Abdon Pamich. Ritorno alle origini

L'ex marciatore fiumano sta trascorrendo qualche giorno nella sua città natale. «Le mie origini sono qui, Roma è stato un incidente di... percorso»

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Abdon Pamich. Ritorno alle origini

Il richiamo delle proprie origini è stato ancora una volta troppo forte. Passano gli anni, ma la nostalgia verso le sue radici e la sua Fiume resta intatta. Abdon Pamich è tornato nella sua città dov’è nato nel lontano 1933 e che poi è stato costretto a lasciare con l’esodo giuliano-dalmata. Uno dei giganti della marcia italiana, oro a Tokyo 1964 e bronzo a Roma 1960 nella 50 km, sta trascorrendo qualche giorno nei luoghi della sua infanzia, in una città che però non ha più nulla a che vedere con quella nella quale è cresciuto. Ma non siamo qui per riaprire dolorose ferite e cicatrici. Stavolta si è fatto dare un “passaggio” da Francesco Squarcia, un altro che non riesce a stare lontano da queste terre, al quale lo lega una lunga amicizia nata tanti anni fa a Roma, dove entrambi risiedono. Chiediamo a Pamich:

Da quanto vi conoscete?

“Quando arrivi a una certa età perdi un po’ la cognizione del tempo. Saranno credo 10-15 anni, ma non è tanto la durata. Con lui è come se fosse amicizia eterna”.

Immagino vi vediate spesso a Roma?

“Siamo stati assieme un mese fa al Senato in occasione delle celebrazioni del Giorno del ricordo”.

Com’è stato?

“Una cerimonia sobria. Ha parlato la presidente del Senato e poi Mario Draghi; c’è stata la premiazione degli studenti di vari istituti scolastici per i loro lavori sul tema, e poi ancora incontri, musica, Francesco ha suonato… Comunque è scivolata via abbastanza velocemente”.

Ha per caso parlato con Draghi o Mattarella?

“No”.

Tornando a Francesco, le ha mai proposto una collaborazione?

“Di recente ho scritto una poesia sul Quarnero. A lui è piaciuta tanto al punto che ha deciso di ‘rubarla’ per farne l’introduzione di una sua canzone che sta incidendo”.

Restando in tema, che genere di musica ascolta?

“Quella che rimane per 20 anni, non quelle canzoni che spariscono dopo un anno”.

Mi faccia un nome.

“Sting. In Italia Battisti, con i testi di Mogol, la voce irripetibile di Mina…”.

Ha visto Sanremo?

“Macché. Una volta era il Festival delle canzoni, oggi è il Festival dei buffoni…”.

Cambiamo argomento. È la prima volta che torna a Fiume dopo il lockdown?

“No, sono stato qui per Ognissanti”.

Come sono stati questi due anni di pandemia lì a Roma?

“Io uscivo lo stesso. Sono uno che ha bisogno di muoversi e non riesco a starmene chiuso in casa”.

Da grande marciatore qual è stato sarebbe stato strano il contrario…

“Alle volte giravo anche senza mascherina…”.

Quindi rischiando una bella multa…

“Una volta un carabiniere voleva farmi un verbale anche se eravamo in due nel raggio di un chilometro… Un conto è al chiuso, ma in una strada vuota chi mai avrei potuto contagiare? Per fortuna l’agente l’ha capito. Va bene le regole, ma alle volte ci vuole anche un po’ di buon senso”.

Ha avuto il Covid?

“No”.

Qual è stato l’aspetto più difficile del lockdown?

“L’incertezza perché non sapevi come sarebbe andata a finire. Avrei anche voluto andare a trovare mio figlio e i miei nipoti negli Stati Uniti, ma ho dovuto rinunciare. Mi sentivo un po’ in prigione e questa cosa mi scocciava parecchio. Almeno ho un grande terrazzo e quindi trascorrevo molto tempo fuori”.

Giacché parliamo di attualità non posso non chiederle un parere su quanto sta succedendo in Ucraina. E lei ne sa qualcosa avendo vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra.

“Uno che non ha vissuto sotto le bombe non può capire il dramma che sta vivendo quella gente. Me li ricordo bene i bombardamenti, i cadaveri nelle strade, quando da ragazzi giocavamo al parco e sopra le nostre teste sentivamo fischiare le pallottole. Per non parlare di quando i tedeschi avevano fatto saltare il porto, che è stato peggio dei bombardamenti. Non è rimasto in piedi nulla, nemmeno un pezzo delle rive. Quanto all’Ucraina, non pensavo fosse possibile una cosa del genere al giorno d’oggi. Potrei al limite anche comprendere le pretese sul Donbass, che è una regione russofona, ma invadere un Paese intero è follia pura”.

Secondo lei lo sport può fare qualcosa in questa situazione?

“Con quelle teste là che cosa vuole che faccia lo sport?”

E allora viriamo proprio sullo sport: immagino abbia seguito le Olimpiadi nella “sua” Tokyo?

“Per l’Italia è stata un’edizione irripetibile”.

Le sorprese più grandi sono arrivate dall’atletica con gli ori di Jacobs, della 4×100, di Tamberi e della Palmisano.

“Questo è il bello delle Olimpiadi, dove le sorprese sono sempre dietro l’angolo”.

E che cosa mi dice della marcia?

“Che ai miei tempi più le distanze erano grandi e più atleti c’erano in gara, mentre oggi invece è il contrario. Una volta ti facevano partire alle due del pomeriggio in piena estate e il primo rifornimento era appena al decimo chilometro e spesso ci arrivavi disidratato. Oggi invece partenza all’alba, rifornimenti a ogni passo, eppure gli atleti finiscono lo stesso disidratati…”.

Segue anche altri sport?

“La mia prima passione è stato il pugilato. Mio zio organizzava incontri e gestiva anche una palestra perciò da piccolo trascorrevo molto tempo con i pugili. Ma comunque più in generale seguo un po’ tutti gli sport”.

Quindi avrà visto anche i Giochi invernali di Pechino.

“Soprattutto le gare di fondo, che ricordano un po’ la marcia…”.

E per finire un paio di domande flash: Fiume o Roma?

“Fiume. Qui ho le mie radici. Roma è stata un incidente di percorso…”.

In che senso?

“Nel senso che stavo meglio a Genova. Roma è una città incasinata e disordinata, buona solo per il turismo. A Genova lavoravo alla Esso, poi la società si è trasferita a Roma e ho dovuto trasferirmi anch’io”.

Roma o Lazio?

“Non sono tifoso”.

Jacobs o Tamberi?

“Jacobs. Tamberi piace molto ai giornalisti perché è un personaggio. Oggi non basta più vincere, ma bisogna fare pure i pagliacci…”.

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