Il sistema binario uomo-donna ha ancora senso nello sport di oggi?

L'argomento è stato trattato alla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume

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Il sistema binario uomo-donna ha ancora senso nello sport di oggi?
Il docente Fabio Iudica. Foto: Ivor Hreljanović

La partecipazione degli atleti transgender alle gare sportive è un tema molto dibattuto, che alimenta polemiche e controversie. C’è chi è contrario all’ammissione delle donne transgender nelle competizioni femminili tirando in ballo vantaggi competitivi rispetto alle donne cisgender (ovvero nate biologicamente femmine), e chi invece ne fa un discorso sociale sostenendo l’importanza dell’inclusione. Chi ha cambiato per sempre la percezione della questione di genere nel mondo dello sport è stata la mezzafondista sudafricana Caster Semenya, bicampionessa olimpica degli 800 metri piani. Tra squalifiche, test e udienze in tribunale, è stata più volte accusata di essere un uomo quando in realtà è una donna con iperandrogenismo, una condizione che provoca una produzione anomala di ormoni maschili. Ma di esempi ce ne sono tanti. A Tokyo 2020 la sollevatrice neozelandese Laurel Hubbard è stata la prima atleta transgender dichiarata a partecipare ai Giochi olimpici. Nella stessa edizione la calciatrice canadese Rebecca Catherine Quinn è stata invece la prima atleta trans a conquistare la medaglia d’oro. Restando in tema di Olimpiadi, a Parigi 2024 era esploso il caso della pugile algerina Imane Khelif, anche lei ingiustamente accusata di essere un uomo. Ingiustamente perché non si tratta di un’atleta transgender, cioè non ha fatto il percorso di transizione da uomo a donna, bensì di un’atleta intersex, ossia una condizione caratterizzata dalle variazioni naturali delle caratteristiche del sesso. E, attenzione, perché non si tratta di una malattia o di un disordine, ma di una cosa spontanea.

Ma qual è oggi lo status degli atleti transgender nello sport? L’argomento è stato trattato alla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume nell’ambito del Corso di Introduzione allo studio del diritto italiano, promosso dalla stessa Facoltà di Giurisprudenza con il supporto dell’Unione Italiana e l’alto patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Fiume. A occuparsene è stato Fabio Iudica dell’Università degli Studi di Milano, il quale ha iniziato la sua disamina parlando del caso di qualche anno fa della pallavolista transgender Tiffany Pereira, arrivata nel campionato italiano di A2, che aveva suscitato aspre polemiche e che la stessa Federvolley italiana non sapeva come gestire. Si è parlato anche di atlete iperandrogine. Il caso più eclatante è stato naturalmente quello di Caster Semenya e del tira e molla tra la Federazione internazionale di atletica e il TAS di Losanna al quale la mezzofondista fece ricorso. Non poteva mancare il caso Imane Khelif, squalificata dalla Federboxe internazionale, ma ammessa dal Comitato olimpico internazionale a prendere parte alle Olimpiadi di Parigi. “L’aspetto curioso è che il caso è scoppiato dopo il ritiro della pugile italiana Angela Carini. Prima di allora nessuna sua avversaria si era mai lamentata”, ha ricordato il docente. È molto curioso poi il caso dell’atleta ipovedente Valentina Petrillo, alla quale dopo il cambio di genere non è stato concesso di competere con le donne da parte della Federatletica italiana e del CIO, mentre invece la Federazione italiana di paratletica e il Comitato internazionale paralimpico glielo hanno permesso.

Come emerso nel corso della lezione, sono tutte questioni alquanto spinose e complesse ed è pertanto difficile per i vari organismi, dal CIO alle singole federazioni, trovare delle norme in grado di garantire l’equità delle competizioni sportive. Nel corso della serata Fabio Iudica ha sollevato diverse domande, più o meno provocatorie, girandole poi agli studenti. “Ha senso mantenere il sistema binario uomo-donna nello sport di oggi, dove ci sono molti atleti transgender, fluidi, non binari e così via? Tra 20 anni il sesso sarà ancora l’elemento distintivo nel mondo dello sport?

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