Marchionne, forte e sensibile come un istriano vero

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Marchionne, forte e sensibile come un istriano vero

FIUME – Quando nell’ottobre del 2010 l’amministratore delegato della FIAT e Chrysler, Sergio Marchionne, partecipò alla commemorazione delle foibe a Torino, nell’ambito della cerimonia per il Giorno del Ricordo, molti rimasero perplessi, non riuscendo a cogliere il nesso tra l’evento e il numero uno della casa automobilistica di Torino e Detroit. Poi venne spiegato che la mamma di Sergio Marchionne, Maria Zuccon, è istriana – ora vive in Canada –, mentre il nonno materno venne massacrato nella foiba di Terli (Trlji), nel comune di Barbana. Un profondo legame con il popolo giuliano che non potevamo non investigare per raccontarlo ai nostri lettori. Tra un impegno e l’altro dell’amministratore delegato, siamo riusciti a realizzare quest’intervista, dove ci parla della sua famiglia, delle radici e di cosa significhi essere a capo di un gruppo automobilistico come la FIAT e la Chrysler.

Vanta origini abruzzesi, un’adolescenza in Canada, ma nelle sue vene scorre anche sangue istriano. Sua madre le parlava dell’Istria? Che ricordi conserva? Sa parlare il dialetto istriano?

“Mia mamma mi parlava spesso della sua terra quando ero bambino, e me ne parla tutt’ora, quando riusciamo a trascorrere qualche ora insieme. I ricordi che ha, com’è comprensibile, sono molto contrastanti. Ne parla con gioia quando racconta della sua infanzia a Zucconi, dei bei momenti che ha trascorso con la famiglia, di quando andava al mare con sua sorella Anna e, dopo lunghe camminate, raggiungevano finalmente la spiaggia e le ‘loro’ grotte. Ne parla con amore quando racconta dell’incontro con mio padre, che dall’Abruzzo si era trasferito proprio in Istria per dirigere la stazione dei Carabinieri di Carnizza. Si erano conosciuti nell’emporio che mio nonno Giacomo aveva aperto in piazza, a Zucconi, praticamente sotto casa, e dove mia madre trascorreva molto tempo ad aiutare”.

Amore e dolore per la patria perduta

“E ne parla con profondo dolore se pensa al periodo delle pulizie etniche e delle foibe. Quando nel 1943 arrivarono i partigiani di Tito a rastrellare i ‘nemici del popolo’, l’emporio venne distrutto e mio nonno fu catturato e fatto sparire, insieme ad altre persone perbene del paese. Anche mio zio Giuseppe, il fratello più grande di mia madre, che partì alla ricerca del padre, non fece mai più ritorno a casa. Qualche anno più tardi, i miei genitori lasciarono l’Istria, per sposarsi e andare a vivere in Italia. Quanto al dialetto istriano, l’ho sentito spesso da mia mamma. Io non lo so parlare, ma riesco a capirne il senso”.

La sua famiglia materna ha provato sulla propria pelle la tragedia delle foibe e dell’esodo. Come si è rapportato a tale fardello? Nutre rancore contro gli aguzzini di suo nonno?

“Il rancore non è uno dei sentimenti che mia madre mi ha trasmesso. In lei ho sempre visto una donna estremamente forte e sensibile, due elementi che possono convivere solo in chi è stato messo duramente alla prova dalla vita. Quando parla della terribile esperienza che lei e la sua famiglia hanno dovuto passare, sento dolore e commozione nella sua voce, non vendetta”.

Che cosa prova, l’amministratore delegato della Fiat, uno dei manager più stimati che fa onore all’Italia, nelle celebrazioni del Giorno del Ricordo? So che ha partecipato alle celebrazioni di Torino. Pensa in futuro di includersi maggiormente in questo tipo di manifestazioni?

“Se mi sarà possibile, e non mi troverò all’estero per lavoro, sì, certo, parteciperò di nuovo. Credo sia importante non dimenticare quella tragedia, nata da una cultura dell’odio che non trova ragioni se non nella follia. Quei ricordi, il dolore che ne è collegato e la voglia di reagire, rendono ancora più forte la necessità di fondare ogni nostra scelta e ogni nostra azione su ciò che abbiamo di più prezioso, quei valori che non conoscono confini: la giustizia, l’onestà, il rispetto per gli altri. Questi sono i valori che mia madre mi ha sempre trasmesso”.

Dare al passato anche un futuro

Un suo consiglio “da manager e cittadino del mondo” qual è: in quale maniera, a suo avviso, andrebbe promossa la civiltà istriana?

“Non ho consigli da dare, ma penso che ogni civiltà, ogni cultura vada difesa e promossa. Proteggere le proprie radici è un modo non solo per conservare la propria identità, ma serve anche a comprendere meglio il percorso fatto da un popolo, da un insieme di persone unite da valori comuni. Gli istriani hanno perso la propria terra, ma non lo spirito d’intraprendenza, le tradizioni e i valori che esistevano allora. Sono tutti elementi importanti della civiltà istriana, da riscoprire e valorizzare, per dare al passato anche un futuro”.

Ritorna spesso a Pola, anzi a Zucconi, nella casa materna? Che cosa prova?

“Purtroppo non più molto spesso, perché viaggio continuamente tra gli Stati Uniti e l’Europa, e il tempo libero non è tantissimo. Ci sono però tornato una decina di anni fa, con mia mamma, che ora abita in Canada, e i miei due figli. Ricordo momenti piacevoli e anche un po’ di commozione”.

Pensa di chiedere la restituzione dei beni immobili lasciati dalla sua famiglia in Istria?

“No, non ci ho mai pensato seriamente. Molti anni fa me ne aveva accennato una lontana parente, ma poi non se n’è fatto nulla”.

Una sua lontana parente, in un documentario, ha parlato di lei come di un ragazzino coscienzioso, serio, bravo. Quali ricordi ha della sua infanzia trascorsa in Istria?

“La prima volta che sono andato in Istria avevo tre anni e ci siamo tornati tante altre volte, d’estate, quando io ero ragazzo. Andavamo con la mia famiglia a passare le vacanze nella casa di campagna dei miei zii: Martino, il fratello più giovane di mia mamma, e sua moglie Maria. A me piaceva alzarmi presto, il mattino, per seguire mio zio nei campi, quando andava a pascolare il bestiame. Forse era il contatto con la natura, più probabilmente l’affetto verso di lui, ma questo è uno dei ricordi che mi è rimasto più impresso, anche per la serenità di quei momenti”.

Cambiare per andare avanti

Ha fatto lo sportellista in banca, si è laureato in Filosofia, poi in Economia e successivamente anche in Legge e, dopo un momento maoista, è diventato sostenitore del capitalismo americano. Cosa prova nel dirigere oggi la Fiat?

“A volte, se guardo indietro, alle scelte che ho fatto negli studi e nel lavoro, il migliore aggettivo che mi viene in mente è ‘caotico’. Ho fatto il commercialista e poi l’avvocato e ho seguito tante altre strade, passando per la finanza, prima di arrivare a occuparmi di imballaggi, poi di alluminio, di chimica, di biotecnologia, di servizi e oggi di automobili. Guidare un grande gruppo industriale come Fiat-Chrysler è un privilegio e una grande responsabilità insieme. Dobbiamo tenere sempre a mente che le nostre scelte hanno un impatto su centinaia di migliaia di altre persone. Tutte le nostre decisioni devono necessariamente essere prese con cura, diligenza e rigore, e con piena coscienza delle conseguenze che ne possono derivare. Non so se la filosofia, che ho seguito all’inizio del mio percorso universitario, mi abbia reso allora un avvocato migliore o mi renda oggi un amministratore delegato migliore. Ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro. Così è stato anche per tutte le esperienze successive”.
“Credo che nel cammino di ognuno di noi ci siano tante cose che possono cambiare noi stessi e il nostro percorso di vita, ma le può riconoscere solo chi ha abbracciato l’abitudine ad apprezzare tutto ciò che può capitare, chi ha mantenuto una mente aperta al cambiamento, alla voglia di conoscere e di mettersi alla prova. Questo è ciò che raccomando sempre ai miei ragazzi, in Fiat e in Chrysler: di avere sempre il coraggio di cambiare sé stessi, cambiare idea, approccio, punto di vista, perché è anche l’unico modo per cambiare le cose che non vanno e vivere pienamente la propria vita”.

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