
Il mare ricopre oltre il 70 p.c. della superficie della Terra, ma rimane un mondo misterioso e ancora largamente impenetrabile. L’umanità non è ancora riuscita a svelare tutti i suoi segreti e a conoscere la flora e la fauna che lo abita in modo minuzioso come lo ha invece fatto sulla terraferma, in quanto l’ostacolo principale è l’enorme pressione che l’acqua esercita nelle profondità marine, il che rende molto difficile l’esplorazione. Nonostante ciò, è riuscita lo stesso a mettere in pericolo con la sua noncuranza, la sua insaziabile avidità e la sua scarsa lungimiranza la vita nel mare, dalla quale dipende però la sua stessa sopravvivenza.
Un bene naturale da proteggere
Nella mostra “(Ne)ukroćeno more” (Il mare (in)domabile), allestita fino al 27 marzo nella Galleria Filodrammatica di Fiume gestita dall’associazione “Drugo more”, il mare nelle opere di Igor Eškinja, Silvio Vujičić, Miro Roman e Soll e Robertina Šebjanič non è trattato come un paesaggio incantevole e romantico che ci permette di collegarci con tutto il mondo, bensì è visto come un bene naturale da proteggere e come una risorsa economica. Ad accompagnare il progetto espositivo, che rientra nella manifestazione “Moje, tvoje, naše” (Mio, tuo, nostro), giunta quest’anno alla 20esima edizione, è stato anche un simposio al quale si è parlato appunto della tutela del mare, dei problemi che quest’attività comporta e delle diverse attività di sfruttamento dei fondali e degli organismi marini. A parlarcene sono stati il responsabile di “Drugo more”, Davor Mišković, e la sua collega Ivana Katić.

Foto: ŽELJKO JERNEIĆ
I fenomeni che si verificano nella società
A proposito della 20esima edizione della manifestazione “Mio, tuo, nostro”, Mišković ha osservato che questa è nata in un contesto sociale e culturale molto diverso rispetto a oggi. “Il primo tema che abbiamo trattato era la proprietà e la manifestazione si è svolta all’epoca nella Galleria Kortil di Fiume – ha ricordato –. Alla seconda edizione di ‘Mio, tuo, nostro’ avevamo organizzato anche una fiera dell’editoria indipendente nella nostra ex sede in via Ivan Zajc. Nell’ambito del tema della proprietà ci eravamo concentrati sulla tecnologia digitale e sui cambiamenti nel campo dei diritti d’autore, della distribuzione di libri, musica, film, ecc., propagando l’idea del cosiddetto copyleft in cui gli autori determinano le condizioni in base alle quali precisi contenuti si possono diffondere. Fin dall’inizio, attraverso la manifestazione ‘Mio, tuo, nostro’ volevamo reagire ai fenomeni e ai cambiamenti che si verificano nella società. Successivamente abbiamo trattato pure il tema della transizione, il lavoro, la solidarietà, la resistenza e via dicendo”.
Ivana: “Eravamo orientati anche sulla digitalizzazione, sulla sorveglianza in Rete, e sui nuovi fenomeni che si manifestavano nella società. Questa manifestazione è stata da sempre interdisciplinare e a ogni edizione un argomento veniva esaminato attraverso l’arte visiva e attraverso un programma di conferenze”.
Davor: “La mia intenzione è stata di collegare persone che si occupano di uno stesso tema, ma da diverse prospettive: artisti, scienziati, giornalisti, attivisti, studiosi di discipline umanistiche e via dicendo. A quest’ultima edizione abbiamo ospitato un biologo marino, agenti di Polizia, docenti della Facoltà di Marineria, artisti ed esperti di diritto marittimo. Ciascuno di loro presenta il tema dalla sua ottica. Ovviamente, nell’organizzazione della manifestazione siamo sempre limitati dai fondi dei quali disponiamo e dalla sensibilità delle persone che desideriamo invitare. Abbiamo elaborato l’argomento del mare in diverse occasioni, ma sempre da diversi punti di vista”.
L’influenza dell’economia e del commercio
Ivana: “È naturale che sia così, considerato che viviamo in riva al mare e siamo testimoni diretti di tutti i cambiamenti che il mare ci porta: l’influenza dell’economia, del commercio, dell’ecologia. Per non parlare dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale che ci toccano da vicino. Infatti, quando i pescatori, dopo che si è concluso il fermo pesca, ci dicono che al posto di 8 tonnellate di sardelle ne hanno pescato appena una tonnellata, o quando d’estate non possiamo dormire per un mese perché le temperature notturne non scendono mai sotto i 27 gradi centigradi, allora è chiaro che si tratta di fattori che influiscono su tutti noi e che è necessario osservarli da diverse angolazioni e prevedere di conseguenza il futuro. Nell’analisi di questo tema specifico siamo partiti dall’aspetto artistico. Tutti e tre i lavori presentati alla mostra si occupano del mare dal punto di vista delle risorse. Igor Eškinja, ad esempio, analizza il murice spinoso, una conchiglia dalla quale nell’antichità si estraeva la porpora reale”.
Davor: “Il programma si integra con altri nostri programmi, tra cui in primo luogo la nostra galleria e il programma ‘Refleks’, che fa riferimento a determinati temi sociali o artistici. Questi sono i nostri contributi a un dibattito pubblico su tali argomenti.
Per quanto riguarda il pubblico, devo dire che per questa edizione non ha dimostrato particolare interesse, il che ci ha un po’ sorpreso. Abbiamo aperto temi di cui in generale non si parla molto, ma a noi risultavano molto interessanti, come la presenza di tonnellate di munizioni scaricate in fondo al mare. Con questo programma abbiamo voluto rompere la solita visione romantica del mare quale spazio di relax e piacere dall’ottica turistica, optando invece per la prospettiva economica e lo sfruttamento del mare come discarica di munizioni. Abbiamo voluto pertanto vedere in quale misura questi resti di conflitti bellici influiscano sull’ecosistema marino e quali rischi possano presentare anche per le persone. Infatti, i sommozzatori sono sempre più numerosi, il che vuol dire che con l’aumento del loro numero cresce anche la possibilità che vengano in contatto con le munizioni depositate in mare, il che rappresenta un potenziale pericolo. Non è infatti facile individuare i resti di munizione sul fondo marino, in quanto questi sono di regola coperti da sedimenti, alghe e conchiglie. A ispirarci a scegliere questo tema è stato il rinvenimento di una bomba della Seconda guerra mondiale nel porto di Fiume”.

Foto: ŽELJKO JERNEIĆ
Il potenziale pericolo delle munizioni
Ivana: “Ordigni rimasti dall’ultimo conflitto mondiale sono stati rinvenuti in diverse occasioni, ma fatto sta che le munizioni vengono ancora oggi scaricate in mare alla fine di ogni esercitazione militare. Gli aerei militari, infatti, non possono atterrare se non si liberano della munizione in quanto risultano troppo pesanti per farlo”.
Davor: “Fino a una trentina di anni fa si credeva che queste munizioni non presentassero un pericolo e che la loro deposizione in mare non avrebbe avuto alcun effetto negativo essendo esse protette da appositi rivestimenti. Si credeva che il sedimento avrebbe ricoperto queste munizioni eliminando ogni potenziale rischio. La mina trovata nel porto di Fiume era davvero ricoperta da sedimenti, ma ciò non accade in ogni circostanza. Inoltre, è stato dimostrato che il processo di corrosione del metallo è più rapido della deposizione del sedimento, per cui le sostanze tossiche contenute negli esplosivi vengono rilasciate in mare alterando l’ecosistema e la vita nel mare. Stando ai ricercatori, queste concentrazioni non sono pericolose per gli esseri umani, ma possono avere degli effetti sulla fauna marina. A una delle conferenze che abbiamo avuto nell’ambito del simposio è stato menzionato appunto l’aumento del rischio di incidenza di cancro del fegato nei pesci, il che ovviamente influisce sulla loro popolazione. Questa ricerca è stata svolta nel Mar Baltico, che è pieno di munizioni abbandonate. Considerato il potenziale tossico dei resti di conflitti bellici, si pone pertanto la domanda dove allora depositare queste munizioni, visto che questa forma di follia umana non accenna a smettere, anzi si sta intensificando negli ultimi anni”.
Le aree marine protette
“Un altro tema che abbiamo trattato – ha proseguito Mišković – è la regolamentazione giuridica delle acque territoriali, delle zone esclusive, del mare aperto a livello mondiale e della protezione ambientale di determinate aree marine. Le Nazioni Unite avevano stilato a suo tempo un piano molto ambizioso di mettere sotto tutela il 30 per cento del mare entro il 2030. In questo momento è protetto soltanto il 5 p.c. del mare. È chiaro, pertanto, che non ci sia una volontà politica che possa portare alla realizzazione di questo obiettivo entro l’anno previsto. Nonostante ciò, ci sono anche esempi positivi di recupero delle popolazioni ittiche. Il divieto di caccia alle balene negli anni Settanta ha davvero sortito degli effetti positivi sulla sopravvivenza di questi animali, anche se alcuni Paesi come l’Islanda, la Norvegia e il Giappone continuano a praticarla nonostante non ne abbiano reale bisogno.
C’è poi la questione del rapporto tra la pesca locale e quella multinazionale, dove quest’ultima è limitata dalle quote di pesca. Un esempio è la costa occidentale dell’Africa, dove i vari Paesi dispongono delle proprie flotte di pescherecci. Però, quando uno Stato africano vende i permessi di pesca a flotte cinesi o europee, queste si prendono tutto. Ci sono parecchi problemi in questo campo, ma di questo non si parla molto, nonostante sia importante anche per il nostro Paese. Per questo motivo riteniamo che i programmi che offriamo contribuiscano a far parlare di determinati temi pressoché sconosciuti”.
È triste sapere che soltanto il 5 p.c. del mare è protetto, se consideriamo che due terzi della superficie della Terra è coperta dallo stesso. Molto spesso il mare non viene nemmeno percepito come un vero ambiente naturale che ha pure bisogno di protezione.
Ivana: “Per citare lo scrittore Arthur C. Clarke, ‘è incredibile che il nostro pianeta sia chiamato Terra, se il 70 p.c. della superficie è composta dall’acqua. Questo dimostra quanto siamo antropocentrici’”.
Davor: “Una scienziata britannica, Helen Scales, ritiene che nel mondo ci siano appena circa 500 biologi marini che si occupano di ricerche del mare profondo, che va dai 200 metri di profondità in giù. Si tratta di un numero molto esiguo di scienziati, che praticamente si occupano del circa 90 p.c. del volume del mare. È incredibile quanto poco sappiamo del mare e quanto poco è stato esplorato. Gli scienziati stimano che non abbiamo mai visto la maggior parte degli organismi marini”.
Il tema di questa edizione di «Mio, tuo, nostro» contiene una forte componente ecologica e anche sociale, in quanto richiede una distribuzione più democratica ed equa delle ricchezze. Tuttavia, considerato che viviamo in un momento storico in cui la democrazia sta perdendo terreno (un esempio è lo smantellamento delle istituzioni democratiche degli Stati Uniti operato dal presidente Donald Trump), tale distribuzione sembra irta di difficoltà e poco probabile. Inoltre, in che modo conciliare gli effetti, già ben visibili, dei cambiamenti climatici con il negazionismo climatico promosso dai regimi antidemocratici?
Davor: “Le Nazioni Unite ratificarono nel 1994 la Convenzione sul diritto del mare, sottoscritta dalla maggior parte dei Paesi, ma non dagli Stati Uniti. Il problema sta nel fatto che il 60 p.c. del mare è aperto, per cui non appartiene a nessun Paese ed è qui che si verificano i maggiori problemi. D’altro canto, la pesca si pratica generalmente non troppo lontano dalla costa, in quanto non è troppo redditizio andare lontano. Il carburante, infatti, costa e viene sovvenzionato dallo Stato. Stando a uno dei relatori, una soluzione sarebbe quella di smettere di sovvenzionare questo tipo di pesca. Anche se i Paesi approvassero delle leggi molto severe di protezione del mare, ci sarebbe il problema dell’implementazione delle stesse, in quanto il mare è molto vasto, per cui sarebbe necessario disporre di forze di Polizia ingenti. I Paesi più poveri non hanno le risorse necessarie per implementare questo tipo di leggi.
Nel mondo esistono tuttora la pirateria e il bracconaggio, mentre il mare è ancora uno spazio libero dai controlli dei singoli Stati, corporazioni, ecc., anche se questo sta cambiando. Ci sono sempre più corporazioni che nel mare aperto cercano di realizzare una prospettiva economica con estrazioni di risorse di vario tipo. L’ONU ha cercato di regolare determinate questioni, per cui al suo interno esiste un’agenzia che si occupa di tutela dei fondali marini. Questo riguarda in primo luogo l’industria estrattiva in mare aperto, che apre tutta una serie di problemi, in quanto il profitto di queste attività andrà a chi la svolgerà, mentre i danni ecologici saranno a carico di tutti noi. In questo senso si parla di una distribuzione più equa delle ricchezze e degli oneri.
Per quanto riguarda l’aspetto ecologico, è un fatto noto che la quantità di pesce nei mari si sta riducendo già dal XIX secolo, vengono interrotte le catene alimentari, mentre i danni maggiori sono provocati dalla pesca a strascico.
Credo che uno dei problemi principali stia nel fatto che tutti questi danni non sono visibili quando guardiamo il mare. Noi vediamo soltanto le catastrofi in superficie, quando ad esempio nel mare si riversano tonnellate di petrolio, ma non pensiamo alla plastica e alle microplastiche nel mare se non vediamo i rifiuti di plastica in spiaggia. Sappiamo, infatti, che le isole di plastica negli oceani hanno ormai raggiunto dimensioni che corrispondono alla superficie di alcuni Paesi, ma se non le vediamo non ne siamo consapevoli”.

Foto: ŽELJKO JERNEIĆ
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