Il fiume che nasce dal ghiacciaio

TRA FANTASIA E REALTÀ Maria aveva deciso di cambiare vita e di trasferirsi in Nuova Zelanda, Paese dei Maori e della natura incontaminata. È proprio lì che avrebbe voltato pagina

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Il fiume che nasce dal ghiacciaio

Maria si trovava in volo verso l’isola del Sud ed era in fibrillazione. Da circa un mese abitava in Nuova Zelanda, Paese dei Maori e della natura incontaminata, che sognava di visitare sin da quando era piccola. Si era sistemata a Hamilton, città sull’isola settentrionale, distante circa un’ora e mezza di macchina dalla metropoli Auckland. Aveva scelto di vivere a Nord per motivi di lavoro e per comodità, non per altro, ma se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito stare sull’isola del Sud, proprio per le sue incredibili flora e fauna, “capaci di mozzare il fiato”, come le aveva spesso raccontato la sua amica Paola, che da anni ormai si trovava in Nuova Zelanda, dove si era trasferita da Fiume, con il marito e il figlio piccolo. A Maria quel Paese così lontano, agli antipodi del suo, era piaciuto sin dal primo momento. Era incredibile l’impatto che aveva avuto su di lei, la velocità con cui vi si era connessa. Era stato il classico amore a prima vista, un colpo di fulmine, che mai si sarebbe aspettata. Lo aveva percepito nel momento stesso in cui, circa un mese prima, aveva messo piede sulla terraferma, dopo un volo di 24 ore, scalo (a Doha) compreso, che non era stato poi così male, come qualcuno le aveva detto. Ci era voluto parecchio affinché si preparasse psicologicamente per quel viaggio, temendo soprattutto per la lunghissima permanenza in aereo, ma alla fine l’aveva addirittura trovata piacevole, anche perché le aveva dato modo di stare finalmente un po’ da sola con sé stessa, di riflettere e di chiarirsi le idee. Il lavoro precedente l’aveva, infatti, stremata sotto tanti aspetti e si sentiva come se qualcuno le avesse strappato di dosso la sua proverbiale energia. Aveva lasciato scorrere troppo tempo, addiruttura anni, prima di decidere di dare un taglio netto alla vita che stava conducendo e che ormai non le piaceva più. L’ideale era trasferisi, seppure provvisoriamente, in un altro Paese, catapultarsi in una realtà del tutto diversa dalla sua. Aveva da poco compiuto trentasette anni e non aveva vincoli di alcun tipo. Era single da un annetto e a parte la famiglia, che sapeva le sarebbe mancata terribilmente, nulla la legava più di tanto alla sua città. Anche perché la sua vita sociale era ridotta all’osso a causa del suo lavoro, che l’aveva assorbita in tutto e per tutto allontanandola dagli amici. Ora, però, aveva deciso di voltare pagina e di lanciarsi in un nuovo progetto di vita.
Perché aveva scelto proprio Hamilton? Innanzitutto perché ci viveva Paola e questo era già un grande vantaggio. La sua amica le aveva dato una grandissima mano con la sistemazione, trovandole un alloggetto davvero squisito a poca distanza dal suo, da cui si estendeva un panorama mozzafiato sul sottostante fiume, lungo il quale aveva preso l’abitudine di passeggiare la mattina. Ora che ci viveva da circa un mese e che si era ambientata piuttosto bene, quei momenti di relax, rubati prima di accendere il computer portatile e di mettersi al lavoro, erano diventati ormai per Maria una piacevole routine, di cui non poteva più fare a meno. Hamilton era anche la città in cui il suo nuovo datore di lavoro aveva il proprio studio. Un’azienda, quella dell’“handsome dagli occhi blu” – come lo chiamava segretamente – attiva da poco, che si occupava di marketing e che apriva le proprie porte soprattutto a gente straniera, ancora meglio se proveniente da un Paese lontano, con un bagaglio di vita molto diverso da quello neozelandese. Andrew, questo il nome del fusto, era infatti convinto che questo tipo di persone, di cultura differente dalla sua, potessero dare un valore aggiunto all’attività di cui si occupava la sua giovane impresa. Maria, produttrice televisiva specializzata in reportage geografici, il cui ricchissimo curriculum poteva fare gola a tanti, corrispondeva benissimo alle sue necessità. Dopo aver letto le sue credenziali, si era chiesto come mai una professionista di quel calibro, che vantava collaborazioni da remoto con National Geographic e la BBC, avesse risposto a un annuncio di quel tipo, per un lavoro che era di gran lunga inferiore ai suoi titoli di studio. Non poteva lasciarsela scappare e nel caso in cui avesse percepito in lei anche il minimo dubbio, avrebbe fatto di tutto pur di convincerla ad accettare di lavorare per lui. Era rimasto sorpreso quando Maria gli aveva detto subito sì, senza quasi fargli domande. Non gli aveva chiesto nemmeno quanto avrebbe percepito in busta paga. Non poteva certo sapere che a lei, in quel momento della sua vita, non interessava un’acca dei soldi poiché stava vivendo il classico “burnout”, la sindrome del mondo moderno per cui oggi è concesso anche andare in permesso malattia. Maria non sapeva come venirne fuori.
Voltare pagina poteva essere un buon rimedio ed era pronta a tutto pur di tornare a stare bene, anche a costo di accettare un lavoro meno retribuito e completamente diverso da quello in cui si era specializzata. Il profilo professionale di cui Andrew aveva bisogno era quello di un freelance, che sarebbe stato in grado di andare in giro per il Paese e di spostarsi tra le due isole che formavano la Nuova Zelanda, scrivendo articoli promozionali su quanto gli veniva richiesto. Maria non ci aveva pensato due volte prima di accettare questa nuova sfida, seppure la paura in lei era tanta. Si sarebbe pentita di quel drastico cambiamento? Forse sì, ma tutto era meglio che continuare a vivere una routine che ormai non la soddisfaceva più e che aveva spento in lei ogni forma di entusiasmo.
A tutto questo pensava mentre si trovava in aereo, diretta dall’isola del Nord a quella del Sud. Un volo di circa un’ora e mezza che l’avrebbe portata prima a Christchurch, dove successivamente avrebbe preso un bus per Tekapo Lake, il secondo più grande dei tre laghi più o meno paralleli (gli altri sono Pukaki e Ohau), che corrono da nord a sud lungo il bordo settentrionale del bacino di Mackenzie.
Il motivo per cui Andrew l’aveva fatta andare lì, in realtà, era lo splendido ghiacciaio Tasman, il più lungo dell’intero Paese con i suoi 27 chilometri, nonostante, negli ultimi decenni, le sue dimensioni si erano ridotte di molto (a causa dello scioglimento dei ghiacci) dando vita a un lago, anch’esso dal nome Tasman. Maria, com’era il suo solito, si era documentata bene e aveva letto che le acque che scendono dal ghiacciaio, dopo essere passate per il lago omonimo, proseguono fino a formare un fiume che si butta nel lago Pukaki, il più grande dei suddetti tre. Non vedeva l’ora di vedere queste meraviglie della natura dal vivo.

La strada che porta al ghiacciaio
Ciò che resta, oggi, del ghiacciaio Tasman, il più grande della Nuova Zelanda
La Chiesa del Buon Pastore (Church of the Good Shepherd)
Natura incontaminata
Il sentiero che porta al ghiacciaio Tasman
L’isola del Sud nasconde meraviglie naturali che tolgono il fiato
Tekapo Lake, si trova a un’altitudine di 710 metri

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