La piena stagione autunnale si presenta benevola e piacevole in questa parte dell’Adriatico e del Mediterraneo. L’ambiente sta finalmente respirando dopo il continuo e pressante afflusso estivo di persone, un vero e proprio esercito di visitatori che arrivano e occupano tutti gli spazi pubblici, desiderosi di qualcosa di simile e diverso, ordinario ed eccezionale, antico e nuovo, ma mai vissuto; oppure solo in cerca di un angolo di tranquillità e pace. La Croazia e le sue città abbondano di tali luoghi. Noi ci stiamo godendo qualcosa che è più che l’estate di San Martino, questa stagione potrebbe portare il nome di primavera di San Martino che si protrae e forse non permetterà nemmeno alle gelate di passare da queste parti. È come se la natura volesse comunicarci un fatto importante: se la gente ogni giorno diventa sempre più depressa e disperata, la natura ostinatamente cerca di manifestare la sua energia dinamica insieme al vigore ancestrale che dovrebbero essere condivisi e vissuti in armonia tra tutti gli esseri viventi: umanità compresa. Da una parte coloro che si trovano nel lato buio dello sconforto globale e non parlano d’altro che di temi limitati all’ombra dell’essenza umana; dall’altra parte coloro che rimangono lucidi e il cui sguardo è rivolto a valori universali nella luce dell’ottimismo.
Ritorno alle strade, all’ambiente e agli incontri tra passanti e qualche turista occasionale, che ha deciso di avventurarsi in una vacanza fuori stagione. Il verde che si tinge di sfumature calde e forti, poi si abbronza prima di passare ai colori più ombrosi, ma sempre caldi e belli: la meraviglia della vita, dei suoi cicli e del suo continuo rinnovarsi.
Tra gli intensi colori di cui si veste la vegetazione resiliente e ribelle, si respira il forte spirito della sua ostinazione a non arrendersi alla stagione del riposo. In alto, i maestosi platani allungano i rami verso i caldi raggi del sole che li accarezzano, non consentendo loro ancora di abbandonare le slancianti chiome al vento. Nelle aiuole, ai bordi delle strade trafficate da coloro che vivono la vita sempre di corsa, nei parchi che custodiscono il silenzio e la pace, visitati da pochi, tra gli allegri canti di uccelli, la beatitudine del verde, delle erbe, dei cespugli nella mantenuta vivace intensità del colore della speranza. In ogni persona che li osserva nascono pensieri solari, sereni, forti e positivi.
Abbracciando questa infinita bellezza della vita, dedico queste righe alla forza invisibile che mi circonda, al suo aspetto e ai segreti che vi sono celati e che stuzzicano sia la mia curiosità che il mio desiderio di rivelarli.
Questa volta ci faranno compagnia le piante che si trovano ai nostri piedi: la bontà che ci circonda, i tanti rimedi che ci vengono donati, messi a portata di mano e che oggigiorno non riconosciamo più. Nei tempi passati i nostri antenati le conoscevano – le piante, sapevano usarle e sfruttare le loro incredibili doti curative. È vero, ricorriamo alle loro meravigliose qualità, ma spesso preferiamo la comodità di una pillola che in breve tempo neutralizza qualche disturbo, non di rado creandone altri come effetti collaterali.
Vorrei entrare in questo mondo che ci circonda, silenzioso e intrigante allo stesso tempo, spesso dato per scontato e definito infestante. In tal modo si viene a creare un certo rifiuto che questo piccolo mondo meraviglioso sicuramente non si merita. Scopriamone perciò la bellezza e la ricchezza, attraverso alcuni dei suoi rappresentanti.
Potenti doti
La prima creatura verde che resiste a tutte le condizioni avverse, odiatissima da agricoltori e giardinieri, è la gramigna comune, in lat. Elymus repens. La si incontra dappertutto. È onnipresente, sia nelle aree verdi delle città, lungo le strade, negli orti o in campagna. Diffusa in tutto il mondo. Calpestata, detestata, estirpata da tutti che dimenticano il fatto delle proprietà e dei benefici che ogni vegetale, ogni pianta possiede. La gramigna è una pianta ricca, con le sue doti curative e medicinali quasi trascurate; note solo a coloro che si occupano o usufruiscono dei prodotti di erboterapia. Il suo rizoma, privato di radici possiede proprietà benefiche tra cui ne menziono solo alcune: diuretiche, lenitive e depurative. Si usa in tisane o decotti. Le sue foglioline sottili nascondono un poderoso sistema radicale, profondo e robusto, che non solo può curare i nostri polmoni, le vie urinarie e i reni, ma protegge pure il suolo: lo stabilizza e ne previene l’erosione. In conclusione, la gramigna non è una semplice erbaccia infestante, è molto di più. La prossima volta, quando andremo a rimuovere le erbacce dal nostro orticello o giardino, prestiamole l’attenzione che si merita.
Un’altra erba definita infestante, nota per i suoi delicati fiori a forma di campanello è il convolvolo, lat. Convolvolus arvensis. Le sue radici o meglio dire, il fittone, possono raggiungere diversi metri di profondità. Quasi come la gramigna. Si fanno compagnia queste due infestanti, resistenti e simpatiche. La seconda risulta essere usata (la radice) come lassativo, ma anche come agente curativo di tutta una varia gamma di problemi di salute a partire dal mal di denti alle gastriti, presentando anche delle proprietà antitumorali, analgesiche e diuretiche. Direi, un altro toccasana calpestato e ignorato da molti.
Passiamo a un’altra categoria che si sviluppa rigogliosa proprio in questo periodo. Negli ultimi giorni si è diffusa dalle mie parti (Zaratino), diciamo a macchia d’olio “verde”, la malva comune o lat. Malva sylvestris. Mentre l’ambiente si prepara alle prossime festività natalizie, osservo come la stanno estirpando, quale fastidiosa infestante, delle aree verdi pubbliche. Non le è permesso invadere lo spazio nobile che ospiterà nei prossimi mesi bulbi di tulipani e narcisi insieme a viole del pensiero. Tra di loro la malva proprio non si addice; così affermano gli esperti di giardinaggio. Io invece, la vedo diversamente: per tutti i raffreddori, le bronchiti e le tossi della stagione presente, la malva rappresenta un rimedio con proprietà emollienti e antinfiammatorie, non solo per le vie respiratorie, ma utili altrettanto anche al nostro intestino.
Ospiti che ospiti non sono
Introduco un ospite che ospite in pratica non è. Si tratta dello zigolo, in lat. Cyperus esculentus, un antipatico infestante che non si arrende facilmente a nessun estirpante e nemmeno ai più potenti diserbanti. Trova sempre il modo di far parlare di sé. Forse è una delle più ostinate erbe infestanti nell’area mediterranea in generale e anche oltre, pensando alle savane africane. Da noi è molto più noto, presente e popolare il suo “nobile cugino” Cyperus haspan o falso papiro che decora le nostre case, gli ambienti pubblici, i giardini, i parchi. Si tratta sempre di una pianta infestante che, se non controllata, si estende a discapito di altri vegetali più delicati.
Il cugino semplice l’ho incontrato per la prima volta nei gialli del grande scrittore siciliano, Andrea Camilleri, in quelle espressioni sicule che colorano le narrazioni delle vicende dell’ispettore Montalbano, penetrate anche nella lingua comune. Sono i famosi “cabasisi” in una delle molte espressioni colorate, come rotture di cabbasisi, il cui significato si riferisce a scocciature o infastidimenti. Il nome di origine araba, habb`azìz’ porta il significato di “mandorla buona”. La pianta produce piccoli tuberi che sono commestibili e vengono riconosciuti anche come “mandorle di terra” e che nel passato venivano usate dagli abitanti delle zone in cui crescevano, oggi noti e usati prevalentemente in fitoterapia.
Quest’ospite che ospite non è, ha da tempo varcato gli spazi internazionali. L’ho vista crescere, “di persona personalmente” (sto usando di proposito un’espressione tipica di Catarella, quel personaggio simpatico e un po’ strambo, il poliziotto che fa parte della squadra di Montalbano) nel cortile della “scuola africana” di cui parlo in ogni mio articolo. Durante la stagione delle piogge, la si vede spuntare, crescere e svilupparsi in cespuglio, in pochi giorni. Sebbene in Africa venga trattata come nutriente e la lavorazione (estrazione del liquido dal tubero) diventi fonte di vendita e guadagno, nel cortile non trova posto e viene regolarmente calpestata e/o estirpata. Eppure la si vede spuntare e crescere. Di continuo. Quando raggiunge la sua maturazione, vengono ricavati i piccoli tuberi che, dopo essere lavati, subiscono dei processi attraverso i quali si ottiene una specie di latte. Aggiunti altri ingredienti come lo zenzero, si ottiene la bibita che porta il nome di “tiger milk” (proviene da tiger nut, nome inglese del tubero dello zigolo) ed è considerata, tra l’altro, molto nutriente perché contiene grassi saturi, calcio, proteine, fosforo, aceto oleico.
La speranza è l’ultima a morire
Oltre allo zigolo, un’altra erba infestante, ospite che ha riscoperto nuovi habitat e dal continente americano si è propagata nel Mediterraneo, nelle savane umide e zone semiombreggiate delle foreste dell’Africa occidentale. Il nome latino ci rivela il cognome del botanico inglese da cui deriva: è la Tradescantia fluminensis. La conosciamo bene come pianta da appartamento. In Italia è nota come pianta miseria o erba miseria. Il nome rivela la sua natura e la capacità di sopravvivenza in condizioni estreme. Esistono varie specie, variegate, eleganti che adornano i nostri davanzali: la specie semplice, da cui provengono tutte le varietà in commercio, è quella originaria, nota per la sua crescita veloce e rigogliosa. Non ama il sole diretto perché è umile. Preferisce la penombra oppure gli ambienti interni dove si esibisce con le sue abilità di assorbire sostanze dannose e di migliorare la qualità dell’aria. Oltre a queste qualità, possiede anche proprietà medicinali che aiutano a curare irritazioni cutanee o raffreddori. Possiamo definirle tutte come abbondanze della miseria.
Alla fine di questa breve passeggiata insieme alle nobili piante infestanti, vorrei sottolineare che le proprietà curative sono caratteristiche di quasi tutte le piante che ci circondano; non ne esiste una che non abbia doti particolari. Se vengono usate in eccesso, diventano tossiche ovviamente, ma questa sembra essere anche la caratteristica di noi esseri umani, quando cerchiamo di usare e abusare gli uni degli altri.
Il verde da sempre porta sollievo, risana, conforta e ispira. Non è un caso che l’uomo abbia scelto proprio il colore verde per esprimere il sentimento della speranza. Nell’espressione latina “spes ultima dea” viene descritta la speranza come l’ultima a uscire dal mitico vaso di Pandora dopo tutti i mali; rappresenta davvero la risorsa su cui l’umanità può sempre contare.
*docente del Dipartimento
di Studi Italiani
dell’Università di Zara
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