cambiare”.

Tu che in Francia sei ormai di casa…
“È vero. Mi appresto a vivere la mia terza stagione al Noisy. Mi trovo veramente benissimo, la società è molto ambiziosa e dopo le due finali play-off perse, quest’anno ci siamo ulteriormente rinforzati per provare a compiere quel passo in più e prenderci finalmente il titolo”.

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