Fiume. Sulle tracce del vecchio confine

Viaggio virtuale nella turbolenta e complessa storia di Fiume. Nei primi vent’anni del Novecento la città è passata di mano in mano: prima dannunziana, poi Stato libero e infine annessa all’Italia. Quando le «pietre» parlano

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Fiume. Sulle tracce del vecchio confine

Nei primi vent’anni del Novecento, esaurita l’esperienza secolare sotto gli Asburgo, Fiume ha vissuto un periodo molto complesso e turbolento, prima di incertezza (e anche attesa), poi passando di mano in mano: è stata infatti prima (provvisoriamente) dannunziana, poi definita Stato libero riconosciuto dalla comunità internazionale, infine annessa all’Italia. La linea di demarcazione tra il territorio di competenza italiana e quello del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni scorreva sia nel centro, in quella che è l’odierna città (nata dalla fusione con la vicina Sussak), che alle sue spalle.

Confine Fiume Jugoslavia

Continuiamo questa nostra passeggiata virtuale, iniziata nel numero precedente della rivista, tra i testimoni muti della storia: i cippi e i segni di quella che un tempo era la frontiera. Riprendiamo il cammino da Zamet e proseguiamo fino alla zona di Pehlin (San Giovanni)-Podmurvice (quartiere Gelsi). Qui troviamo un altro dei grandi passaggi di confine. Il tutto è rimasto immutato e oggi quella casa è sede di una ditta. Poco più a est si trova un grande rifugio, con tanto di tunnel, che a più livelli porta fino alla circonvallazione.

Il confine a Zamet nel 1924 (foto Museo territoriale di Drenova)

Incamminandoci verso nord, seguendo il confine si arriva nel quartiere di Drenova. La sede della Guardia di Finanza si trovava nell’edificio in cui ora è ospitato il Museo del territorio, sulla strada che collega Drenova a Saršoni (località vicina a Viškovo-San Mattia), poco sopra il nuovo cimitero dell’abitato che sorge sull’altopiano a ridosso di Fiume. Rinnovato di recente, il palazzo e la garitta per la sentinella ci parlano dei tempi che furono.

Il confine a San Giovanni. Sotto, l’odierna sede del Museo territoriale di Drenova

Il confine scorreva con un andamento che potremmo definire “su e giù” per le montagne. Passava sul Monte Lesco, per poi calarsi nell’ex zona dei mulini, fino alla Fiumara. In queste aree troviamo tanti segni del passato: dagli svariati bunker e rifugi sotterranei fino ai tanti cippi. Mettendoci un po’ d’impegno se ne possono trovare tanti. Scendiamo nella parte dell’ex mulino di Matešić sotto Orecovizza (Orehovica), dove proprio davanti al palazzo più grande c’è un cippo che ancora oggi fa bella figura di sé e della storia che rappresenta.

Giungiamo a quello che era il confine che affiancava la Fiumara e arrivava fino al centro cittadino. Camminando lungo la zona di Žakalj si trova ancora qualche cippo. Arrivati negli stabilimenti di quella che era la Cartiera, oggi capannoni dismessi e utilizzati come sede per eventi culturali e contenuti soprattutto per i giovani. Qui, proprio di fronte all’ex Cartiera, esiste l’unico cippo sopravvissuto nel centro urbano, mentre poco più avanti resiste una vecchia garitta, situata proprio sopra il fiume.

Originariamente e più avanti, esistevano diversi valichi di confine. Sono stati spazzati via tutti: erano collocati sui ponti che sono stati rifatti o non esistono più. Quello più grande e il più famoso era di fronte all’albergo Continental. Oggi abbiamo un ponte praticamente nuovo e molto più ampio, però il panorama è rimasto identico. A due passi c’è la cappella dedicata a Giovanni Nepomuceno (il “santo dei fiumi”, per come era stato martirizzato, gettato nelle acque della Moldava a Praga su ordine del re Venceslao IV nel 1383), ma è soltanto una replica di quella distrutta nel 1946. Accanto, i resti della striscia rossa, che di recente era stata tracciata proprio per simboleggiare il vecchio confine.

Guardie dell’esercito italiano e alcune mlecarizze, Drenova-Benasi (Museo territoriale di Drenova)

Andiamo avanti in direzione del teatro: i segni, indelebili, non mancano, ma occorre aguzzare la vista, procedendo praticamente con la testa chinata lungo il Canal morto. Al contrario di tutto il circondario, dal nuovo ponte fino a quello girevole vicino al teatro, si trovano tre cippi, posati per terra. Si riesce ancora a leggere il numero del settore e del singolo cippo, nonché l’anno, il 1924, ossia quello del trattato del 27 gennaio, espressamente definito “Patto di amicizia e di collaborazione cordiale” tra Italia e Regno dei Serbi, Croazi e Sloveni, al quale riconosceva la sovranità sul delta del fiume Eneo, compresa l’intera area di Porto Baross, e sull’estremo territorio settentrionale del distretto fiumano, mentre all’Italia spettava il centro storico di Fiume e una striscia che garantiva la continuità territoriale della città con la madrepatria.

Arrivati fino allo sbocco del Canal morto, siamo proprio sul vecchio confine e l’attuale ringhiera in direzione ovest è posta sul muro che una volta divideva i due stati, mentre ora separa la zona del porto dalla strada.

A questo punto si esaurisce anche il nostro viaggio virtuale tra i resti del vecchio confine che circondava la città di Fiume. Un confine noto, del quale purtroppo non molti degli attuali abitanti conoscono l’esistenza, e soprattutto non sanno dove si trovava realmente, e gli stati ai quali erano appartenute circa un secolo fa le diverse parti dell’odierna città.

I cippi

I cippi definivano i confini tra i due stati. Erano ben definiti e su tutta la linea decisa dal Trattato di Roma del 1924. Ogni cippo riporta la lettera “I” come Italia e l’anno 1924. Da parte c’è il numero del settore e del cippo. In totale ci sono stati otto settori per un totale di 585 cippi da Mattuglie fino alla Fiumara. Ecco la divisione: settore I: 30 cippi; II: 139; III: 111; IV: 70; V: 59; VI: 54; VII 59; e VIII: 63.

Passaggi Principali

Mattuglie: non esiste il palazzo originale

Martincovaz: rimangono le rovine

San Nicolò-Zamet: il tutto esiste, sia la parte italiana che quella jugoslava

Pavlinci-Zamet: non esiste alcuna traccia

San Giovanni-Podmurvice: esiste, oggi sede di una ditta

Drenova: esiste, oggi museo locale

Fiumara-ponte: completamente rifatto

 

Passaggi statuali

Con la fine della Grande Guerra, tra unione all’Italia e annessione al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (poi detto anche di Jugoslavia), il destino della città rimane per un certo periodo in bilico, in attesa di avere una sistemazione definitiva. La questione di Fiume ha un’accelerata con l’azione di Gabriele D’Annunzio, che occupa la città nel settembre del 1919.

Reggenza dannunziana

L’intento è di incorporarla nel Regno sabaudo, ma Roma sconfessa l’impresa e offre al poeta soldato un compromesso per risolvere la faccenda, il cosiddetto modus vivendi (in sostanza un modus “fugandi”): il Comandante avrebbe lasciato, mentre il governo italiano si impegnava a impedire l’annessione alla Jugoslavia. D’Annunzio rifiuta l’offerta e l’anno successivo dà vita al un suo staterello, la Reggenza italiana del Carnaro. La Carta del Carnaro, la costituzione su cui poggiava, emanata nel settembre 1920, di fatto non venne mai applicata e comunque quest’esperienza si esaurì a dicembre, con il Natale di sangue.

Stato libero

Infatti, pochi mesi dopo, Roma e Belgrado erano giunte a un accordo – il Trattato di Rapallo firmato il 12 novembre 1920 –, stabilendo consensualmente i confini dei due Regni e le rispettive sovranità, nel rispetto reciproco dei principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli. Era la conclusione del processo risorgimentale di unificazione italiana sino al confine orientale alpino e l’annessione al Regno d’Italia di Gorizia, Trieste, Pola e Zara. Con l’Articolo IV, nasceva ufficialmente lo Stato libero di Fiume. Anche questa realtà, però avrà vita molto breve, travolta dal “ribalton” del marzo 1922.

Provincia italiana

Successivamente, a regolamentare il passaggio all’Italia, il governo Mussolini riprenderà i colloqui con il governo del Regno SCS, sino a ottenere una reciproca suddivisione del territorio dello Stato Libero, con il Trattato di Roma, firmato il 27 gennaio 1924. Fiume diventò dunque città e capoluogo di provincia italiana e questa situazione durò fino alla conclusione della seconda guerra mondiale, quando nel febbraio 1947 il Trattato di Parigi sancì la consegna alla Jugoslavia di Tito.

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