Trieste. I segreti nascosti della città sotterranea

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Trieste. I segreti nascosti della città sotterranea

Ci sono posti accanto ai quali passiamo spesso dei quali non ci rendiamo conto di cosa nascondano. Magari ci separa solo un muro, una porta. Magari si trovano in zone poco illuminate e poco invitanti a guardarci all’interno. Certe volte questi posti sono dei veri e propri musei. Muti testimoni storici che qualche volta vengono valorizzati e resi aperti al pubblico. Uno di questi è la Kleine Berlin di Trieste…

Siamo passati tantissime volte per via Fabio Severo arrivando nel capoluogo giuliano. Verso la discesa finale, prima della sede della RAI, un po’ nascosto dalle automobili c’è un ingresso nel lungo muro. È l’entrata in un grande complesso sotterraneo costruito sotto il colle di Scorcola. Ma cosa nasconde, com’è nato e qual’è la sua storia?


Il rifugio dei triestini

Facciamo un passo indietro. All’inizio del conflitto ci si rese conto che la Seconda guerra mondiale sarebbe stata pure una guerra fatta di aerei e bombardamenti dall’aria. Serviva proteggere la popolazione e quale migliore difesa se non quella sotterranea. Su decreto del governo ben presto si cominciarono a costruire in tutta Italia. Trieste non fu un’eccezione. La conformazione della città era quasi ideale e trovare luoghi da adibire a rifugi sotterranei ce n’erano. Uno di questi nati durante la guerra, che diedero protezione a migliaia di triestini fu proprio il rifugio di Scorcola. Anche se magari sarebbe meglio dire i quattro rifugi uniti tra di loro. Un complesso alla fine enorme con tante gallerie e diverse entrate. L’intero progetto alla fine non fu mai del tutto realizzato, ma in grande parte sì. Dal 1996 a prendersi cura di questo complesso è il Club Alpinistico Triestino (CAT). Negli anni il CAT ha trasformato il tutto in un vero museo. Un museo con le sue sezioni da vivere passo dopo passo.

Oggi l’unica entrata aperta è quella in via Fabio Severo. All’epoca era un ingresso secondario, di servizio che portava alla parte principale. Si passa subito accanto a tanti cimeli bellici, in grande maggioranza non trovati qui, ma trasportati da svariate parti. Questa prima sezione è stata costruita dai tedeschi e aveva il ruolo di unire la parte dei rifugi costruiti dagli italiani e il palazzo di Giustizia. Andando fino in fondo alla galleria si arriva all’incrocio dove alla fine c’era il basamento per un generatore, a sinistra il collegamento con il resto del rifugio, mentre a destra, superata una porta, si arriva all’ex entrata principale che è stata chiusa subito dopo la guerra. Proseguendo si arriva quasi al palazzo di Giustizia, il tratto finale però è murato. Il tutto purtroppo è in parte allegato anche se negli anni è diventato accessibile e visitabile.


Tuffolino

Torniamo indietro fino al primo incrocio e visitiamo a pieno la parte tedesca fatta di una galleria principale e ben sei gallerie verso la destra (lunghe ben 26 metri) e cinque verso la sinistra (lunghe dai 10 ai 25 metri). Sono sistemate nell’ordine una dietro l’altra. Il CAT ha trasformato buona parte di queste gallerie in piccole sezioni del museo, ognuna dedicata a determinati temi.

Nella visita ci fermiamo immediatamente nella prima galleria di destra con tanto di sedie per assistere a una proiezione e la principale spiegazione sui perché della costruzione del complesso. Ma pure per capire come si viveva all’epoca. Una vero tuffo negli Anni ‘40 del secolo scorso e delle varie difficoltà alle quali andavano incontro i triestini durante un bombardamento e l’altro. Così ascoltiamo il racconto di come trascorrevano il tempo i più giovani e giovanissimi che portavano le sedie, ma pure i soldatini di piombo o di carta, le figurine del litorale adriatico, le bambole. Come si leggeva all’epoca Topolino, che per un periodo di tempo era diventato Tuffolino.
Due mondi diversi
Andiamo avanti e così troviamo la galleria dedicata alla ricostruzione di come si presentava la vita durante i bombardamenti. Con tanto di insegne che figuravano su tante case all’epoca, l’US (uscita di sicurezza), I (idrante) e P (presa del serbatoio). Poi troviamo la galleria che ricostruisce i bombardamenti di Trieste con tante foto, ritagli di giornale, ma pure la lista completa di tutti gli orari dei bombardamenti e un mappa dalla quale si capisce quali sono state le zone più colpite. Ma pure la mappa degli edifici a rischio.

Una galleria è dedicata alla vita e ai ruoli di Odilo Globočnik e Friedrich Rainer. È la galleria dove c’era la scala verso la sua villa. Oggi la scala è stata ricostruita dalla CAT. Sui muri diversi pannelli per capire meglio il ruolo di questi gerarchi tedeschi e le versioni sulla loro cattura e morte.

Poi c’è la galleria che all’epoca era la zona gabinetto. Infine troviamo la galleria per l’esposizione dei resti di un aereo che ha bombardato Trieste e che anni fa è stato in parte recuperato.

Ci sono poi altre gallerie che saranno aperte nel futuro e per le quali ci sono dei progetti.

La “parte tedesca” e la “parte italiana” sono unite da una porta e in qualche modo sembra di passare da un mondo all’altro. Infatti anche da laici capiamo le differenza fra le due zone. Magari questo non era visibile durante la guerra, ma con gli anni la dissonanza è diventata marcata. Infatti la “parte tedesca” si trova in condizioni perfette. Costruzioni fatte come si deve con muri spessi, anche di 25cm. Dall’altra parte, la “parte italiana”, ha dei muri meno spessi, 10-15cm, che con il passare degli anni ha visto nascere in modo eclatante stalattiti, stalagmiti e vaschette di concrezione nelle quali scorre perennemente un filo d’acqua.


Vietato sputare

Subito varcata la porta bisogna fermarsi. Infatti ci si trova in un tunnel lunghissimo. La galleria, chiamata comunale, infatti e lunga circa 250 metri: ci troviamo praticamente a metà. Qui come da progetto potevano starci ben 1.300 persone!

Alla destra c’è lo stop di entrata. Cchiuso al pubblico perché la galleria è allagata. Prendendo la sinistra si può arrivare quasi fino alla fine. Oggi la sezione finale è chiusa come pure l’ex ingresso numero tre. Però c’è un passaggio che porta alla galleria del secondo tunnel e più avanti a quella del primo. Tutte le entrate sono state murate e chiuse. Oggi questa parte è del tutto vuota e come unico testimone del passato c’è un cunicolo per l’aerazione dal quale entra l’aria, ma con tanto di “protezione”, chiuso a prova di bombardamenti.

Interessante che in queste gallerie praticamente non abbiamo visto scritte di alcun tipo. Al contrario dei rifugi fiumani, che ne sono ricchi, qui ne troviamo soltanto alcune e con un ordine del tutto particolare: vietato sputare. Abbastanza logico, visti i problemi di tutela della salute che c’erano durante la guerra e i rari punti per l’igiene posti nell’intero complesso.

Arrivati fino in fondo non ci resta che tornare indietro e vivere ancora un po’ l’atmosfera di questo complesso. Un vero museo che oggi viene chiamato in lingua tedesca Kleine Berlin, ovvero piccola Berlino. La temperatura all’interno è di circa 15 gradi, per cui visitarlo in qualsiasi stagione è gradevole. Per perlustrare il complesso come si deve servono almeno due ore e meglio farlo accompagnati da una delle ottime guide del CAT che illustrano ai visitatori i contenuti del complesso con importanti cenni di storia.

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