Indoeuropeo, culla delle lingue antiche e moderne

Studiosi e ricercatori hanno tentato di ricostruire l’idioma comune e la cultura del popolo preistorico che dalle steppe dell’Anatolia e del Kurgan si sono diffusi in Europa e in parte dell’Asia. Le similitudini tra i vari vocaboli di parlate diverse sono tante e impressionanti e fanno supporre l’esistenza di un unico idioma primitivo (anche se non archeologicamente confermato) che le giustifichi e spieghi la loro evoluzione

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Indoeuropeo, culla delle lingue antiche e moderne
FOTO SHUTTERSTOCK

Durante i viaggi capita spesso di imbattersi in una lingua o in una cultura nuova e stupirsi della somiglianza di alcune parole con le nostre, anche trovandosi a migliaia di chilometri da casa. Allo stesso tempo parlando fluentemente l’italiano, il croato o lo sloveno raramente ci soffermiamo a pensare ai termini simili che utilizziamo quotidianamente. Siamo consapevoli che queste ultime due appartengono alla medesima famiglia linguistica, quella slava, mentre l’italiano è una lingua romanza, nata dall’evoluzione del latino. Ci siamo mai chiesti, però, da dove derivi l’idioma utilizzato nell’Antica Roma o come si sia sviluppata la parlata che ha dato origine alle cosiddette lingue balto-slave?
Grazie alla linguistica storica, oggi sappiamo che il latino era uno dei tanti dialetti parlati lungo la penisola italica e che con l’ampliarsi dei territori, prima della Repubblica e poi dell’Impero romano, si diffuse anche il suo idioma, prevalendo sugli altri. Essendo la lingua un’identità viva e in continua evoluzione, progredì in modo diverso nelle varie aree geografiche modellando con il tempo la famiglia delle moderne lingue neolatine.
Il termine stesso balto-slavo indica, invece, l’esistenza di due sottogruppi, quello baltico e quello slavo appunto. Nella tarda Età del bronzo, la popolazione dei Baltici si espandeva dalla Polonia orientale fino ai monti Urali. Gli Slavi e i loro antenati, invece, a partire dal 1500 a. C. si stanziarono a ovest della Polonia fino al fiume Dniper in Bielorussia. Dal VI secolo d.C. il loro territorio raggiunse la Grecia e i Balcani. Dalla mole di parole iraniane integrate nella lingua proto-slava, si presume che parte della popolazione fosse insediata nell’area iraniana e che in una fase successiva ci fosse stato un movimento verso ovest che creò contatti con le tribù germaniche, dalle quali gli slavi presero in prestito ulteriori lemmi. Rimane, però, il quesito di come siano nati il latino e le lingue balto-slave e quale sia il loro antenato comune.

Alcune similitudini fondamentali
Già gli antichi si accorsero di alcune somiglianze fondamentali tra il latino e il greco postulando la teoria che la prima fosse “figlia” della seconda, più antica. Nell’epoca rinascimentale, invece, gli studiosi si resero conto che esistevano delle similitudini tra più idiomi, non solo tra questi due. Il vero passo avanti in tale direzione avvenne nel XVIII secolo, in seguito all’espansione coloniale britannica in India. Sir William Jones, fine conoscitore del latino e del greco, si dedicò allo studio del sanscrito, constatando il verificarsi di analogie tra l’idioma parlato nel subcontinente asiatico, le due antiche lingue europee, nonché il persiano. L’idea rivoluzionaria dell’esistenza di una correlazione tra tutti questi idiomi, anche se appartenenti ad aree geografiche straordinariamente lontane, diede l’avvio alla linguistica moderna. In seguito a tale deduzione, si postulò la teoria dell’esistenza di una protolingua comune, dalla quale si sarebbero evolute le parlate storiche, denominata indoeuropeo.
Attualmente sappiamo che tra tutte le famiglie linguistiche parlate in Europa, solo 4 non derivano da questa lingua preistorica: il basco, il finlandese, l’estone e l’ungherese, mentre le altre, al loro interno hanno elementi tali da far supporre un’antichissima origine comune. Da questa deduzione si concluse che il latino è una lingua “sorella” e non “figlia” del greco, come inizialmente teorizzato.

Le due teorie principali
Esisteva quindi un popolo indoeuropeo da cui discendiamo? Se sì, qual è il luogo in cui tale popolo viveva? A noi non è giunta alcuna attestazione archeologica e tantomeno siamo in possesso di qualsiasi traccia scritta appartenente alla protolingua, essendo questa utilizzata prima dell’avvento della scrittura. Esistono, però, due teorie principali che cercano di ricostruire la storia e lo stile di vita del popolo indoeuropeo. La prima è quella proposta dall’archeologa e linguista Marija Gimbutas negli anni ‘60 dello scorso secolo, denominata “Kurgan”. Secondo la studiosa, gli indoeuropei erano un popolo di pastori-guerrieri nomadi stanziati tra la steppa orientale dell’Ucraina e il sud della Russia. Tra il 4000 e il 1000 a.C., grazie all’addomesticamento del cavallo, le sue genti si espansero a più ondate in Europa, sviluppando così idiomi diversi in varie zone del continente.
La seconda ipotesi, invece, è quella dell’archeologo Colin Renfrew, il quale sostenne che la patria originaria dei protoindoeuropei era l’Anatolia, l’altopiano che domina il centro dell’attuale Turchia, e che la loro espansione pacifica fu legata all’agricoltura. Secondo lo studioso britannico, il popolo primigenio si diffuse in Europa e a Oriente dall’8000 a.C.
Nel frattempo, l’archeogenetica ha fatto passi da gigante e ha permesso agli studiosi di effettuare analisi del DNA sui resti umani pervenutici per determinare i percorsi delle migrazioni umane. Il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza è giunto, così, alla conclusione che le due teorie più accreditate in realtà sono complementari. In base alle sue ricerche, ha stabilito che le genti indoeuropee facevano parte dei popoli del Kurgan originari dell’Anatolia. Accurati studi hanno confermato che si trattava di una società patriarcale, nomade di pastori e guerrieri, dedita all’agricoltura stagionale, che possedeva il cavallo, il carro e allevava il bestiame. Questo popolo praticava una religione con sacrificio, in cui il poeta rappresentava una figura chiave della società. La struttura sociale era suddivisa in base alla tripartizione funzionale nell’ambito sacro, in quello militare e, infine, in quello economico-produttivo.

Sostanziali somiglianze
Dal confronto delle varie lingue, si sono determinate somiglianze sostanziali nel lessico, nella fonetica e nella morfologia, presumendo così una parentela genetica. Rimane il fatto che la lingua originaria non è attestata archeologicamente, ma è semplicemente supposta e ricostruita attraverso la comparazione di lingue antiche e moderne diffuse tra l’Asia centrale, la penisola anatolica e gran parte d’Europa. La concordanza lessicale è stata limitata a certi campi definiti in base alle ricerche archeologiche, le quali hanno stabilito che il popolo indoeuropeo possedeva un forte senso della famiglia, venerava degli dei della luce (o del sole) e allevava cavalli. Gli studiosi sono stati in grado di definire, inoltre, che tali antenati abitavano lontano dal mare in un clima freddo. Queste genti erano in contatto con altri popoli indigeni, i quali influenzarono i loro usi e le loro parlate, dando l’avvio alle varietà indoeuropee.
In seguito a tali nuove scoperte, la ricostruzione più accreditata stabilisce che la lingua originaria era parlata all’incirca 6000 anni fa tra il Mar Nero, la Russia e l’Ucraina da un popolo di pastori con cavallo – elemento di estrema importanza per gli spostamenti –, il quale dilagò a più riprese sia verso est, sia verso ovest. In seguito alla diffusione della popolazione in Europa e in India, l’unità linguistica giunse al suo termine attorno al 3400 a.C., portando all’estinzione della protolingua. I ricercatori sono giunti a tale conclusione seguendo la logica che le lingue sono delle specie in continua evoluzione: sono state analizzate 170 parole chiave, con significati universali. Più questi termini si assomigliano, più si delinea l’albero genealogico. Le prove genetiche hanno, inoltre, sottolineato che circa 5000 anni fa ci fu uno spostamento di popolazioni dalle steppe dell’Europa centrale. Le parole ricostruite determinano un tipo di società basata sull’economia pastorale con la presenza di carri e cavalli, evidenziando che i lemmi legati alla rivoluzione agricola derivano a loro volta da concetti più antichi. Ad esempio, il termine per nominare la ruota si sviluppò da quello ancora più primitivo che indicava il cerchio.

Il metodo comparativo
Il metodo comparativo rappresenta la principale elaborazione metodologica dell’indoeuropeistica. Tale sistema consiste nel raffrontare parole, radici o strutture morfosintattiche di lingue diverse per arrivare a una ricostruzione del comune antenato indoeuropeo. L’applicazione concreta di tale sistema poggia su diversi criteri utili a individuare quale tratto debba essere considerato più vicino all’indoeuropeo comune. Il criterio dell’“area maggiore” considera più vecchio l’elemento presente nel maggior numero di lingue derivate. Quello delle “aree laterali” tende a ritenere più arcaico il lemma che compare in lingue geograficamente più distanti tra loro, come possono esserlo il latino e il sanscrito. In base all’“antichità dei testi” viene reputato più antico l’elemento con un’attestazione cronologica più datata. Il criterio dell’“arcaicità della lingua” giudica più lontano nel tempo il tratto presente in lingue considerate più arcaiche, ovvero meno innovative rispetto all’indoeuropeo comune (per esempio, il lituano).
Come hanno fatto gli studiosi a stabilire quali siano le 170 parole sulle quali incentrare gli studi? Questi hanno scelto i lemmi di base che le diverse lingue dovevano aver preservato nel tempo, dal cui confronto un team di linguisti ha determinato la parola cardine per ciascuna lingua, fino a decretare che il protoindoeuropeo si è diffuso attraverso la forza innovatrice dell’agricoltura per mezzo di genti provenienti dall’Anatolia. Di conseguenza significa che le steppe russo-ucraine furono la patria secondaria della maggior parte delle lingue indoeuropee. Un ramo di questa popolazione viaggiò dall’attuale Turchia fino a lì per poi irradiarsi nell’Europa settentrionale e in seguito verso l’India. Ulteriori migrazioni portarono le genti preistoriche a espandersi nel resto del nostro continente e in parte dell’Asia, dando vita ai 9 sottogruppi indoeuropei: anatolico, indo-iranico, greco, italico, celtico, germanico, armeno, balto-slavo e albanese, a loro volta suddivisi in ulteriori sottogruppi.

Esempio pratico
Vediamo ora un esempio pratico di somiglianza linguistica tra idiomi di diversi rami dello stesso albero genealogico distanziati geograficamente. Partiamo dalla parola italiana fratello, che deriva, come sappiamo, dal latino frater, e fin qui nulla di eccezionale. In greco antico troviamo il termine phrater, che significa confratello; i più scettici potrebbero dire che si tratta di una coincidenza o di un prestito linguistico. Passiamo quindi al gotico, dov’è attestata la parola broθar, da cui sono evoluti l’inglese brother e il tedesco Bruder, mentre in croato e in sloveno, nati dallo slavo, abbiamo il termine brat. Infine, in sanscrito troviamo la forma bhrātā, con il medesimo significato. Un’osservazione più attenta ha stabilito l’esistenza di alcuni fenomeni ricorrenti in tutti questi idiomi, ad esempio un elevato numero di parole sanscrite al cui interno è presente il sintagma bh, in greco e in latino presenta i corrispettivi ph e f, come nell’esempio sopraccitato.
Le similitudini sono tante e impressionanti e fanno supporre l’esistenza di un unico idioma primitivo (anche se non archeologicamente confermato) che le giustifichi e spieghi la loro evoluzione. Attualmente ci sono circa 450 lingue indoeuropee parlate, facendo pensare che questa famiglia linguistica sia la più diffusa nel mondo. Parlanti di ogni dove, utilizzano quotidianamente idiomi completamente diversi nati da un’unica lingua comune. Tutto ciò porta a ulteriori quesiti: esiste una parlata ancora più antica dell’indoeuropeo? Come si è evoluto il linguaggio umano? Lo studioso neozelandese Quentin Atkinson ha postulato la teoria di un’unica lingua ancestrale sorta in Africa all’incirca 50mila anni fa, ma questa è un’altra storia…

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