La stagione di caccia ai leoni di San Marco

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La stagione di caccia ai leoni di San Marco

Correva il dicembre del 1943 e il Movimento partigiano già si preparava all’assunzione del potere. In Dalmazia diverse aree erano ormai sotto il suo controllo. Le truppe italiane se n’erano andate da tempo e lo scontro assumeva sempre più contorni ideologici. Ma già allora era evidente la volontà di dare alla Lotta popolare di liberazione una coloritura fortemente nazionale, croata e jugoslava. E una parte importante del mondo della cultura era pronta a mettersi al servizio di questa visione nella quale non c’era spazio per le altre culture, nemmeno per simboli di un tempo ormai remoto, come i leoni marciani, che nella loro epoca non avevano alcun elemento etnico-nazionale. peraltro completamente assente a quei tempi. Poco importa la furia iconocasta veniva bene per consolidare e fondere ideologia e nazione moderne.

Ebbene verso la fine del 1943 già si pensava al dopoguerra. A distanza di 75 anni in Dalmazia si ricorda un appuntamento tutt’altro che irrilevante, tenutosi il 18 e 19 dicembre per l’appunto del ‘43, incentrato su quello che avrebbe dovuto essere lo sviluppo culturale della regione.
Nel dicembre del 1943, sul territorio liberato dell’isola di Lesina (Hvar), si svolse infatti la prima Conferenza degli operatori culturali in Dalmazia, circa sei mesi prima di quella a livello nazionale, che si tenne a Topusko. Il raduno, che si svolse nel teatro di Lesina, uno dei più antichi d’Europa, venne organizzato da alcuni operatori del mondo della cultura in collaborazione con i leader del Partito comunista della Croazia e del Comitato popolare di liberazione per la Dalmazia. Il documento più rilevante scaturito da tale conferenza s’intitolava “Proclama degli artisti, letterati ed editori della Dalmazia, riuniti nella Conferenza del 18 e 19 dicembre nella libera città di Lesina”.

Presenti 41 operatori culturali

A tale incontro avevano preso parte 41 operatori culturali, tutti impegnati nella Guerra popolare di liberazione. Ecco i loro nomi, nello stesso ordine di come appaiono nel Proclama: Marijan Burić, ing. Helen Baldasar, Rudolf Bunk, Andrija Čičin-Šain, Šime Dujmović, ing. Vlatko Drašković, Marin Franičević, dr. Cvito Fisković, Jure Franičević, Josip Hatze, Nikola Ignjatović, Živko Jeličić, Ante Kostović, Joko Knežević, Živko Kljaković, Ivo Kurtović, ing. Boris Katunarić, ing. Josip Kodl, Đuka Kavurić, Jure Kaštelan, Vjekoslav Kaleb, Josip Kirigin, Milka Lasić, Jakica Miličić, ing. Marko Markovina, dr. Sibe Miličić, Ljubomir Nakić, Bartul Petrić, ing. Dragan Petrik, Vojka Ružić, Marin Studin, Neven Šegvić, Šerif Šehović, Ivo Tijardović, Aco Ujdurović, Žika Vlajinić, Adelina Vlajinić-Bakotić, ing. Milivoj Vukasović, Šime Vučetić, dr. Miloš Žanko e Aljoša Žanko. Tra i partecipanti c’erano nomi importanti della letteratura, dell’architettura e della musica, artisti teatrali, pittori e pubblicisti. Nelle sue memorie di guerra, Marin Franičević ha evidenziato che erano presenti undici letterati, di cui, nel 1983, sette si fregiavano del titolo di accademici.
A inaugurare e presiedere la Conferenza fu Josip Hatze. L’onore di tenere il discorso d’apertura spettò a Jure Kaštelan, il quale trattò ampiamente il tema “Ruolo dell’arte e della letteratura nella Guerra di liberazione”. Nell’elaborazione delle sue tesi, tra l’altro, affermò: “Oggi l’arte deve avvicinarsi quanto di più al popolo. Evidenziare oggi anche nella cerchia degli artisti le questioni politiche significa difendere anche l’arte”.
A salutare gli intervenuti a nome del Comitato circondariale per la Dalmazia del Partito comunista della Croazia, fu V. Krstulović, che si soffermò diffusamente sul “ruolo dei lavoratori culturali nella Lotta popolare di liberazione”. Il compositore Ivo Tijardović volle ricordare gli uomini di cultura caduti (lo scultore Ivo Lozica, il pubblicista Božidar Adžija e altri). Lo scultore Marin Studin – organizzatore di una mostra allestita in clandestinità a Spalato – parlò del “significato di questa nostra riunione”, mentre il dottor Cvito Fisković evidenziò l’importanza di “salvaguardare i monumenti artistici”.
L’Ordine del giorno della conferenza fu il seguente: Programma di lavoro nel campo delle arti figurative, della letteratura, della musica e del Teatro nella Lotta popolare di liberazione; Edificazione politica dell’organizzazione degli artisti figurativi, dei letterati, dei pubblicisti, dei musicisti e degli architetti; Prospettive per il nostro lavoro dopo la completa liberazione.

Ricostruzione postbellica

Dopo l’introduzione a cura del poeta Jure Kaštelan, l’architetto Dragan Petrik parlò della “ricostruzione postbellica delle nostre città e dei nostri villaggi”. Lo scrittore Vjekoslav Kaleb si soffermò “sui compiti della letteratura”, mentre Aljoša Žanko fece il punto della situazione sulle “stamperie partigiane”. Ci fu anche la proposta di innalzare un monumento a Matija Ivanić, capo della rivolta dei popolani a Lesina, presentata dallo scultore Marin Studin, il quale spiegò che l’obiettivo era di rendere omaggio a un combattente della prim’ora per la libertà e la giustizia.
Al termine della conferenza, nel Teatro di Lesina si tenne una serata letteraria, nel corso della quale recitarono le loro poesie Marin Franičević, Jure Kaštelan, Jure Franičević Pločar, Živko Jeličić, Aco Ujdurović e Vjekoslav Kaleb (che lesse la sua novella “Le brigate avanzano”). Il dottor Cvito Fisković illustrò le sue esperienze di guerra.

Un Proclama nazionale

La prima stesura del Proclama fu curata da Cvito Fisković e Miloš Žanko, ad ampliare il testo furono Marin Franičević e Jure Kaštelan, mentre la versione finale fu redatta da Miloš Žanko.
Nell’introduzione del Proclama si rileva: “La Dalmazia, oggi insanguinata, martirizzata e incendiata, questa culla dell’antichissima resistenza nazionale e della nostra arte, è sempre stata una terra d’eroi e creatori”. Nel prosieguo del documento si osserva che “nonostante il secolare giogo veneziano e la sua posizione di frontiera, questa terra ha conservato, anche nelle sue isole più lontane, la pura nazionalità croata”. La Patria “è insorta, nella sanguinosa insurrezione popolare, collegando le tradizioni eroiche della secolare resistenza contro lo straniero con la lotta sovrumana dei suoi partigiani”. In particolare nel documento si sottolinea che “questa è la terra che ha dato i natali al poeta ‘galeotto’ Vladimir Nazor; a Filip Grabovac, morto nelle carceri veneziane per le sue idee, per essere stato un combattente per la libertà di questa terra carsica; a Ivo Lozica, fucilato dai fascisti sanguinari. Questa pura terra slava è stata consegnata alla marmaglia fascista dal traditore Ante Pavelić…”.

Abbasso il governo del re

Al primo punto delle conclusioni della Conferenza i partecipanti espressero la ferma convinzione che difendendo il Paese dall’occupatore e dai suoi aiutanti, si salvaguardano al contempo la cultura e l’arte. Perciò decisero di continuare a dare il loro contributo alla lotta popolare “per la completa liberazione e la fratellanza dei nostri popoli nella libera democratica e federativa Jugoslavia, dove il nostro lavoro artistico potrà esternarsi al meglio e conseguire il massimo della sua espressione”.
Nel secondo punto delle conclusioni si condannano le “trame intessute dal governo monarchico a Londra”, consapevoli che “quel governo, sotto l’egida della monarchia e del re, diffonderebbe nel nostro Paese l’oscurantismo e la tirannia, contro le quale noi artisti e lavoratori pubblici ci battiamo”.
Al punto tre si condannano tutti quegli artisti e lavoratori pubblici che “hanno abbandonato il proprio popolo per mettersi al servizio del fascismo e dei traditori interni, ustascia, cetnici e altri”.
Nel quarto punto i partecipanti alla Conferenza invitano tutti gli artisti che ancora si trovano nei territori non liberati a unirsi quanto prima alle file dei combattenti partigiani.
Nel quinto punto delle conclusioni, infine, i partecipanti condannano “lo sfruttamento delle loro opere d’arte da parte dell’occupatore e dei suoi aiutanti; pertanto negano ad essi il diritto di usare le loro opere d’arte per i propri falsi obiettivi”.

Un Esercito dedito alla cultura

Alla Conferenza venne inoltre sottolineata l’importanza del restauro della casa di villeggiatura di Hanibal Lucić (Annibale Lucio) e di dedicare una targa ricordo a Vicko Pribojević, su cui incidere: “Quale mortale può degnamente esaltare gli slavi, che con le proprie virtù hanno prevalso sul rigore dei germani e umiliato e sconfitto l’astuzia dei romani?”.
Però, durante al guerra non fu possibile restaurare la casa di villeggiatura, perché, come scrisse nel 1961 Ž. Jeličić, “l’inchiostro non si era ancora asciugato sul Proclama, che già i tedeschi da Curzola (Korčula) erano sbarcati sulla costa orientale di Lesina (Hvar)”. Vennero però stati salvati, trasportandoli sull’isola di Lissa (Vis) e poi in Italia, alcuni monumenti scritti che dopo la liberazione poterono fare rientro a Lesina.
Anche questa Conferenza, rileva il quotidiano spalatino Slobodna Dalmacija, in un ampio servizio dedicato al 75.esimo anniversario dell’assise, testimoniò l’importanza che il Movimento popolare di liberazione attribuiva alla cultura. Non a caso, sottolinea il giornale dalmata, il maggiore inglese Owen Reed, al Congresso di Topusko, affermò: “Credo che non esista alcun esercito al mondo che dia tanta importanza alla cultura. Voi avete ragione di farlo, perché una vittoria non è tale, se l’arte e la bellezza restano sconfitte”.

Leoni marciani e tirannia…

Fin qui tante belle parole con la retorica tipica dell’epoca e del successivo periodo dell’edificazione socialista, condite con richiami etnocentrici sull’esclusiva identità croata ovvero slava della regione. Ma alla Conferenza fu presa anche una decisione molto concreta, con il chiaro intento di rendere ancora più nazionalmente puro l’ambiente dalmata. Fu emanata infatti la conclusione di “togliere da tutti i luoghi pubblici in Dalmazia i leoni veneziani, quali simbolo della tirannia straniera”. La conclusione, rileva la Slobodna Dalmacija nell’anniversario della Conferenza, “fu naturalmente di natura politica, però all’assise fu constatata anche l’assoluta mancanza di valore artistico del leone di San Marco”. Come dire c’era persino anche una “spiegazione” di tale decisione. Infatti il quotidiano spalatino nel prosieguo del suo commento ricorda che “negli anni Novanta del secolo scorso in Croazia furono abbattuti, non di rado anche con l’uso della dinamite, oltre tremila monumenti, però senza alcuna spiegazione”.

Furie iconoclaste

Chiaro il riferimento del giornale dalmata, ai tantissimi monumenti alla lotta antifascista, al movimento partigiano jugoslavo distrutti negli anni Novanta soprattutto in Dalmazia. Il quesito che possiamo porre è se sia possibile definire giustificata e anzi “motivata” una furia iconoclasta, come quella contro i leoni marciani, quando invece c’è una chiara condanna di un’altra furia, di coloritura ideologica. E sì perché quei leoni di San Marco erano soltanto una piccola punta di diamante di una marea di altri elementi culturali che – ad onta delle tesi degli operatori culturali dell’epoca – confermavano il carattere plurale della regione proprio dall’ottica culturale. E quindi anche nazionale. Certo, era un’epoca di guerra, il contesto era quello che era. Le emozioni erano all’apice. Però con il tempo la ragione doveva prevalere. Purtroppo c’è voluto molto, troppo tempo, prima che qualcuno abbia iniziato timidamente, nel mondo culturale maggioritario, a ricordare e valorizzare la complessità delle radici dalmate. E purtroppo c’è ancor oggi, come abbiamo visto, chi considera “motivata” la distruzione dei leoni marciani, perché… sic… di valore artistico assolutamente nullo. Possibile che altre guerre, altre furie iconoclaste da tutte le parti, non abbiano portato insegnamento…

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