Una tragedia pazzesca

A Freeport, nelle Bahamas, per affiancare ricercatori canadesi nei loro studi sui coralli, ci fu un incontro con gli squali. Spuntai dalla superficie gridando: «Fatemi uscire, fatemi uscire». Fu l’unica volta che riuscii a salire in barca senza essermi prima liberato della maschera, della bombola d’aria e delle pinne, ma soprattutto la mia unica immersione senza la fotocamera

0
Una tragedia pazzesca

Seduto comodamente su di un piccolo Cesna, ero partito da Miami in direzione Freeport alle Bahamas. Guardavo affascinato quel mare blu cobalto che mi avrebbe permesso, di lì a poco, fotografare una ricerca che l’Università di Toronto assieme a quella della Florida stavano portando a termine sul ripopolamento dei coralli delle barriere rovinate dagli tsunami. Sarei stato ospite del più rinomato Diver Center di Freeport, famoso anche per le visite offerte ai sub ospiti, portati ad assistere al pasto degli squali in determinate regioni dell’arcipelago delle Bahamas. Erano previste dunque delle giornate molto interessanti, soprattutto perché avrei potuto seguire il lavoro di due scienziati canadesi che stavano conducendo le ricerche sul fondale dei banchi corallini.

L’asta antisqualo
Il volo mi aveva portato a Nassau e da lì, a bordo di un magnifico tender, mi stavo godendo quegli spazi che percorreva tra il verde delle palme e le distese di sabbia bianchissima che impedivano al mare calmissimo di insinuarsi nelle cale. Ricordavo Freeport quando era ancora una piccola località riservata al turismo americano, ai tempi del Protettorato Inglese. La sera stessa, con l’arrivo dei due biologi canadesi, venne deciso come comportarsi nello svolgimento e nella disposizione delle varie mansioni. Il direttore del Centro insistette parecchio sull’utilità dell’asta antisqualo. Diciamo subito che quest’”asta” è parecchio usata dagli istruttori che guidano i gruppi di sub nelle immersioni in zone tropicali. Serve appunto per tenere a bada l’irruzione degli squali. Gli squali che si avvicinano troppo, vengono punti sempre e solamente sui fianchi. Si tratta di un’asta metallica con il terminale appuntito, che se usata con attenzione, non provoca ferite sulla pelle dell’animale. Provoca però in lui una reazione violenta di scarto che non porta, di conseguenza, pericolo al subacqueo.

Questioni di sicurezza
L’indomani si era decisa l’immersione dei due canadesi che dovevano operare sul banco corallino e trarre le conclusioni dei lavori precedenti per una definitiva considerazione. Mentre preparavo mentalmente la mia immersione fotografica senza la solita confusione che di solito avveniva con la presenza dei gruppi di sub, il direttore stabilì la mia presenza sott’acqua munito di asta antisqualo, per una maggiore sicurezza dei due canadesi. Non potevo dire di no. Ero ospite e dovevo acconsentire. Pazienza, mi sarei rifatto i giorni dopo.

La caccia e il guardiano
Ci calammo in acqua. Una visibilità incantevole. Ricordo stranamente che mi pareva di sorvolare una vallata delle Dolomiti. L’azzurro del mare consentiva la vista sino alle propaggini della scarpata e, mentre i due biologi si sistemavano poco distante per il loro lavoro, io mi misi a mezz’acqua ad osservare la spianata sottostante del banco. L’acqua era perfetta per godere del panorama, con la miriade di pesci che parevano giocare a rimpiattino, senza tregua. A pelo del banco corallino viaggiavano quasi radente il fondo un branco di squali che parevano certamente in caccia di qualche preda. Perlustravano incessantemente anfratti, buche e possibili tane in cerca di qualche buon boccone. Sopra di loro a mezz’acqua, quasi alla mia altezza, navigava lento uno squalo che non sembrava interessato alla caccia. Mi venne in mente un documentario girato in Nuova Zelanda, che riprendeva la caccia di un branco di squali a un numeroso gruppo di foche che si erano riparate in un cunicolo di piccoli golfi della costa. Mentre il branco le inseguiva, ovviamente le foche cercavano di sgattaiolare al largo del golfo, ma venivano bloccate e respinte alla mattanza da un paio di squali che bloccavano le uscite e non sembravano per nulla interessati alla caccia. Erano a guardia delle uscite e lavoravano così per il branco.

La riga bianca dei denti…
Mentre pensavo, stavo considerando il nuoto lento dello squalo che avevo visto. Che fosse il guardiano a protezione dei suoi simili? Mah. Mentre questo avveniva, con la coda dell’occhio avvertii una presenza alla mia sinistra. “Porca miseria”. Era lo squalo che certamente aveva l’incombenza della guardia, e stava nuotando verso di me. Ebbi il tempo di vedere la riga bianca dei denti nella sua bocca aperta che gli puntai l’asta contro il muso. La forza, generata dalla mia paura, sommata alla spinta del suo nuotare verso di me, fu il risultato che permise all’asta di entrare nelle sue fauci, di piantarsi nella parte superiore della bocca, di attraversare il tessuto molle e spuntare in esterno dalla sommità del capo. L’animale, sentendo un male che doveva essere stato terribile, deviò la sua direzione contorcendosi, prorompendo in una serie di violenti movimenti che scrollavano l’asta e perciò doveva procurare ancor più dolore. Incominciò ad affondare. Lo vidi distante che si muoveva ancora e che veniva sbranato da due suoi simili. Fu mangiato ancor prima di morire.

Attimi di paura
I due biologi non avevano visto nulla, dissero poi. Io risalii velocemente e spuntai dalla superficie a fianco all’imbarcazione gridando: “Fatemi uscire, fatemi uscire”. Il marinaio mi prese per le braccia e mi tirò in barca. Fu l’unica volta, in vita mia, che riuscii a salire in barca senza essermi prima liberato della maschera, della bombola d’aria e delle pinne. Mentre mi aiutavano a spogliarmi della muta, il comandante che osservava sorridendo, chiese: “Ma che che cos’è questa puzza”. Era la mia! Me l’ero fatta addosso dalla paura, in immersione. Gettai fuori bordo la muta per sciacquarla. Uno squalo l’afferrò tra i denti e la trascinò scomparendo. Aspettammo che venisse a galla, ma non successe nulla. Probabilmente per il suo muoversi dolcemente in superficie e per il suo colore nero, sembrò allo squalo il corpo di una foca. Così pensammo.

Certamente il viaggio di rientro con la barca e la serata al bar favorì discorsi, risate e bevute. Dovetti pagare da bere a tutti e in cambio ebbi in ricordo una muta nuova che conservo ancora nel mio armadio delle cose di mare. Fu l’unica volta che mi immersi senza la fotocamera. Una tragedia pazzesca. Veramente pazzesca!

Amor di Terranova 
Si sa, le passioni nella vita sono molteplici e con esse nascono i desideri e i doveri necessari a coltivarle nel modo migliore possibile. Quando la passione si veste dell’abito della riconoscenza per l’amore che un cane ti da, allora significa aver trovato il vero equilibrio della tua esistenza. È pressappoco il significato di ciò che una volta disse il grande umorista americano Mark Twain: “Se prendi un cane che muore di fame e lo nutri, non ti morderà. Questa è la differenza principale tra un cane e un uomo.”

Sharon e Cleopatra
Vicino a casa mia, vive una simpatica famiglia. Padre, madre e due fratelli. Con loro, dividono l’amore per la famiglia anche Sharon e Cleopatra, due magnifiche femmine di Terranova che fanno brillare gli occhi della padrona, la Maestra Milena, quando ne parla. La passione per i Terranova: possenti cani dal folto mantello e dal carattere mansueto, è la trasformazione di una sorta di amore per questi animali che paiono più umani di certe persone con le quali abbiamo spesso a che fare. La Maestra Milena e suo marito ne sono i convinti assertori e, a forza di parlarne, mi hanno convinto a documentarmi su questa simpatica razza di cani che paiono creati appositamente per essere di aiuto agli uomini nell’eventualità di una necessità o di un bisogno grave.
Discendenti da un’antica razza di cani originari dell’Isola di Terranova, che venivano impiegati nel traino di pesi e merci sbarcate dalle navi e dove erano utilizzati per il recupero in mare e la consegna a terra delle cime gettate fuoribordo nella fase di attracco ai moli. I Terranova vengono oggi impiegati sulla falsariga del loro antico impiego. L’acqua è il loro ambiente.

Esercizi in acqua
”Vedesse con quanto ardore si prodigano nell’acqua, soprattutto in mare, durante gli esercizi e gli allenamenti cui li sottoponiamo”, mi dice la loro padrona. “Li portiamo spesso in riva al mare, dove abbiamo il nostro centro, una sezione del Club Italiano Terranova e dove possiamo allenarli in ottemperanza alle norme, con il controllo locale e con il permesso del Comune”. “La nostra normativa è molto seria”. Mi specifica un altro grande appassionato dei Terranova. “Esistono quattro gradi di brevetto che i cani devono ottenere per poter far parte dei gruppi di salvataggio. Hanno una forza incredibile. Con il loro nuotare, grazie anche alle zampe palmate, riescono a trascinare pesi inimmaginabili per noi uomini. Ho visto un Terranova trainare in mare un canotto con dodici ragazzi sistemati dentro e quattro adulti fuoribordo appesi alle cime di soccorso. Tutto questo per assecondare un istinto innato in questi cani, dal carattere docilissimo e grandi amici dei bambini. Il loro addestramento è ripagato sempre con l’affetto che si legge nei loro occhi, affetto che si trasforma in dolce riconoscenza.”

Invito alla riflessione
Sono utilizzati, sempre assieme al loro istruttore, anche per interventi di protezione civile. Protagonisti inoltre di importanti interventi di salvataggio in mare, nei laghi, nei fiumi, sono considerati dalle disposizioni di legge senza alcuna discriminante nei confronti di altri cani. Guai infatti a lasciarli liberi però. In questi casi fioccheranno le multe delle guardie venatorie. Ma non sarebbe invece meglio pensare a qualcosa di più confacente alla natura di questi cani e dei loro appassionati allevatori. Poter magari organizzare in qualche ansa di un piccolo corso d’acqua una piccola zona ad uso dei cicli di addestramento dei Terranova ed evitare così ai loro padroni, costose trasferte in riva al mare, creando nel contempo un divertente ed istruttivo utile turistico alla zona. Ecco, questi potrebbero essere dei suggerimenti che gli amministratori dovrebbero fare propri, nel contesto della loro politica.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display