Vino Nostrum e i «container» dei romani

Le anfore di terracotta, per trasportare la preziosa bevanda, dovevano essere impermeabilizzate. Sul fondo di quelle recuperate in fondo al mare di Alberga, fu notato un residuo di colore rosso scuro e si constatò che erano spalmate, all’interno, con una materia nera, una specie di bitume

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Vino Nostrum e i «container» dei romani

L’anfora, un semplice e grezzo manufatto di terracotta, così come la conosciamo per averne trovato migliaia di esemplari nel corso di scavi sulla terraferma o in occasione di ritrovi di relitti in fondo al mare, è un oggetto che ha affascinato generazioni di ricercatori e di archeologi. L’anfora è anche intimamente legata alla mia vita di fotografo subacqueo per le sue tracce lasciate sui più diversi fondali del Mediterraneo che ho visitato. È sempre stato un momento emozionante, per me, quello in cui scoprivo la sua presenza durante le mie immersioni. Nel vedere l’anfora mi trovavo di fronte a una pagina di storia antica che potevo immaginare, ma che non ero in grado di leggere con l’assoluta certezza del fatto. Eppure l’anfora era in grado di suscitare in me emozioni che via via mi ponevano nella condizione di conoscere vita, usanze e tipologie legate agli scambi sociali tra le antiche popolazioni del nostro bacino mediterraneo.
Viaggi via mare
L’anfora può essere considerata il primitivo e semplice “container” di un’epoca in cui avveniva la “romanizzazione” dell’Occidente: quella trasformazione dei territori oggi europei che si evolvevano anche grazie alla esportazione dei prodotti “italici” al seguito della conquista da parte delle legioni romane. Gli anni compresi tra il II secolo a C. e il I secolo d C. sono gli anni dello sviluppo commerciale. Secoli di grandi traffici soprattutto tra Roma, la Spagna e la provincia francese della Provenza. Un Mare Tirreno frequentatissimo dalle rotte delle lente e capaci navi “onerarie” romane. Un traffico marittimo preferito al trasporto terrestre che, in quell’epoca, era estremamente pericoloso soprattutto se esercitato sul territorio delle bellicose popolazioni liguri. Infatti, per raggiungere Albenga, Monaco o Marsiglia ci si imbarcava sulle navi partenti dai porti di Luni o di Pisa. Faceva eccezione il porto di Varagine, l’odierna Varazze, che apparteneva a un “castrum” fortificato e veniva utilizzato come tappa marittima intermedia, nonché stazione di carico e scarico delle vettovaglie in transito.
Espansione commerciale
Risale proprio a quell’epoca la grande espansione commerciale del vino. Un vino al quale la Roma repubblicana e imperiale dava grande risalto quale merce di scambio e di consumo. Per il trasporto del vino che avveniva nei due sensi lungo le rotte del Mare Nostrum, solamente le capaci navi onerarie potevano contenere l’enorme peso e ingombro dei contenitori per il viaggio. Ho visitato dei relitti di navi che contenevano un carico valutato attorno alle tremila, persino quattromila anfore: vale a dire tra le 100 e le 200 tonnellate di carico che corrispondono dai 75.000 ai 105.000 litri di vino per nave. Calcolando una popolazione europea molto meno numerosa di quella attuale e conoscendo le centinaia di relitti sparsi per i fondali mediterranei si può dire che il vino era senza dubbio un prodotto molto commercializzato ai tempi dell’antica Roma.
I relitti delle navi
Due relitti di navi romane, risalenti proprio al I Secolo a C., giacciono uno di fronte alla città di Alberga, con un carico stimato in circa 3000 anfore e l’altro al largo di Diano Marina, in Liguria. Senza tralasciare gli altri che punteggiano i fondali del Tirreno, è stato appurato, proprio per la presenza di contenitori vinari, che molto probabilmente erano delle onerarie che trasportavano il loro prezioso carico imbarcato forse proprio in qualcuno dei porti liguri. Già, ma da dove proveniva il vino. Qual era la zona di produzione. È impossibile saperlo con certezza. Ci piace comunque immaginare una delle possibili zone di provenienza, anche a fronte di una topografia del Piemonte che indica tracce di strade importanti favorite da un’orografia plausibile agli spostamenti verso la Liguria. Le direttrici da Libarna, da Acqui e presumibilmente da Alba lasciano intendere che notevoli produzioni di vino potessero scendere verso gli scali di Varagine, o quelli della romana Alberga allora situata alla foce del torrente Centa. Vino naturalmente prodotto nelle varie zone del basso Piemonte che veniva convogliato verso Roma, “imbottigliato” si fa per dire, nelle famose anfore di terracotta che così bene potevano essere stipate nelle capaci onerarie.
Un sapore particolare
Uno studio fatto proprio sulle anfore recuperate dal relitto della nave romana di Alberga ha fatto scoprire il mistero di un particolare gusto resinoso che aveva il vino a quei tempi e che era una precisa caratteristica di sapore apprezzata e immancabile in tutti tipi di vino. Le anfore di terracotta, per trasportare del vino, dovevano essere impermeabilizzate. In quelle recuperate in fondo al mare di Alberga, si era notato, sul fondo di esse, una sostanza di colore rosso scuro come una poltiglia e si constatò che tutte erano rivestite, all’interno, di una materia nera come fosse una specie di bitume. La poltiglia di colore rosso scuro risultò essere del residuo di vino, mentre quella nera, sottoposta ad analisi, venne classificata come “bitume di Giudea”: una pasta impermeabilizzante che bruciava ancora sotto l’azione della fiamma e diffondeva un acre aroma. Era proprio questa specie di resina che usata per l’impermeabilizzazione dei contenitori in terracotta, assieme al miele che veniva mescolato al vino per conservarlo nel corso dei lunghi trasporti e dei depositi nelle cantine che davano il caratteristico sapore di “resinato” al vino di quei tempi. A tutto il vino che si beveva nel “mondo conosciuto” dell’Impero romano ed era una caratteristica “sine qua non” per accettare il prodotto. Tale è rimasto per diversi secoli, tant’è vero che ancor oggi in alcune zone delle isole Egee si gusta un vino resinato che non deve essere molto diverso da quello dei tempi antichi e che è decisamente e fortunatamente differente da quel vino che oggi noi apprezziamo.

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