Il vento fa il suo giro lungo le sponde della Dvina

Viaggio ad Arcangelo, una città poco al di sotto del circolo polare artico e capoluogo della regione russa settentrionale «Pomorie»

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Il vento fa il suo giro lungo le sponde della Dvina

Lungo le sponde della Dvina settentrionale, lì dove comincia l’estuario e l’acqua salata del mar Bianco si amalgama e confonde con quella dolce del fiume, si trova Arcangelo. Il treno da Mosca raggiunge la città all’improvviso: dopo aver attraversato boschi infiniti di pini e betulle, si ferma in una piccola stazione suburbana. All’orizzonte, i palazzi socialisti si stagliano chiari e immobili contro il cielo nitido e turchino. Il tempo di cambiare la locomotiva elettrica con una a diesel e il treno riparte; l’ultimo tratto di ferrovia non è elettrificato e il convoglio attraversa lentamente il ponte sulla Dvina per poi entrare nel centro abitato, scorrere lungo l’edificio bianco dell’Università dell’Artico e fermarsi con uno scossone in corrispondenza della stazione centrale, composta da un piccolo edificio e due sole piattaforme di cemento armato. D’inverno è sempre notte, l’estate conosce solo il giorno: Arcangelo è poco al di sotto del Circolo Polare Artico ed è il capoluogo della regione russa settentrionale “Pomorie”.

 

Il nord russo

Il cuore della città si trova sul continente, su una penisola legata da un’esigua striscia di terra al resto della Russia. Qui si trovano i principali edifici dell’intero nord russo: il Comune, il Teatro, le Poste, l’Università, il Museo. Al centro della penisola si erge come un monolite il ripetitore delle telecomunicazioni, costituito da un alto traliccio metallico ancorato alla terra grazie a possenti cavi d’acciaio; sulla sommità della costruzione sono alloggiate antenne trasmittenti circolari e lineari. Da lontano, il ripetitore assume le sembianze di una vela e, vista dal fiume, la penisola di Arcangelo sembra una nave in movimento. Le nuvole si spostano velocemente ed è impossibile dire se a muoversi sia il cielo o la città. Il vento fa il suo giro e la direzione da cui soffia dipende dalle perturbazioni cicloniche: il più delle volte arriva dal nord, è freddo e non porta con sé nubi di rilievo: il sole è sincero, diretto e fa brillare a intermittenza l’acqua della Dvina. A mano a mano che il centro della pertubazione si sposta verso est, verso gli Urali, il vento proviene da nord-ovest e porta pioggia, che già in ottobre si trasforma in neve e rende impossibile andare a passeggio. Le raffiche sferzano il marmo delle balaustre del lungofiume, divelgono gli ombrelli e costringono anche i più coraggiosi a cercare riparo nei caffè. Solo d’estate, e di rado, arriva il vento da sud, caldo e impercettibile: una bolla d’aria calda insiste sul Pomorie, anche per giorni. L’etere si arroventa, l’umidità è insopportabile, i rami delle betulle non si muovono, all’orizzonte si fondono i colori dell’estuario e del cielo in un biancore fastidioso e indistinto: sciami di zanzare moleste ronzano senza sosta ovunque ci sia un po’ d’ombra e tormentano i bagnanti accorsi sulla riva del fiume a cercare refrigerio.

Le aurore boreali

A volte, nei giorni sereni d’inverno, quando il sole non sorge o fa capolino per pochi minuti, il cielo si colora di verde e azzuro e strie di luci si muovono come fossero fosfeni sulla superficie dell’occhio: sono le aurore boreali, causate del vento solare che eccita gli atomi della ionosfera i quali si scaricano a loro volta dell’energia accumulata emettendo luce. Le onde solari sono spesso così potenti da disturbare le trasmissioni radio terrestri. I segnali ortogonali trasmessi dal ripetitore di Arcangelo si piegano, si deformano sotto il peso del vento stellare. Arcangelo, La Grande Nave, perde l’orientamento e dimentica di trovarsi sul pianeta Terra. Sono quelli i momenti in cui la città vaga senza meta per l’Universo, che è silenzioso esattamente come la luce polare che la illumina. Sul continente si trova solo il nucleo storico di Arcangelo, che già esisteva al tempo dei Vichinghi. Fu Pietro il Grande a capire che il borgo non poteva costituire la capitale del nord europeo russo, dato che le acque del porto sono congelate per almeno 5 mesi all’anno: per questo decise di fondare San Pietroburgo e il capoluogo del Pomorie perse gradualmente di importanza economica e strategica. Le periferie sono disseminate sulla miriade di isole che costituiscono l’estuario della Dvina.


Labirinto di specchi

Tutte le isole sono uguali e allo stesso tempo differenti. È difficile orientarsi se non si conosce alla perfezione la struttura dell’arcipelago, che somiglia davvero all’inconscio umano: un labirinto caleidoscopico di specchi, in cui le nostre sensazioni e i nostri desideri si riflettono, moltiplicano, ingigantiscono, cambiano continuamente forma, e a seconda della distanza da cui le guardiamo assumono coloriture e sfumature differenti. A nulla serve cercare di capire dove siamo senza una mappa. Su ogni isola di Arcangelo ci sono un mucchio di case, strade non asfaltate e boschi di betulle. Ogni isola è collegata all’altra dai cavi dell’alta tensione, che, appesi a enormi tralicci inchiodati alle sponde, attraversano i bracci di mare che separano le terre emerse. D’inverno è possibile camminare o guidare sul ghiaccio dell’estuario congelato. In primavera e in estate ci sono invece traghetti che fanno la spola da un sobborgo all’altro. Il viaggio dal centro di Arcangelo fino all’ultima isola abitata, quella di Ciubola, dura poco più di 2 ore. Ciubola è lunga circa 200 metri e larga non più di 100. Le case in legno sono ben curate e i giardini in estate verdeggiano fino a nascondere le finestre. Sulla punta meridionale c’è una panca che guarda verso l’isola gemella a qualche centinaio di metri. Nessuno è seduto. I bambini giocano non lontano dal piccolo molo di attracco del traghetto e stanno attenti a non calciare il pallone troppo forte per evitare che finisca in acqua. Una coppia scende dal vaporetto con in mano valigie e doni per la famiglia, che vive in una casa vicino al molo. I bambini corrono festanti verso di loro. Ci allontaniamo in barca, l’isola è troppo piccola per difendere l’intimità della famiglia riunita.

L’isola di Solombala

Solombala è l’isola più vicina al centro storico, a cui è collegata tramite un ponte di poche decine di metri. È un sobborgo operaio, qui si trovano il cantiere navale e le industrie di lavorazione del legno. Il torrente Solombalka divide la zone dei palazzi socialisti dalle case unifamiliari a un piano, lì dove le strade non sono asfaltate. Solombala ha però un’anima sola, quella dell’orgoglio di chi, con il proprio lavoro, sa di costituire la spina dorsale della città: da tre generazioni, infatti, gli abitanti del quartiere sono impiegati quasi esclusivamente nel cantiere navale. Le cose però stanno cambiando: la forte concorrenza sul mercato internazionale ha indebolito anche in Russia la produzione di navi; le industrie del legno della zona, inoltre, sono fallite, non per questioni legate alla globalizzazione neoliberista ma per un preciso progetto politico del Cremlino, che negli ultimi 20 anni ha sostenuto per ragioni elettorali solo le aziende della regione di Mosca e di San Pietroburgo. Il resto della Russia affonda nell’arretratezza economica e i giovani in cerca di lavoro lasciano non solo Arcangelo, ma anche tutte le altre città di provincia.
Evgeni lavora nel cantiere navale da più di 30 anni. È ingegnere ed è spesso in servizio sui sommergibili: se si verifica un guasto nelle profondità oceaniche, è lui a risolvere il problema. È sempre reperibile, le autorità militari russe lo possono convocare a qualsiasi ora e non può lasciare la patria per nessun motivo. Non può neppure dire alla famiglia dove andrà: ha 24 ore di tempo per preparare la valigia e per presentarsi al molo; una volta partito, non si sa quando tornerà. Ha paura che lo mandino nel Mediterraneo a pattugliare le acque siriane. Evgeni è nato lontano dal mare, a Tashkent, in Uzbekistan, allora parte dell’URSS. Evgeni ha imparato sin da piccolo a navigare la steppa e i deserti, sul dorso di un cammello o su automobili di fattura sovietica. Suo padre viaggiava molto, era anche lui ingegnere, esperto di irrigazione, e d’estate portava il figlio con sé. La madre, originaria di Samarcanda, ha insegnato tutto la vita in una scuola elementare.

Il mare infinito

Mentre viaggiava di notte sulla vecchia Lada del padre per raggiungere le piantagioni di cotone, si è innamorato del mare, senza averlo mai visto. Era sicuro fosse simile alla steppa, infinito, silenzioso e monotono. Una mattina si è svegliato e dal finestrino posteriore dell’auto ha visto il lago d’Aral, che gli uzbeki e i kazachi chiamano mare a causa delle sue enormi dimensioni: in quel momento ha deciso che avrebbe fatto il marinaio. Quel mare oggi non esiste quasi più, è stato prosciugato per irrigare le piantagioni di cotone uzbeke. Una volta finita la scuola superiore, Evgeni è andato a Vladivostok dove ha terminato l’Accademia Militare. Lo hanno infine trasferito ad Arcangelo, dove è rimasto a vivere. “Quando navigo nelle profondità marine, ho l’impressione di essere tornato ai tempi della mia infanzia. Il ronzio dei motori del sommergibile mi ricorda quello della Lada di mio padre. All’esterno, solo silenzio”. Evgeni appartiene a Solombala, anche se sa che il quartiere perde la propria importanza e la propria identità. Quella giovane ragazza al caffè, all’apparenza straniera, capitata qui non si sa come, non saprà mai cos’era Solombala in passato.


La storia di Nada

Nada vive da due anni fra Arcangelo e Nizhni Novgorod, città che si trova a circa 400 km da Mosca, verso gli Urali. Nelle domeniche d’ozio, ama passeggiare fra le case di Solombala. Non conosce la storia del quartiere ma ne intuisce l’anima. Nada è nata e cresciuta in Germania, in un paese a pochi chilometri da Wuppertal. I suoi genitori sono tedeschi del Volga, di Nizhni Novogorod, deportati da Stalin nelle pianure kazache: erano ancora bambini quando sono arrivati in un villaggio nei pressi dell’attuale capitale Astana. A fine anni Ottanta si sono trasferiti in Germania, dove è nata la loro unica figlia, proprio nel momento in cui Mihail Gorbaciov promuoveva la sua politica di “Perestroika”. La madre di Nada si è presto separata dal marito, che beveva ed era violento. Nada viveva aspettando l’estate, per poter andare dalla zia che dal Kazakistan era tornata nella vecchia casa di famiglia, a Nizhni Novogord. Il suo più grande desiderio era quello di trasferirsi in Russia e ogni volta che finivano le vacanze e doveva rientrare in Germania presentava sintomi di nervosismo che gli psicologi della scuola hanno interpretato come sindrome ipercinetica, vale a dire una patologia molto di moda in Occidente che non ha però cause psichiche ma quasi esclusivamente sociali. I bambini sono iperattivi e non riescono a concentrarsi, hanno difficoltà a scuola e rapporti conflittuali con la propria famiglia. Nada si è curata a lungo ma senza grandi risultati. Anche da adolescente aveva problemi di sonno e istinti suicidi. Grazie alle proprie conoscenze, la madre è riuscita a trovarle un lavoro nel municipio del comune tedesco dove abitavano. Così ha vissuto fino a quando, durante un viaggio in treno attraverso la Siberia, non ha conosciuto un professore di filosofia che, nei quattro giorni di viaggio, le ha aperto le porte di un nuovo mondo. Il mondo della Libertà. Il compagno di viaggio le ha parlato dello psicanalista Lacan e della teoria del “Grande Altro”, vale a dire di tutto ciò che noi pensiamo abbia valenza assoluta e che è invece un mero prodotto della cultura e dello sviluppo dell’umanità: concetti come quello di famiglia, di dio, di patria, sono in realtà molto relativi.

Il contrasto tra case antiche e quelle moderne

Il Grande Altro

Tornata in Germania, Nada ha letto, ha chiesto e, con l’aiuto di uno psicoterapeuta, ha compreso ciò che era chiaro, evidente a tal punto da essere invisibile: se il suo più grande desiderio era quello di vivere in Russia, poteva e doveva trasferirsi a Niznhi Novgorod. Nada ha capito che dietro all’amore – un Grande Altro! – della madre si nascondeva un ricatto: la donna era infatti emigrata dall’Oriente per garantire un futuro migliore alla figlia, la quale con i suoi atteggiamenti sembrava denigrare e rifiutare l’opportunità che le veniva offerta. A causa del punto di vista della figlia, la madre aveva dovuto probabilmente mettere in discussione la propria scelta di lasciare l’ex Unione Sovietica: a cosa erano servite allora tutte le sue tribolazioni per ottenere la cittadinanza tedesca, per trovare un lavoro a Wuppertal e per integrarsi in una società che comunque la considerava straniera a tal punto che i vicini di casa l’avevano soprannominata “la russa”? La madre aveva inconsciamente utilizzato l’amore materno per insinuare nella figlia un senso di colpa. Alla fine, Nada si è liberata di questo senso di colpa e si è trasferita a Nizhni Novgorod, dove lavora per una ditta che esporta legname e che ha anche una sede ad Arcangelo. Ecco perché è qui. Le piace camminare lungo la Dvina e spingersi fino a Solombala. Guarda l’estuario del fiume e il sole che si abbassa, senza mai toccare l’orizzonte. È già primavera inoltrata. Il vento increspa le acque e le onde si infrangono silenziose sulla battigia. Nada è una delle rarissime persone che è riuscita a orientarsi nell’arcipelago del proprio inconscio.

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