Voltiamo pagina, o semplicemente, voltiamo la carta

In quest’inizio dell’anno, cerchiamo di osservare bene che cosa ci ha riservato l’imminente futuro. Potremmo scoprire tante cose nuove, buone, positive, ma soprattutto promettenti, favorendo e incoraggiando idee, progetti e azioni che porteranno questo mondo a diventare un luogo più umano

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Voltiamo pagina, o semplicemente, voltiamo la carta
Foto SHUTTERSTOCK

Voltiamo pagina o, semplicemente, voltiamo la carta, un’espressione usata, in primo luogo, dai giocatori di carte. Dalle nostre parti pensiamo ai giocatori di briscola o di tressette che, nei tempi passati, si radunavano in famiglia o tra gruppi di amici e specialmente in osteria dove echeggiavano i vari: “Ciò! Cossa ti ga?”, “Volta la carta o dame la carta!”… Eh, tempi lontani. Un po’ di nostalgia, vero?

Apertura illustre con il mitico Faber
Qui, però, non giocheremo a carte. Mi sono incamminata lungo un altro sentiero, quello che porta il titolo della poesia scritta e cantata dal mitico Faber, il cantautore genovese Fabrizio de André, di cui l’11 gennaio ricorre l’anniversario della scomparsa, anche se, in verità, lui vive ancora e sempre attraverso i suoi versi e le sue melodie.
Lo ha affermato il grande maestro Nicola Piovani, nell’intervista rilasciata a Graziella Balestrieri e pubblicata su uno dei quotidiani italiani, il 18 gennaio scorso. Collaboratore e coautore in due album di De André, entusiasmato dai loro incontri in cui “inventavano soluzioni, ipotizzavano esperimenti, cantavano e suonavano insieme a lungo. Fabrizio era un libero pensatore, un poeta autentico. E i poeti hanno avuto sempre difficoltà a essere ascoltati da tutti. Ma ci sono sempre, ieri come ora, animi bisognosi di poesia, felici di ascoltarli (…)”.
Piovani continua nella sua intervista constatando che “c’è penuria di liberi pensatori, di poeti che non si misurano sul numero di copie vendute. Anche se ce ne sono: ne conosco diversi, che fanno meno chiasso, ma che vivono per la poesia, non per i privilegi che possono derivare dalla professione di ‘poeta’”. Come lo era e come lo è Fabrizio de André.
La poesia, ispirazione di quest’articolo, a prima vista scombinata e stramba, sembra una serie di ritagli incollati a casaccio, di varie cantilene popolari, armonizzata dalla stessa melodia ritmica che accompagna le filastrocche e le ballate popolari. Immergendomi nel ritmo musicale dei versi, incontro all’inizio della storia la donna, il villano, la guerra e i piedi scalzi dei soldati; mi fermo perché il complesso racconto continua aggiunendo altre immagini e storie, ampie e desiderose di essere interpretate nelle loro diverse sfaccettature poetiche.

La donna
L’immagine della donna che semina il grano da sempre accompagna la vita dell’umanità: si tratta di un’immagine primordiale della donna che incontriamo dal Neolitico in poi sulle pareti rupestri, e non solo. Leggo da diverse fonti che i resti di grano, risalenti a 23.000 anni fa, sono stati rinvenuti a sud del lago di Tiberiade, in Israele. Altre fonti rivelano che il primo cereale fu “addomesticato” dall’uomo intorno al 7500 a.C., in Medio Oriente. Mi domando, ma chi c’è dietro l’addomesticazione dei cereali e del grano? C’è la donna. La donna addomesticatrice, la donna allevatrice, la donna contadina, la donna cacciatrice, la donna curatrice dell’ambiente domestico, la donna conservatrice del fuoco (ruolo reso sacro delle Vestali), la donna procreatrice, la donna nutrice, la donna custode della casa e della famiglia. Esistono altre immagini della donna: quella libera e selvaggia, la donna amazzone, la donna guerriera e la donna pacificatrice.
Il ruolo della donna nella storia umana parte dalla figura di Eva, la progenitrice, colei riconosciuta come la causa della caduta dell’uomo nell’Eden, con la successiva testimonianza delle difficoltà superate con perseveranza, che l’hanno riportata a Dio. Molte sono le donne che hanno avuto ruoli importantissimi, cruciali nella storia dell’uomo. Ne ho scelte soltanto alcune, diventate modelli di vita con il loro esempio e il loro carisma. Ricordo il ruolo di Hadassah o Ester, destinata a salvare il popolo d’Israele dopo essere diventata regina di Persia; il ruolo della Madonna, la giovane Maria che coglie l’Annunciazione “umile e alta più che creatura”, come la celebra il Sommo Poeta, e alla fine una figura femminile più vicina ai nostri tempi, santa Teresa Benedetta della Croce o Edith Stein, appassionata della verità, oggi con il ruolo di protettrice d’Europa.
Donne di ieri e donne di oggi che si fondono in un’unica figura di donna che resiste e che combatte vittoriosa, alla fine di ogni sua battaglia.
Un’altra immagine, quella della donna martire o vittima, non è mai sparita dalla faccia della Terra: l’apparente fragilità delle sua esistenza minacciata dalla crudeltà del mondo si è dimostrata e confermata resiliente e vittoriosa. La donna che semina il grano è la donna che semina la vita e conferma l’effetto moltiplicatorio che il suo ruolo genera nella storia umana. Insieme all’uomo, rappresentato dal villano.

Il villano
Il villano che zappa la terra, rappresenta la resilienza dell’uomo che ritorna ogni stagione alla sua terra, ripetendo gli stessi lavori con cura, con impegno, difendendo le piante e alla fine, raccogliendo i frutti delle proprie fatiche. Coltivare la terra porta in sé un significato nobilissimo, sublime in cui si partecipa alla ricreazione, seguendo il cambio delle stagioni e rispettando i loro ritmi. Il villano o il contadino, come viene definito oggi, lo vedo rappresentato dalla figura dell’uomo curvo, sotto il peso dei millenni, che ha in mano la zappa, le dita callose, piene di testimonianze del duro e costante lavoro. La sua figura, fragile e sofferente, il suo umile lavoro di contadino, dinanzi all’eterno nemico.
Chi è il nemico del villano? Chi è il nemico del contadino? Le risposte immediate chiamano in gioco tanti fattori, dagli animali predatori ai cambiamenti climatici e non so ancora che cosa. Non c’è tanto di vero in quelle risposte. Il peggiore nemico del contadino non è la natura. Ha imparato ad adattarsi e la conosce molto bene. Il vero nemico è l’ignoranza del mondo, causata dagli eccessi in tutte le espressioni della vita, che portano all’ipocrisia, all’avidità e all’indifferenza. Capiamo che il povero villano ha tanti nemici e sappiamo che non può combatterli tutti da solo. Né ieri né mai. Ora si trova ancora da solo, tra l’agricoltura biologica e l’urbanizzazione selvaggia, tra l’organico e i trattamenti chimici delle colture, tra le agevolazioni per l’agricoltura e gli intralci dell’amministrazione governativa. Il villano è una persona saggia, sa aspettare e sa pazientare. È pacifico come lo è il suolo che coltiva, ma quando gli si presenta la guerra, sul campo che coltiva, lui cerca solo di proteggere il coltivato. La guerra non lo riguarda. E se ne va.

La guerra
Una parola talmente brutta, negativa, cattiva, maligna, infame, crudele, spietata, violenta, distruttiva, che fa rima con terra, un’altra parola che conosce la prima, ma che continua a rimanere bella, positiva, buona, splendente, ricca, prolifica e sempre vincente.
La guerra è un tema difficile, pesante. Di solito, in un conflitto vengono coinvolte due parti che, per un certo disaccordo, non vedono altre soluzioni se non quella di combattere a tutti i costi per difendere i propri interessi. Le due parti sono spesso Paesi confinanti, che si contendono territori e ricchezze in essi presenti. Le decisioni vengono prese dai capi e vengono eseguite dagli eserciti, formati da militari, soldati, persone. Mentre le situazioni vengono gestite a tavolino, in realtà, i soldati non hanno più la voglia né la forza di combattere perché non vedono il senso di uccidere un’altra persona per meri interessi altrui. Perché, alla fin fine, non sono mai esistiti vincitori di guerre. Sono o siamo tutti perdenti, perché vengono distrutte e scompaiono dalla faccia della Terra centinaia, migliaia, milioni di vite umane. Eppure, ci insegnano che nella storia della guerra esistono sempre vincitori e vinti.
I vincitori , a eventi compiuti, sarebbero coloro che decidono dei destini dei vinti. Le conseguenze di tali decisioni vengono trasferite ai popoli dei vinti e succede così ancora oggi; abbiamo i prigionieri di guerra, imprigionati nei propri Paesi a servire il vincitore.
I vinti non sempre accettano le umiliazioni inflitte, ma cercano di ribellarsi. Ecco perché nel mondo d’oggi ci sono tante e troppe testimonianze di persone che vogliono sfuggire al proprio destino e come dicono i versi della canzone “A piedi scalzi” (Alborosie feat. Giuliano Sangiorgi), rifiutano le condizioni, rifiutano le guerre, rifiutano la violenza e scappano. I pochi fortunati ci riescono e raggiungono il proprio obiettivo. I meno fortunati cadono nelle mani di altri “vincitori” o cadono nel profondo degli abissi della vita e la storia continua e si ripete, come la melodia delle antiche filastrocche.
La musica continua con Angiolina che cammina, cammina attraverso tutti i versi, si veste da sposa e canta vittoria, chiama i ricordi con il loro nome e ci porta alla fine della poesia di Faber, che termina con l’espressione “volta la carta e finisce in gloria”.

Finire in gloria
Certo che finire in gloria può significare tante cose. Nel nostro caso, finire in gloria significherebbe far cessare tutte le guerre in questo mondo ferito e sanguinante. La gloria pretende dedizione, impegno, sacrificio, perseveranza e forza di resistere fino alla fine. Animati da aneliti comuni, solo gli autentici e i coraggiosi raggiungeranno un giorno anche questo traguardo.
Nel frattempo, cerchiamo all’inizio di voltare la nostra carta e osserviamola bene. Potremmo scoprire tante cose nuove, buone, positive, promettenti e allora sì che finiremmo in gloria.
Siamo a gennaio, la prima carta si sta voltando: vediamo ancora vite di donne, uomini, bambini minacciati, dispersi, cancellati dall’esistenza. A gennaio ricorrono tanti anniversari, si celebrano giornate internazionali come la Giornata internazionale degli orfani di guerra (che è stata celebrata il 6 gennaio) e verso la fine del mese ricorderemo la Shoah, una tra le più atroci testimonianze recenti della crudeltà presente nell’essere umano. Non aggiungiamone altre.
L’8 gennaio abbiamo ricordato il giorno della fondazione dell’African National Congress, un giorno che vuole enfatizzare la pace e la condivisione nel mondo, diffondendo valori morali universali e promovendo l’idea della Terra come pianeta unico in cui i popoli dovrebbero vivere uniti.
L’ultimo pensiero è relativo a ciò che dobbiamo portare avanti in questo anno, favorendo e incoraggiando idee, progetti e azioni che porteranno questo mondo a diventare un luogo più umano. E gloria allora diventerà davvero Gloria in excelsis Deo.
*docente del Dipartimento
di Studi Italiani
dell’Università di Zara

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