Bruno Valčić Al Giro d’Italia sarà lui a dire così non… VAR

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Bruno Valčić Al Giro d’Italia sarà lui a dire così non… VAR

Come ormai noto, nel 2018 il VAR (Video Assistent Referee) ha fatto l’esordio nei Mondiali di calcio in Russia. È passato un po’ sottotraccia però il fatto che sempre l’anno scorso la tecnologia ha fatto il suo ingresso con le stesse modalità anche nel ciclismo che conta. Vero, anche in passato i giudici di gara avevano l’ausilio della prova TV per sanzionare i… colpevoli, ma di solito dovevano attendere la fine della corsa o della tappa. Dall’anno scorso invece possono intervenire in diretta e in casi estremi possono espellere un ciclista anche prima della fine della gara.

Nel primo anno i giudici VAR erano soltanto quattro, un italiano, un francese, uno spagnolo e un belga. Perché loro? Perché la tecnologia è stata usata nei Paesi che ospitano i grandi giri (Francia, Italia e Spagna), le classiche monumento e i Mondiali di Innsbruck. Quest’anno il loro numero è stato raddoppiato e tra le new entry c’è anche il rinomato giudice di gara polese Bruno Valčić. Giudice dal 1987, 10 anni dopo si è guadagnato il titolo di Commissario UCI (Unione ciclistica internazionale) e finora ha fatto parte del collegio a tre Giri d’Italia, due Tour de France e una Vuelta. Alla Vuelta del 2015 e al Tour del 2016 era a capo del Collegio arbitrale. Nel suo palmares figurano anche due Campionati del mondo e i Giochi olimpici del 2012 a Londra, nonché quasi una trentina di corse del circuito World Tour. Come dire, il Collina del ciclismo. E per quest’anno è stato designato giudice VAR al Giro d’Italia e ai Mondiali dello Yorkshire. Lo abbiamo incontrato dopo il primo appuntamento pratico al VAR.
“A inizio marzo ho preso parte a due gare in Belgio. Alla prima, l’Omloop Het Nieuwsblad, ho fatto da giudice della gara, alla seconda la Kuurne-Bruxelles-Kuurne ho fatto da giudice VAR. Abbiamo sperimentato subito la tecnologia con i primi risultati concreti per quello che mi riguarda, tanto che abbiamo squalificato un ciclista che per evitare un tratto in pavè ha pedalato tra gli spettatori, cosa proibita quando le condizioni di corsa sono normali”.

Ci spieghi un po’ le peculiarità del giudice VAR nel ciclismo?

“Dunque, l’Unione ciclistica internazionale ha allestito un furgone con tutta la tecnologia necessaria. Nel team VAR, oltre al giudice ci sono l’autista e un tecnico pronto a risolvere eventuali inconvenienti. Il mio compito è quello di seguire tutto quello che succede in gara ed è visibile dalle telecamere della produzione TV. Ma non solo, posso usare come prova anche i video caricati sui vari social network o su You tube. Se noto qualcosa di strano, qualcosa in contrasto con le regole del ciclismo, allora lo segnalo al presidente del Collegio arbitrale inviandogli anche il video. Sta a lui poi decidere se avviare la pratica o no e prendere, dopo essersi consultato con gli altri giudici, me compreso, la decisione finale. Ripeto, il mio è soltanto un suggerimento di partenza, io non posso decidere da solo se qualcosa è punibile e in che modo.

Se abbiamo capito bene, il giudice si fa tutta o buona parte della gara nel furgone?

“Esatto. Io devo essere all’interno del furgone quando inizia la diretta della corsa, ovvero da quando le telecamere fisse e mobili (sull’elicottero o sulle motociclette) seguono la corsa. Ai grandi giri vengono trasmesse in diretta le ultime due-tre ore della tappa, anche se in alcuni casi c’è la diretta integrale dalla partenza all’arrivo. Ai Mondiali, per dirla, viene coperto tutto, dal primo all’ultimo chilometro. E nello Yorkshire a fine settembre mi farò 7 ore nel furgone. Avrò davanti uno schermo con al minimo cinque inquadrature. Quella principale che proietta le stesse immagini che si vedono in TV e al minimo altre quattro che al momento non vanno in diretta. E c’è tutta la possibilità di registrare, tornare indietro con le immagini per prendere la decisione giusta. Il furgone VAR è posizionato sempre all’arrivo, nelle immediate vicinanze della produzione TV. Ed è qui che a fine gara si ripassano le immagini più importanti, a partire dallo sprint finale”.

Quali sono le infrazioni più frequenti che vengono commesse dai ciclisti?

“Le più frequenti sono quelle nelle volate di gruppo quando non mancano le spintonate oppure i repentini cambi di direzione che non sono ammessi. Ci sono poi casi di sfruttamento della scia delle automobili dei direttori sportivi, oppure il traino attaccati alle stesse”.

A proposito di traino, lei è stato a capo del Collegio arbitrale che nel 2015 espulse Nibali dalla Vuelta una volta conclusa la tappa. Sarebbe cambiato qualcosa con il VAR?

“Forse sarebbe stato espulso prima ancora di tagliare il traguardo. Uno dei motivi dell’introduzione del VAR è proprio quello di evitare che qualcosa si trascini troppo nel tempo. Nel caso di Nibali, noi siamo intervenuti soltanto dopo una segnalazione del traino immortalata da una telecamera. Se avessimo avuto in diretta la possibilità di usare il VAR forse l’avremmo estromesso prima dell’arrivo. C’è infatti il rischio che qualche ciclista che abbia commesso un’infrazione punibile vinca la corsa o finisca sul podio e allora anche la premiazione sarebbe falsata”.

Guarda caso, lei era a capo della Giuria pure nel Tour del 2016 quando Froome finì a terra a 1,2 km dal traguardo per colpa di una caduta causata da una moto della produzione TV e si fece un tratto di corsa a piedi…

“Lì il Var non avrebbe potuto fare niente. La colpa non era dei ciclisti che, anzi, erano le vittime dell’episodio. In quel caso eravamo chiusi nello stanzino della giuria per una buona mezz’ora prima di decidere il da farsi”.

Nel ciclismo, dunque, i giudici di gara hanno anche un tempo abbastanza ragionevole per prendere le decisioni. A differenza di quello che succede nel calcio.

“Il loro operato è senza dubbio più difficile in quanto devono decidere subito, nell’arco di pochissimi minuti. E quando hanno deciso non hanno la possibilità di ritornare sui propri passi e al 90’ la partita di calcio finisce, non ci sono appelli. Da questo punto di vista noi siamo avvantaggiati in quanto possiamo prenderci tutto il tempo che ci serve senza inficiare il risultato. Comunque il VAR è un grandissimo aiuto”.

E come l’hanno presa i ciclisti?

“Bene. In questo modo si riducono di molto le possibilità di imbrogliare e chi vuole vincere in modo leale non può che prenderla bene”.

Il 2019 è dunque per lei nel segno del VAR. Ma non si limita alla stessa?

“Effettivamente no, in quanto faccio anche da giudice tecnico. Sono uno dei 10 giudici internazionali che hanno il compito di controllare le biciclette alla partenza e all’arrivo con l’uso della tecnologia ovvero dei tablet e in alcuni casi di un’apparecchiatura che passa ai raggi X le bici per evitare che non siano alimentate da quelli che in gergo vengono chiamati motorini. Un battaglia che viene portata avanti da alcuni anni. Ricordo che al Tour del 2016 si parlava più di questo che di altro”.

Nella sua carriera ha fatto anche il giudice antidoping.

“Fino al 2012. Poi dovevamo scegliere se fare il giudice antidoping oppure quello di gara. Ho optato per la seconda alternativa e dovevo decidere se coniugare il ciclismo su strada con quello su pista, il ciclocross con la mountain bike, oppure la strada e il ciclocross. Ho deciso per quest’ultima”.

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