Squalo, lo spazzino dei mari

Affascina da milioni di anni, ma l’uomo non ha ancora imparato a rispettarlo

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Squalo, lo spazzino dei mari

Squalo o pescecane, che dir si voglia, la sensazione che suscita è sempre la stessa: un brivido di paura nel vederlo “all’opera”. Veloce e silenzioso è molto sbrigativo nel compiere il suo lavoro quotidiano: fare lo spazzino dei mari. Lo squalo è un animale tra i più primitivi. Possiede una cognizione associativa quasi nulla. Soggiace all’istinto naturale della paura, reagendo automaticamente al senso dell’ignoto e dell’inusuale. Reazioni del resto comuni alla maggior parte degli animali quando si trovano al cospetto dell’uomo. Questo pesce però non valuta possibilità e non sceglie tipi di azione se non rispondenti unicamente al suo DNA.

 

Per noi uomini è difficile concepire un’azione al di fuori del ragionamento che ispira. Lo squalo invece scatta in azione unicamente sospinto dal suo istinto, senza alcuna remora protettiva per sé stesso e senza variare alcuna strategia. Insomma, è una macchina computerizzata con un software primitivo e lineare che esisteva sin dall’inizio della nostra era telematica e che funziona anche in mancanza di corrente. La sua energia propulsiva, infatti, lo scaglia contro tutto ciò che è dettato dal suo istinto. Eppure lo squalo, nell’immaginario collettivo, è considerato un astuto predatore. Niente di più falso, anche se film e racconti ispirati a questo affascinante protagonista dei mari gli hanno costruito una personalità “ingigantita”.

Specie pericolose

Esiste una letteratura vastissima sul comportamento dello squalo, ma sintetizzarla è difficile. Esistono infatti delle specie più feroci delle altre. Tra queste c’è ad esempio il famoso “pescecane” per antonomasia; il “Carcharodon Carcharias”, detto anche Squalo Bianco o Morte Bianca: Man Eater per gli inglesi e Requin per i francesi. Il Mangia Uomini, come viene chiamato in Oriente e che vive, sebbene più raramente anche nel Mediterraneo meridionale; in questo periodo di movimenti migratori, è stato osservato più volte.

Molti anni or sono, un grande fotografo subacqueo italiano, Maurizio Sarra, nel basso Tirreno mentre effettuava delle riprese fotografiche ha perso la vita per l’attacco di uno Squalo Bianco, mentre il famoso Ron Taylor, cineoperatore australiano il cui mestiere era filmare questo tipo di squali, così raccontava il suo lavoro sulla scena marina: vere proprie acrobazie compiute in prima persona e da tutta la sua équipe di tecnici. Per girare le scene più raccapriccianti in primo piano, fornite per la serie dei film holliwoodiani dello “Squalo”, sono stati usati ettolitri di sangue e sono state affondate carcasse di bovini e maiali per pasturare le zone di ripresa e attirare così grossi Squali Bianchi ripresi poi dai cineoperatori in immersione, protetti da una robusta gabbia di ferro.

Il senso dell’orientamento

Ormai da molti anni è stato appurato che gli squali si orientano non soltanto con l’olfatto, individuando anche a distanze enormi minime quantità di sangue presenti nell’acqua, ma anche attraverso la percezione di determinate variazioni trasmesse nel mare. È data per certa una componente “odore-variazione aritmica”, quale catalizzazione di richiamo degli squali che associano la possibilità di predazione con il dibattersi di un pesce ferito o in difficoltà. Ciò spiegherebbe gli attacchi a nuotatori impauriti o a persone finite in acqua a seguito di un evento tragico. Teoria confermata da diversi episodi accaduti nel Mar Rosso, nell’Oceano Pacifico e in quello Indiano, fin dal tempo della Seconda guerra mondiale nel corso delle battaglie navali. I tragici avvenimenti dell’esodo dall’Albania prima e quelli recenti dalle coste africane dei clandestini che perdono la vita a centinaia nei naufragi nel Canale di Sicilia, fanno purtroppo sospettare, come già ebbi occasione di scrivere, un intervento di squali nella sparizione di molti corpi. È un fatto che si è sempre evitato di rendere palese nei servizi televisivi, ma che viene invece affrontato in certi ambienti legati agli studi sull’ecologia marina. Verso la fine della Seconda guerra mondiale, nelle Capitanerie di Porto nell’Adriatico occupate dalle forze Tedesche vigeva un ordine che imponeva agli equipaggi delle piccole imbarcazioni della marina da guerra che pattugliavano le coste di controllare le imbarcazioni da pesca per verificare la presenza tra il pescato di eventuali squali, le “verdesche” molto comuni in quel mare. Nel caso di cattura dovevano essere sventrati per verificare che nei loro stomaci non vi fosse la presenza di pezzi anatomici umani, o di oggetti che potessero condurre allo scempio di un naufragio.

Gli organi sensori

Anche se possiamo comprendere i meccanismi che regolano gli organi sensori di un squalo, oltre naturalmente alla loro fisiologia, non si è ancora conosciuta la dinamica del loro comportamento in rapporto alla coerenza funzionale. L’ipotesi comunque più favorevole è quella istintiva, laddove si intravede la sua reazione in funzione della difesa della propria sfera territoriale, la cosiddetta “zona d’influenza”. A tale proposito è molto emozionante assistere, in immersione, all’avvicinamento di un subacqueo ad uno squalo. Tenderà questo a mantenere sempre una certa distanza dall’inseguitore nuotando con una certa disinvoltura. Se però il sub riesce ad accorciare la distanza ed entrare nella sua “sfera d’influenza”, quella fascia d’ambiente che l’animale considera di propria territorialità, ecco che lo squalo tenderà a nuotare con movimenti che denoteranno una certa alternanza di fluttuazione con rotazioni sul tronco e un frequente zigzagare nell’incedere. È l’intensità dell’insieme di questi movimenti sottolineati dall’irrigidimento delle pinne pettorali, tenute abbassate, che bisogna valutare per considerare l’opportunità di abbandonare la sua compagnia: dipende anche dal grado di restrizione in cui lo squalo viene a trovarsi e dalla rapidità del suo avvicinamento.

Una cerimonia crudele

Si dice che gli squali non abbiano nemici. Nemmeno questo è vero. Il più grande nemico è l’uomo. Ne eliminiamo diversi milioni all’anno, soprattutto per motivi tribali. A proposito di tali motivi, è curiosa una cerimonia praticata nel mare di una piccola isola dell’Oceano Pacifico Sud Orientale. Una comunità di pescatori di perle che sovente ha incontri ravvicinati con gli squali, per commemorare i propri defunti uccisi durante le immersioni per la pesca delle conchiglie perlifere, organizza una volta all’anno una terribile cerimonia che si conclude con una mattanza di questo protagonista dei mari. Brumeggiando il mare con ettolitri di sangue dei maiali macellati per la grande festa, portano gli squali alla frenesia, gettando loro dei bocconi di carne mentre le piroghe prendono il largo, imbarcando noci di cocco vuotate e spaccate a metà. Il carico è completato da “braceri” che contengono braci ardenti. Quando gli squali, ormai in piena eccitazione alimentare si gettano ingordi su ogni boccone lanciato in acqua, gli indigeni inseriscono le braci ardenti nelle noci di cocco legandole con delle corde di fibra vegetale intrise di sangue, e le gettano in mare. Queste “bombe” vengono ingoiate dai bestioni in lotta tra di loro per la predazione, e dopo pochi secondi sentono il loro terribile effetto nello stomaco. Gli squali impazziti dal dolore saltano fuori dall’acqua contorcendosi e, mentre esalano l’ultimo respiro, vengono divorati dai loro simili.

In guerra con i delfini

Altri nemici degli squali, sono i delfini. Questi mammiferi si difendono nel periodo di nascita dei loro piccoli, quando i pescecani li inseguono per cibarsi dei loro piccoli e delle femmine impegnate nell’allattamento. I delfini allora si coalizzano e attaccano gli squali con la preparazione di un vero piano di battaglia. Mentre alcuni volteggiano intorno attirando e provocando l’attacco, altri puntano velocissimi contro il lato inferiore del corpo degli squali, colpendo violentemente la loro zona addominale con il muso affusolato. I delfini sanno che gli squali hanno il fegato assai vulnerabile. Un organo che serve a loro anche per tenersi in quota non possedendo la vescica natatoria come la maggior parte degli altri pesci. Li colpiscono con decisione sino ad ucciderli e lasciarli in pasto ai loro compagni, disimpegnando così il branco dal pericolo di ulteriori assalti.

Rispetto, odio, sopportazione e perfino indifferenza, sono motivazioni che non incrinano il fascino di queste perfette macchine della natura. Creature delle quali forse non conosciamo ancora alla perfezione la loro esistenza, ma che abbiamo appreso a conoscerle per giustificarne il loro sacrificio quali vittime dell’uomo.

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