“Chi vive in baracca, chi suda il salario, chi ama l’amore e i sogni di gloria, chi sogna i milioni, chi gioca d’azzardo, chi suda, chi lotta, chi mangia una volta”. (Ma il cielo è sempre più blu, Rino Getano)
Sotto un cielo plumbeo di una costante minaccia nucleare, di bombardamenti e strategie belliche accompagnate da informazioni controllate, con la realtà di migliaia di morti, con il terrore nel cuore che cerca di schiacciare la speranza, vedo ritornare l’estate ancora una volta. Vedo i sorrisi dei bambini sulle spiagge, sento la loro allegria e le loro voci gioiose e voglio credere che la pace globale sia possibile. Voglio credere che l’umanità non abbia ancora raggiunto il punto di non ritorno. Voglio credere che il bene in noi e tra noi sia più forte del male crescente intorno a noi. Non dobbiamo permettergli di invadere le nostre vite e i nostri sogni sul mondo unito e sereno.
La pace non si ottiene con la forza. La pace non si ottiene nemmeno con la violenza che è strumento del male. La pace si costruisce. Con perseveranza e consapevolezza, con rinunce e sacrifici, con umiltà, tolleranza, solidarietà, rispetto, generosità e con amore. Ce lo sta ripetendo la storia, ma la memoria dell’uomo risulta essere molto corta ultimamente.
Nell’estate del 1975, Rino Gaetano lanciò la canzone dal titolo “Ma il cielo è sempre più blu”, che da subito ebbe un successo strepitoso e che continua tuttora ad attirare l’attenzione di numerosi artisti nelle loro reinterpretazioni. Il testo è una continua anafora della parola “chi” con la quale iniziano versi e immagini, rispecchiando realtà della società italiana degli anni Settanta e sebbene fossero passati cinquant’anni, potrebbero benissimo riflettere anche la situazione sociale odierna. In sostanza, poco è cambiato.
Vivere, sudare, amare, sognare – sono i primi verbi con i quali il testo fa conoscere all’ascoltatore la complessa quotidianità, entrando nelle case dei poveri e dei ricchi, degli anonimi e dei famosi, dei vincitori e dei vinti, giungendo al ritornello che diventa il titolo della stessa canzone. Nonostante tutto, il cielo è sempre più blu con un “ma” introduttivo dal sapore ironico. Infatti, nella quotidianità ripetitiva, dove non cambia quasi nulla, quella forza della perseveranza brilla di un celeste profondo. Nonostante tutto, brutto o bello, se si alzano gli occhi al cielo, l’azzurro ha il potere di sollevare gli animi.
Mi domando come ci canterebbe oggi Rino. Può darsi che ci ritroveremmo nelle stesse immagini descritte dalle stesse parole. È cambiato qualcosa in questi ultimi 50 anni di storia dell’uomo? Direi poco, almeno dalle nostre parti. Le persone continuano a vivere nelle baracche, sudano il loro salario, lottano per i loro diritti, vivono sempre più da sole, giocano col fuoco, entrano in crisi profonde di ogni tipo, scrivono e disegnano sui muri, cantano a Sanremo, odiano, reagiscono d’istinto, muoiono al lavoro, fanno la guerra, ma continuano pure a scrivere poesie, a sognare e ad amare.
Nelle nostre vite incontriamo ricchi, poveri, potenti, fragili, cattivi e buoni. Questi incontri ci insegnano che tutti su questa benedetta Terra, volenti o nolenti, dipendiamo gli uni dagli altri. Tutti, nonostante le distanze. Tutti, nonostante le differenze. La dipendenza ha una regola logica e palese e riguarda i pochi in cima alla piramide del potere che fanno crescere le proprie posizioni, usando e abusando delle leggi promulgate da loro stessi. Queste consentono di sfruttare le risorse altrui indisturbatamente, in quasi tutte le situazioni. Ecco perché si è arrivati oggi a vedere da una parte, l’esaltazione del lusso sfrenato oppure della tecnologia all’avanguardia, mentre dall’altra parte, le vite che rimangono umili, modeste e misere; spesso usate e gettate, calpestate, stropicciate, come se si trattasse di roba senza valore.
I tre mondi
Il mondo è da sempre stato soggetto alla disintegrazione. Voluta dall’uomo allo scopo di dominarlo. La frammentazione diventa il punto fondamentale d’azione di coloro che governano, controllano e manipolano le persone. Gli antichi latini avevano formulato il detto “divide et impera” e questo viene da sempre praticato da coloro che considerano sé stessi padroni dell’umanità. Si concentrano sui fenomeni che ci diversificano, enfatizzando il fatto che a volte diverse civiltà e culture sembrano addirittura opposte e inconciliabili. Ma è solo apparenza, una metà della verità nella quale esistono fenomeni, tradizioni, usanze e stili di vita molto simili e comuni tra tutti noi, superando le differenze. Sono facili da riconoscere e danno la possibilità di realizzare un altro modo di pensare la vita: la convivenza pacifica nel mondo tra bianchi, neri, rossi, gialli, verdi e blu. Questo richiede ottime preparazioni generali, responsabilità incondizionata e pura, profonde conoscenze e costante impegno a promuovere concetti che escludono assolutamente ogni tipo di sfruttamento e/o profitto. Richiede innanzittutto il dono dello spirito di servizio, servizio all’umanità.
E proprio qui che oggi “ci casca l’asino”: sulla promozione del servizio, della tolleranza, della solidarietà, della generosità, della condivisione, della serenità comune, della pace. Sembra che questi valori non siano più credibili. Li fanno sembrare superati perché appartengono ad altri tempi e vengono collocati nel dimenticatoio dell’indifferenza. Oggi bisogna adattarsi ai ritmi e ai significati contemporanei. Così dicono. Vorrei accentuare il fatto che chi lo dice, ha degli obiettivi personali, nascosti, sottili e corrotti con sviluppate strategie politiche, sociali ed economiche, ricorrendo quasi sempre a qualsiasi mezzo per convincere le masse che i tempi sono cambiati insieme ai valori. I valori umani sono intramontabili. Sono eterni. Tutti le altre prese di posizione rappresentano un gravissimo tradimento umano, un inganno che vuole annientare la condivisione del bene nelle comunità del mondo. Ci vuole tenere separati e lontani. Qui continuiamo a parlare di diversi mondi perché insistono a imporci questa configurazione mentale di spartizione del mondo in tre parti. Il terzo dei mondi si presenta con i suoi gravissimi problemi perché vive sulle spalle dei primi due, sviluppati e avanzati: povero, disorganizzato, malfunzionante, sottosviluppato, sovrappopolato e minaccioso per gli altri. Si cerca di rimuovere dalle menti il fatto che i primi due traggono enormi profitti sulle risorse del terzo, gestendoli e controllandoli con strumenti di corruzione di ogni tipo, nella comodità di mantenerlo nello status quo sociale e civile confuso e disordinato.
Viviamo in società profondamente corrotte: le virtù civili e morali vengono trasformate in oggetti, trattate come merce di scambio o di compravendita. Niente sfugge alla pazzia dell’avidità umana, tutto diventa oggetto di commercio sfrenato e incontrollabile, il cui unico fine è arricchirsi. Si raggiungono livelli impensabili di perdita del senno, dove il sano ragionamento diventa obiettivo di derisione e di esclusione.
Immagini di destini segnati
Così, chi è già ricco diventa ancor più ricco, evitando di guardare in faccia alle persone a cui deve la propria fortuna. E chi è povero, sprofonda sempre di più nella miseria, definito responsabile o addirittura colpevole delle proprie condizioni di vita. I rapporti tra i due mondi si chiudono in un circolo vizioso, bloccato con forza e arroganza. Il risultato di questo difficile e ingiusto rapporto lo vediamo oggi in migliaia di immagini che non sono presenti nel mondo dell’informazione perché i potenti, i ricchi, gli arroganti, i corrotti non vogliono ammettere il proprio coinvolgimento, insensibili alle pietose immagini di persone in difficoltà tra cui sono maggiormente presenti i bambini.
È vero che scene di vite stropicciate si possono incontrare in ogni parte del mondo. Nel primo mondo sono legate all’anonimato dei senzatetto, alla dannazione dei tossicodipendenti, all’invisibilità dei rifugiati e degli immigrati illegali, all’atrocità dei violenti, alla ferocia della criminalità, al silenzio dei più fragili, anziani e bambini. Nell’ultimo dei mondi, in quello terzo, si viene a conoscenza di situazioni invariate da decenni, di disagi seri e complessi: dalla miseria profonda alla grave denutrizione. Sono vere e proprie guerre mai dichiarate, tentacoli sopravvissuti del colonialismo. I bambini esposti per primi, le loro vite maggiormente stropicciate annientate nelle guerre dei grandi che hanno grandi pretese e interessi, dove le vite dei fanciulli risultano solo essere danni collaterali. I piccoli vengono al mondo in condizioni che si possono definire disastrose e disperate. Non possiamo immaginare cosa provano quando nascono in case senza luce e acqua potabile oppure sotto il cielo stellato, sotto il rimbombo delle esplosioni della cattiveria umana. Sono già colpevoli di essere nati in un mondo sbagliato, nel momento sbagliato. Sono colpevoli anche di essere in troppi. Sono colpevoli perfino quando si ammalano e quando i loro genitori o parenti non sono in grado di curarli e ricorrono alle cure degli sciamani o degli erboristi locali perché gli ospedali non esistono, sono lontani o troppo costosi.
Ecco il primo caso particolare che conosco personalmente: il caso di Annointed, un bambino di circa nove anni, nato con la diagnosi di piede torto congenito. Secondo figlio in una famiglia che non ha mai conosciuto nemmeno una briciola di benessere, con una madre quasi bambina e un padre violento da cui è stato abbandonato. L’ho incontrato a scuola, alla Living Light Academy di Benin City (Nigeria). Un bambino dagli occhi tristi, ma dallo spirito impavido; dalle gambe più veloci dei piedi, nascosti negli scarponi che gli permettono di muoversi e, addirittura, di correre. Sempre pronto a dare giuste risposte in classe, in prima fila, più vispo degli altri; questo bambino era già adulto all’età di sette anni. L’unica sfortuna era di essere nato in condizioni di miseria in cui i genitori non sono riusciti a procuragli in tempo le cure necessarie per correggere il difetto presentatosi alla nascita. Curato nei primi mesi, seguito da quei pochi medici, Annointed poteva avere un’infanzia quasi regolare. Invece, oltre a essere colpevole di avere un difetto di deambulazione, è stato abbandonato dal padre che ha rinunciato alla famiglia, scomparso tra i 225 milioni di abitanti nigeriani. È stato abbandonato anche dalla società. La mamma, disperata, aveva sentito della nostra scuola, costruita con i supporti esteri (croati, italiani, europei), si è rivolta al preside e a noi. Ha trovato ascolto. La situazione di Annointed è stata presentata ad alcune strutture locali croate, ma non è stata accolta seriamente da persone a cui ci siamo rivolti come associazione umanitaria perché è difficile entrare nei reparti di ortopedia e in modo particolare, nelle procedure ospedaliere con tutti i costi e cure che potrebbero durare per anni. Con il “Chi pagherà i costi del viaggio, dei visti, delle cure?”, si sono scusati, facendo spallucce: non abbiamo le competenze. In un Paese europeo, ci siamo definiti incompetenti. Mi sono sentita incompetente e inerme. Davanti a un destino stropicciato, anch’io mi sono sentita stropicciata e calpestata. Abbandonata insieme ad Annointed, “Benedetto”.
Segue un’altra storia di abbandono, la storia di una famiglia abbandonata al proprio destino: Susan è una giovane donna che sta crescendo tre bambini da sola. Lasciata dal marito che le ha mandato un messaggio di addio senza farsi più sentire, ha avuto un umile sostegno dai genitori che sono scomparsi uno dopo l’altro, in un mese. Rimasta completamente sola, ha gridato aiuto e ha trovato ascolto. Siamo intervenuti, in pochi, ma è bastato. Ci siamo riusciti, questa volta. Ora può stare più tranquilla e la piccola Treasure, “Tesoro”, è tornata a scuola perché non deve badare ai fratellini Samuele e Isaia, che sono nel reparto della scuola materna.
La terza storia di un abbandono incomprensibile, di una madre che lascia la propria figlia e non si fa più sentire. Michelle è una ragazzina di dodici anni. Vive con la nonna Janet. È stata abbandonata dalla madre a soli cinque giorni di vita. La nonna si è presa cura di lei e la sta crescendo, da zelante cristiana che non si è mai arresa nonostante avesse numerosi problemi di salute. Quest’anno Michelle è svenuta a scuola, portata in ospedale e rianimata. Non si è giunti a nessuna diagnosi né cura. Un episodio che è stato accolto dalle nostre parti con urgenza e con supporti immediati. Sono seguiti gli esami accurati e la diagnosi chiara: denutrizione e malaria. Michelle ora sta bene. La nonna pure. Molti sono i casi simili, casi di abbandono, frequenti nei Paesi del sud del mondo ovvero nel sud dello stesso emisfero terrestre, ma non dello stesso emisfero umano. Siamo ancora distanti anni luce.

Distanti, diffidenti e silenziosi
Eppure le distanze non esistono quando si tratta di iniziare guerre e di difendere interessi e profitti. Perdonatemi, ma non riesco a capire questa follia con cui si decide un piano di stanziamento di 800 miliardi di euro per il riarmo. Le armi sono più importanti della dignità umana. Le armi sono quelle che portano la devastazione delle vite e della dignità. Continuo a non capire come si può ottenere la pace nel mondo conducendo guerre che portano a nuove guerre e alla perdizione totale. Le priorità umane e umanitarie vengono trascurate e zittite.
Nonostante fossimo tutti connessi globalmente, umanamente ci distanziamo e ci chiudiamo nei nostri bei giardinetti perfetti, inconsapevoli che questi giardinetti sono frutto non solo dei nostri sforzi, ma anche delle sofferenze altrui che vivono migliaia di chilometri lontano da noi. Diffidiamo gli uni degli altri perché vediamo il male in ogni richiesta di aiuto che arriva tramite organizzazioni umanitarie; basta un passo falso di una di loro per far crollare tutto il sistema di aiuti.
Ultimamente, in Croazia abbiamo accolto molte persone provenienti da vari Paesi asiatici, dal terzo mondo. Sono benvenuti? Non lo so. Le reazioni delle persone nella vita reale mi rattristano perché gli immigrati vengono visti come minaccia nella nostra società da cui i nostri giovani (e non solo) fuggono a gambe levate all’estero dove sperano di trovare condizioni di vita e di lavoro più favorevoli e dignitose. Non siamo pronti ad accogliere altri perché siamo ancora pieni di pregiudizi, ignorando il fatto che il mondo cambia di continuo. Bisogna ricordarsi che anche i nostri avi furono dei migranti, nei tempi antichi; arrivarono da lontano ad abitare i territori dove viviamo oggi. Noi non siamo padroni dei territori e nemmeno delle vite altrui. Siamo padroni e siamo responsabili delle nostre coscienze, dei nostri pensieri e degli atti che ne derivano. Un giorno, quando i padroni di oggi finiranno di tormentare il mondo con le loro falsità e le loro limitazioni, ci accorgeremo che il nostro futuro dipende solo ed esclusivamente da noi. Non dagli altri, potenti o meno. Solo noi siamo in grado di raddrizzare le vite stropicciate, le nostre insieme alle vite altrui.

Raddrizzare le vite
Concludiamo con il fatto che nel mondo bisogna partire dalla verità: nuda e cruda. Abbiamo bisogno di sentire e di esprimere la verità. Bisogna stabilire le priorità e la prima riguarda la dignità della vita umana. L’umanità invoca la pace in cui si devono sentire le voci di tutti, nessuno escluso. Bisogna superare l’ostacolo principale che ci viene imposto: la foschia mentale della necessità della violenza per ottenere la pace. Citerò l’espressione nata nel 1978, dalla riforma Basaglia: bisogna entrare fuori e uscire dentro per chiudere questo nostro manicomio contemporaneo. Al rischiarire delle idee e dei fatti, alla riscoperta della verità, le soluzioni si apriranno: semplici, sincere e durature.


*docente del Dipartimento di Studi Italiani dell’Università di Zara
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.











































