
Quando parliamo dell’Istria spesso la definiamo crocevia di culture ed etnie. La penisola era abitata già nel Paleolitico, come lo dimostrano i ritrovamenti in alcune grotte presso Pola. Reperti molto più numerosi risalgono invece al Neolitico, tra i quali quelli famosi presso le caverne del Canale di Lemme. I castellieri, villaggi fortificati preistorici con cinte murarie a secco, tipici della zona, si svilupparono attorno alla metà del II millennio a. C., nell’età del Bronzo. La presenza della popolazione preromana degli Istri è invece attestata fin dall’età del Ferro, in concomitanza con il periodo di maggiore sviluppo della civiltà dei castellieri. Nel 177 a.C. i Romani stabilirono il loro dominio sull’Istria e divisero la penisola in due: una parte venne inclusa nell’augustea regio X, mentre l’altra, quella orientale, entrò nei domini della Dalmatia. In seguito alla caduta dell’Impero romano l’Istria passò prima sotto la marca del Friuli e poi al patriarcato di Aquileia. Con il susseguirsi di una serie di guerre la penisola venne ceduta gradualmente a Venezia e dopo il suo crollo, nel 1797, con il Trattato di Campoformio passò all’Austria, per poi andare alla Francia. La Restaurazione assegnò questo lembo di terra nuovamente all’Austria, fino alla conclusione della Prima guerra mondiale, quando il territorio fu unito all’Italia. Al termine del secondo conflitto mondiale la Iugoslavia rivendicò il suo dominio sull’Istria, ottenendolo in seguito al Trattato di pace del 1947. Dopo la disgregazione della Federazione iugoslava del 1991 e la formazione degli Stati indipendenti di Croazia e Slovenia la penisola è stata suddivisa secondo i nuovi confini nazionali. Questo piccolo triangolo che si staglia nell’Alto Adriatico custodisce gelosamente l’eredità di imperi, regni, repubbliche, federazioni e quant’altro che l’hanno fatto diventare una regione consapevole delle proprie radici e del proprio passato, aperta alla condivisione e al confronto.
Quello appena citato è un brevissimo e alquanto approssimativo riassunto della storia della penisola, dalle prime testimonianze pervenuteci fino ai giorni nostri. È risaputo però che all’interno della grande storia, quella con la S maiuscola, si nasconde una miriade di vicissitudini minori che influiscono sui grandi eventi e a loro volta influenzate dalle circostanze globali, che travolgono la quotidianità dei comuni mortali. Cogliamo l’occasione quindi per esplorare una di queste vicende più piccole, ma non meno importanti, in grado di suscitare interesse e catturare l’attenzione grazie alla sua complessità e alla sua ricchezza.
Si tratta della storia del sito archeologico di Sipar, situato a 4 chilometri in linea d’aria a nord di Umago. Una minuscola penisola che si delinea nell’Istria nordoccidentale, ma nonostante le sue ridotte dimensioni continua ad affascinare archeologi, storici, addetti ai lavori e non solo, regalando in continuazione tesori nascosti. Da questo lembo terrestre di circa 0,5 ettari e dalle acque antistanti riemergono tutt’oggi reperti archeologici di inestimabile valore per ricostruire il passato della zona e per capire lo stile di vita che caratterizzò l’abitato nel corso dei secoli. Dal 2009 il sito è iscritto nel Registro dei beni culturali protetti della Repubblica di Croazia e come tale è tutelato dalla legge, ma contemporaneamente è anche oggetto di studio per preservarlo e valorizzarlo al meglio.
I primi ritrovamenti
I primi ritrovamenti risalgono al 1963, quando l’insegnante Ivan Rušinjak e gli alunni della Scuola elementare italiana di Umago, approfittando delle lezioni all’aria aperta, esplorarono la costa e trovarono frammenti di oggetti risalenti a un tempo antico. Tale scoperta portò a intensificare le ricerche fino a definire la zona di Sipar come un gioiello di inestimabile valore da tutelare e far conoscere al mondo. Da allora studiosi, storici e archeologi cercano di ricostruire la quotidianità dell’agglomerato, i suoi legami con il territorio circostante, la sua economia, così come il rapporto dei suoi abitanti con il mare, fino a giungere agli scambi commerciali con l’altra sponda dell’Adriatico.
A partire dal 2013 il sito è gestito dal Museo civico di Umago, che ha avviato le ricerche archeologiche con l’obiettivo di salvaguardare e valorizzare la località. Il progetto è finanziato dal Ministero della Cultura della Repubblica di Croazia, dalla Regione istriana e dalla Città di Umago ed è guidato dall’archeologa e curatrice senior Branka Milošević Zakić, esperta di ricerche terrestri. Dal 2016 la curatrice è passata al Museo dei monumenti archeologici di Spalato, instaurando così una collaborazione tra le due istituzioni con sede in Dalmazia e in Istria.
Sono molti gli oggetti riemersi dalle vicine acque e dalla terraferma, che hanno permesso di ripercorrere le vicissitudini della popolazione che nel passato presidiava la zona. Si tratta di un insediamento costiero pluristratificato, nel quale sono state rinvenute tracce di edifici risalenti a epoche storiche diverse, aggiunti via via a quelli già esistenti. Le tracce più antiche rinvenute sinora risalgono all’epoca romana e più precisamente al periodo tardo repubblicano – alto imperiale, per giungere a quello tardo antico – alto medievale. Si presume che nella tarda età repubblicana il luogo fosse stato un punto di riferimento per i romani nel tentativo di stabilire la pace con gli Istri. Con l’avvento dell’Impero la penisola nei pressi di Umago perse il suo carattere di punto strategico militare e sui suoi resti vennero erette nuove costruzioni. In seguito alle guerre gotico-bizantine furono edificate fortificazioni con ampie mura con la caratteristica torre pentagonale bizantina.
Per quanto riguarda le testimonianze scritte, gli storiografi si riferirono alla località con il nome Insula Saepomaia nel periodo romano, mentre con quello di Sapparis o Sipparis in quello medievale (toponimo, quest’ultimo, che è giunto fino a noi). L’innalzamento del livello del mare verificatosi nel corso dei secoli ha fatto sì che oggi una parte della penisola sia completamente sommersa. Nei momenti in cui la marea è estremamente bassa la civitas romana riemerge imperiosa dalle acque dell’Adriatico come un’Atlantide sommersa.
Ricerche subacque
Oltre alle ricerche terrestri nel 2022, sono state avviate anche quelle che comprendono l’osservazione archeologica delle acque adiacenti alla zona, sotto la denominazione di “Sipar underwater research project” (Surp) in seno al programma per la protezione del patrimonio culturale umaghese. A tale iniziativa ha preso parte una squadra di esperti internazionali guidati da Tea Katunarić Kiriakoc dell’Università di Spalato, assieme al professor Massimo Capulli dell’Ateneo di Udine e a Dušanka Romanović, curatrice senior del Dipartimento di archeologia subacquea del Museo archeologico di Zara. A loro si sono aggiunti gli studenti Lucrezia Maghet, Lorenzo Salin e Alice Zoch dell’Università degli Studi di Udine, che hanno avuto l’opportunità di scoprire e partecipare alla ricerca dei reperti sottomarini umaghesi, guidati dai professori e da alcuni subacquei esperti di Umago e Parenzo.
Sempre nel 2022, nelle acque antistanti il sito sono stati registrati due frangiflutti che fungevano da protezione dalle onde all’ingresso della baia. Al centro della valletta è stata identificata un’isola artificiale con un grande edificio rettangolare, che potrebbe essere stato un faro. La funzione della costruzione recentemente scoperta sarà confermata dalla prossime ricerche. Infatti, il sito continua ad affascinare perché da una parte regala nuove sorprese e dall’altra nasconde ancora molti misteri. In quell’anno, per la prima volta, sono state notate alcune parti della struttura in legno di una nuova imbarcazione. Ricerche archeologiche più approfondite hanno portato alla conclusione che si trattasse di una nave lunga originariamente 15 metri, mentre a breve, ulteriori studi, porteranno a galla nuovi dati. Il legno è stato analizzato presso l’Istituto “Ruđer Bošković” con il metodo dell’isotopo radioattivo C14 e grazie a ciò si è riusciti a stabilire che la barca risale al XII secolo. Parliamo di un ritrovamento unico nel suo genere sia per le dimensioni, sia per l’epoca in cui è stato costruito. Finora nel Mar Adriatico sono state identificate solo tre navi medievali, ma molto più piccole, che raggiungono al massimo i 10 metri. Quella di Sipar è una costruzione navale complessa e avvincente in quanto riporta elementi caratteristici della cantieristica antica e di quella medievale. Probabilmente fu creata in un periodo di transizione, nel momento in cui stava nascendo una nuova tecnica di costruzione. Di conseguenza tale rivelazione è rilevante sia per il patrimonio storico culturale di Umago e della Croazia, sia per le conoscenze marittime globali.
Ci sono ancora molte domande a cui gli studiosi cercano di rispondere. Da dove proveniva? A chi apparteneva? Quale rotta copriva? Ulteriori analisi e studi porteranno a nuove consapevolezze che aiuteranno a definire meglio anche il ruolo che Sipar ricopriva nel contesto storico del XII secolo.
Oltre allo straordinario ritrovamento sottomarino, sulla terraferma sono stati recuperati moltissimi oggetti che ci parlano di una storia molto ricca e ci portano a pensare che la località fosse conosciuta e frequentata nei secoli. La stratigrafia ricopre un arco temporale ampissimo, infatti, i manufatti più antichi risalgono al I secolo a.C., mentre quelli più recenti arrivano al IX secolo d.C. Si tratta di un vero e proprio tesoro recuperato dall’oblio che narra del legame indelebile che intercorreva tra la popolazione locale e l’ambiente marino, ma anche di un adeguamento a circostanze e avvenimenti storici drammatici.
Non solo pesca….
Attraverso gli utensili in nostro possesso, gli storici sono riusciti a capire che nell’abitato venivano praticate diverse tecniche di pesca, confermando che quest’attività garantiva il commercio in quanto risorsa economica. Ai giorni nostri sono giunti ami e piombini, mentre il materiale organico si è deperito con il passare del tempo e l’azione corrosiva dell’acqua. Le reti da lancio erano formate da crini di cavallo, oppure dai peli di cinghiale intrecciati tra loro e alle stremità avevano dei pesi in terracotta. Inoltre, è stato confermato che a Sipar era praticata la pesca a strascico. L’economia della piccola penisola si basava anche sulla produzione della porpora per tingere i tessuti, destinata ai ceti sociali elevati. Questo colore veniva ricavato dalle ghiandole dei molluschi, in particolare da quelle del murice troncato e del murice spinoso. Oltre a ciò, sono stati ritrovati molti reperti in vetro e materiali in osso e in corno come pettini, che ci hanno permesso di farci un’idea sullo stile di vita della popolazione. La varietà degli oggetti e le loro differenze hanno permesso agli studiosi di stabilire che l’agglomerato intratteneva scambi tra l’Istria e le coste dell’Italia, ma anche con l’Africa settentrionale e il Mediterraneo orientale.
Una particolarità è che nel sito archeologico sono presenti quattro tipi di tombe a costruzione improvvisata con lastre semilavorate databili tra il VI e il VII secolo. Tra queste si distinguono 19 tombe di bambini nelle quali sono stati trovati oggetti sia cristiani, sia pagani, a testimonianza di una commistione di religioni e credenze. Tale scoperta fa capire che quello fu un periodo molto florido per l’insediamento, il quale era altamente popolato, denso e complesso.
Grazie ai tanti monili, utensili e oggetti pervenutici, il Museo civico di Umago ha allestito la mostra “Reti e ami”, al momento esposta presso gli spazi del Museo marittimo “Sergej Mašera” di Pirano. L’allestimento cerca di illustrare l’esistenza e la quotidianità delle comunità umane che abitavano a Sipar, così come il loro legame e la loro dipendenza dal mare. La rassegna è curata da Branka Milošević Zakić ed è possibile visitarla fino a dicembre 2024.
I misteri del passato nascosti nel nostro mare e tra le rovine in superficie continuano a esercitare su di noi un fascino senza tempo, nel tentativo di capire come fosse la vita dei nostri antenati. Tale consapevolezza porta a chiederci quali tesori siano ancora nascosti nei fondali dell’Adriatico…
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