«Pola 1», la nave antica è tornata a casa

Dopo quasi quattro anni trascorsi in regime di restauro nel laboratorio francese Arc-Nucléart di Grenoble i resti dell’imbarcazione «Pola 1» costruita duemila anni fa sono stati immagazzinati in un deposito del Museo archeologico istriano a Gimino. In futuro saranno esposti in pubblico

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«Pola 1», la nave antica è tornata a casa
Lo staff di esperti impegnati nelle indagini. Foto: MUSEO ARCHEOLOGICO ISTRIANO

Fine dell’operazione “ritorna a casa”. Dopo quasi quattro anni trascorsi in stato di “rianimazione e terapia intensiva” effettuata in una “clinica” altamente specializzata, vale a dire il laboratorio francese Arc-Nucléart di Grenoble, l’illustre paziente ha raggiunto finalmente la guarigione ed è stata dimessa e restituita a Pola, alla sua città che l’aveva costruita circa duemila anni or sono. Ad avere terminato la propria degenza in regime di capillare restauro è la nave romana denominata “Pola 1”(I-II secolo d.C.), ossia i resti sopravvissuti nei secoli di una magnifica imbarcazione mercantile trovata ancora nell’estate del 2013, nella melma del più profondo sottosuolo di via Flacio, in occasione del lavori di costruzione del collettore cittadino. Era stata la scoperta che aveva mandato in totale visibilio i ricercatori del Museo archeologico istriano di Pola, rimasti stupefatti e storditi davanti a una testimonianza storica considerata un’assoluta rarità per la scienza archeologica e una fonte d’inestimabile valore per l’arricchimento delle conoscenze sulla storia marinara dell’Adriatico. A voler essere del tutto precisi, però, la nave antica – completamente restaurata in maniera tale da sopravvivere avanti nei secoli quale reperto espositivo – ha sì preso la strada del ritorno, ma non ha raggiunto esattamente Pola.

I pezzi di navi antica tornano a casa.
Foto: MUSEO ARCHEOLOGICO ISTRIANO

Spazio espositivo, l’idea c’è
Come confermatoci dallo stesso direttore del Museo istriano, Darko Komšo, è stata appena immagazzinata, in condizioni sicure al deposito museale di Gimino, in attesa di venire presentata al pubblico. “No, la nave non diventerà un reperto in mostra nell’ambito dell’allestimento permanente del ristrutturato edificio del Museo archeologico. In realtà, la nostra intenzione è di istituire a Pola un vero e proprio museo della storia navale antica, in maniera tale da adibirgli un padiglione espositivo in luogo appropriato. Il progetto cui intendiamo dare corpo troverebbe spazio in un’ambientazione adatta: sulla riva di Pola, dopo il Mandracchio e verso Vallelunga, all’altezza della stazione dei treni, dove si potrà contribuire a valorizzare il braccio portuale settentrionale di Pola arricchendolo di validi contenuti”.

I pezzi dell’antica nave “cucita” ritrovati in via Flacio.
Foto: MUSEO ARCHEOLOGICO ISTRIANO

L’estrazione del 2013
Vale la pena di ricordare le vicissitudini della nave romana, che il 29 agosto del 2013 era stata estratta da 4-6 metri di profondità della terra, nell’area dell’antico porto operativo dell’urbe romana, mediante una delle manovre tecniche più spettacolari e mai viste a Pola. Issa di qua, aggancia di là, tira lo spago un po’ giù, muovi l’argano a destra, lega a sinistra… sposta la struttura leggermente a desta e… via sollevando, in meno di 20 minuti, previe strategie tecniche studiate al dettaglio e manovre preparatorie protrattesi per ore, la nave romana era stata rimossa gocciolante e maleodorante e fatta abbagliare dalla luce del sole. Tanto di estrazione dello scafo del naviglio antico (dimensioni da 15-20 metri), con fior di mercanzia spuntata dal fango era stata preceduta da indagine multidisciplinare con l’ingaggio di esperti in ingegneria meccanica, edile, navale, architetti, progettisti di Scoglio Olivi, qui inclusa la collaborazione da parte del Centro “Camille Giullian” di Aix en Provance. Difatti, mai l’archeologia polese aveva incontrato un relitto di nave su terraferma e mai aveva avuto l’occasione di portare a compimento un recupero così delicato, facendo incetta di reperti archeologici minuti che mai sarebbero sopravvissuti alla decomposizione, se la melma non li avesse conservati in speciali condizioni anaerobiche.

Uno spettacolo archeologico a sei metri di profondità.
Foto: MUSEO ARCHEOLOGICO ISTRIANO

Due anni in vasca
Pola aveva raccolto abbastanza per generare ora un suo piccolo museo del mare romano: più di 300 pezzi di attrezzature di bordo, vasellame intatto, anfore con resti organici di cibo (conchiglie, pinoli, noci, pesche, cereali ecc.), spaghi, suole di calzature, cuoio, frammenti di marmi, pesi da reti di pesca, un pezzo di pietra raffigurante un delfino e altro inventario minuto. Nel frattempo, prima di finire a Grenoble, la nave romana era stata immersa per due anni interi in vasca, entro un capannone industriale dell’Uljanik, in stato di desalinizzazione con sostanze disinfettanti e funghicide. Era stata l’unica occasione privilegiata per ammirare questo magnifico esempio di tecniche costruttorie di navi unite mediante cuciture di spago, ovvero stoppa a trama fitta, tipica di fasi antecedenti l’era romana. Come allora appreso, i romani, in detto caso, non avevano imposto innovazioni, ma accettato e “plagiato” il marchio di fabbricazione dei nostri costruttori locali autoctoni, gli Histri.

L’applicazione dei contrassegni numerici sul naviglio.
Foto: MUSEO ARCHEOLOGICO ISTRIANO

Il trattamento in Francia
L’esperta in archeologia subacquea, Ida Končani Uhač ha ieri, invece, spiegato il genere di trattamento appena completato a Grenoble: “Dopo avere tolto le tracce di cloruro, il reperto è stato trattato con il PEG glicole polietilenico o polietinlenglicole che sarebbe l’ossido di polietilene, un polimero solubile in acqua che trova più applicazioni. Il medesimo è stato utilizzato sin dagli anni Sessanta come consolidante per reperti lignei archeologici ritrovati sott’acqua o in ambienti umidi. Ancora oggi è uno dei materiali più diffusi per il consolidamento di legni archeologici bagnati, nonostante siano stati identificati diversi problemi legati alla sua applicazione, soprattutto in presenza di elementi metallici la cui corrosione è facilitata dal fatto che il PEG si comporta come un conduttore di elettricità anche allo stato solido. Nel caso della nostra nave cucita, nessun problema. Non vi sono grossi elementi in metallo, solo spaghi, chiodi e giunture di legno. L’altro processo tecnologico cui è stata sottoposta la nave è quello della liofilizzazione o crioessiccamento teso all’eliminazione dei residui d’acqua dalla sostanza lignea organica”. Da segnalare che il naviglio Pola 1, non è l’unica imbarcazione romana salvata da Grenoble. Esiste anche Pola 2, una barchetta antica da 8 metri, che era stata scoperta qualche mese dopo proprio a fianco della nave mercantile cucita sotto via Flacio. La medesima è stata riportata a Pola restaurata, prima ancora di inviare in Francia la “sorella maggiore”.

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