Esperanto: quando la lingua costruisce ponti tra i popoli

La Società esperantista fiumana, dopo un difficile periodo dovuto alla pandemia, è pronta a riprendere le lezioni e gli incontri internazionali

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Esperanto: quando la lingua costruisce ponti tra i popoli

In un mondo in cui la parola d’ordine è globalizzazione e che, se non fosse per gli ultimi due anni e le limitazioni dovute alla pandemia, vedrebbe un incremento esponenziale dei viaggi, degli scambi, degli spostamenti e degli incontri, spesso ci sentiamo vicini anche alle culture geograficamente più distanti. Le barriere vengono superate con poche ore di viaggio in aereo, oppure con qualche messaggio in chat, però per quanto possa sembrare facile e immediato, tante persone fanno fatica a usare una lingua che non sia la loro lingua materna.

Il problema non ci è nuovo. Già nella seconda metà del XIX secolo, il medico e linguista polacco Ludwik Lejzer Zamenhof ha deciso di sviluppare una lingua artificiale per far dialogare popoli diversi cercando di creare tra di essi comprensione e pace con una seconda lingua semplice, ma espressiva, appartenente all’umanità e non a un singolo popolo. Per questo suo nobile intento Zamenhof è stato nominato 12 volte per il premio Nobel per la pace. Il nome “esperanto” deriva da uno dei suoi pseudonimi e significa “colui che spera”.

L. L. Zamenhof, l’ideatore dell’esperanto

Gli esperantisti fiumani

Non ci meraviglia affatto, dunque, che la passione per l’esperanto abbia attecchito proprio a Fiume, una città multiculturale e plurilinguistica sempre molto aperta alle novità internazionali e agli scambi culturali. La prima Società esperantista fiumana è stata inaugurata 114 anni fa, il 28 settembre del 1907, ma già allora l’esperanto si parlava nella città, motivo per cui alla prima riunione si sono incontrati 37 cittadini. A distanza di più di un secolo, la Società continua a mantenersi viva e attiva, seppure l’interesse per la lingua sia gradualmente scemato anche a livello globale. Tra i numerosissimi esperantisti fiumani troviamo anche esponenti di spicco della nostra Comunità Nazionale Italiana, come Osvaldo Ramous, il quale lo studiò e lo usò attivamente.

Per capire meglio cosa sia esattamente l’esperanto e quali siano i suoi vantaggi rispetto ad altre lingue molto diffuse come l’inglese o il cinese, abbiamo parlato con il presidente della Società esperantista fiumana, Boris Di Costanzo e con un membro della presidenza, Ana Alebić-Juretić.

Boris Di Costanzo e Ana Alebić-Juretić

Com’è nato a Fiume l’interesse per l’esperanto?

Ana Alebić-Juretić: “Dobbiamo sapere che l’esperanto è stato creato in una realtà linguistica e culturale molto complessa da un medico polacco che, però, vivendo a Varsavia, subì l’influenza sia russa che lettone. Fiume un po’ si riconobbe in questo panorama complesso e così pure Trieste, che lo abbracciò un anno più tardi. A Fiume il primo presidente della Società esperantista fu il conte magiaro d’Orczy, ma il fondatore fu Edoardo Springhetti, il quale volle creare una lega adriatica che avrebbe compreso tutto il litorale. Lo statuto della Lega venne consegnato al governo magiaro, che avrebbe dovuto approvarlo. Anche gli abitanti di Sušak e quelli di Abbazia avrebbero dovuto fare lo stesso con i governi croato e austriaco. Fatto sta che soltanto gli ungheresi approvarono l’iniziativa e quindi la Società esperantista venne fondata soltanto a Fiume”.

Boris Di Costanzo: “Devo dire che anche nella mia famiglia ci sono stati veramente tanti elementi culturali diversi. Il mio padre adottivo era italiano, mentre mia madre era croata di Rucavazzo, vicino a Mattuglie. Mio padre era un soldato italiano e siccome faceva il corriere tra il carcere di Kampor, sull’isola di Arbe, e il suo commando, una volta alla settimana passava per Crikvenica e in quell’occasione contrabbandava spesso delle piccolezze per i cittadini. In uno di questi viaggi incontrò mia madre e decise di rimanere qui anche dopo la guerra. Dopo la capitolazione dell’Italia rischiò di venire arrestato dall’esercito jugoslavo, ma il fatto di aver collaborato con la popolazione locale e poi con i partigiani lo riscattò. Morì all’età di 80 anni ed è sepolto qui. Tutto questo per dire che noi non siamo mai stati divisi su base nazionale, abbiamo sempre mantenuto legami che andavano oltre l’appartenenza nazionale e la lingua ed è forse proprio questo il motivo per il quale tante persone, me compreso, si sono riconosciute in un idioma internazionale e universale come l’esperanto”.

Ana Alebić-Juretić: “Certo, a Fiume si respirava un clima europeo che ci stupisce ancora oggi. Qualche giorno fa ho letto sul giornale che Fiume approvò la legge ungherese sulla Pubblica sanità nel 1876 e introdusse l’obbligo vaccinale contro il vaiolo. Al contempo, in quello stesso periodo la Croazia varò un Regolamento sui salassi effettuati per mezzo delle sanguisughe. Sono due livelli di sviluppo tra i quali non si possono fare paragoni. Anche per quanto riguarda le vaccinazioni, il governo ungherese propose di usare sieri ottenuti dalle pustole delle persone affette dal vaiolo, mentre Fiume già da anni acquistava settimanalmente da Ginevra la linfa da somministrare. Per questo motivo dico che Fiume era a livello europeo, ma forse sarebbe più corretto dire che si trovava ai vertici mondiali”.
Boris Di Costanzo: “Ho partecipato a tanti congressi di esperanto a livello mondiale: a Udine, Rotterdam, Norimberga, Varsavia, Havana, Pechino, Riga, Budapest e altre città. È un’emozione incredibile sedere allo stesso tavolo con i rappresentanti di venti Paesi diversi e parlare in un’unica lingua internazionale e neutrale. Credo che questo sia stato da sempre il nostro obiettivo, nonché il motivo per il quale l’esperanto è nato e ha prosperato a Fiume”.

”Il Piccolo Principe” in esperanto

In questi 114 anni di lavoro, ci sono mai state delle pause o l’esperanto a Fiume è rimasto sempre vivo?

Boris Di Costanzo: “Abbiamo avuto sempre alti e bassi, come è normale che avvenga. Le situazioni più turbolente si sono avute agli scambi generazionali e succedeva allora che da 300 membri si arrivava a 20, mentre in questo momento siamo in 46. Tante persone ci sostengono con l’abbonamento e con donazioni senza prendere mai parte agli incontri, ma nella maggior parte dei casi si tratta di persone della terza età. Vorremmo attirare i giovani, però viviamo in un’epoca in cui è difficile suscitare l’interesse in una generazione che viene bombardata dal divertimento facile e immediato. Le possibilità di incontro, divertimento e studio sono infinite e noi facciamo fatica a far sentire la nostra voce. Questo è un problema che mi è stato trasmesso anche dai colleghi delle altre società esperantiste a livello mondiale”.

Ana Alebić-Juretić: “Agli incontri con i colleghi italiani mi è parso di vedere tanti giovani e proprio ora, in ottobre, all’incontro con la Società esperantista di Trieste abbiamo l’intenzione di invitare anche gli studenti di lingue dell’Università di Fiume e in particolar modo quelli del corso di Italianistica. Volendo si potrebbe organizzare anche un piccolo corso di 25 ore da inserire nel curriculum universitario, com’è stato fatto all’Università di Torino.”

L’incontro degli esperantisti delle Ferrovie dello Stato nel 1957

Nel corso dei decenni l’esperanto è rimasto una lingua artificiale o ha preso vita?

Boris Di Costanzo: “Dal 1887 e dalla pubblicazione del primo manuale ‘Unua libro’ l’esperanto si è diffuso ed è entrato in uso tra la gente comune, non solo tra gli intellettuali. Ci sono dei Paesi, come Inghilterra, Francia, Germania o Ungheria, che ostacolano le iniziative legate all’esperanto a nome del protezionismo linguistico”.

La gazzetta degli esperantisti

Come avete affrontato gli ultimi due anni della pandemia?

Boris Di Costanzo: “Ci siamo fermati e abbiamo interrotto tutte le attività dal vivo”.

Ana Alebić-Juretić: “Alcune attività sono continuate online e da quel punto di vista sono stati fatti dei passi avanti. Ogni mese partecipo a incontri virtuali organizzati dalle società dell’Australia e di Nuova Zelanda. L’unico problema è che da loro gli incontri si tengono di giorno, mentre da noi è piena notte, ma è comunque molto bello e interessante sentire parlare l’esperanto dall’altra parte del mondo.
Per quanto riguarda il nostro piccolo, in occasione della Giornata europea delle lingue ci siamo incontrati con i colleghi di Trieste e in quell’occasione abbiamo letto la poesia ‘Peter Pan’ di Tiziana Dabović”.

Il club di pallacanestro “Esperanto” era attivo a Fiume negli anni Ottanta

State organizzando delle attività?

Ana Alebić-Juretić: “Per il mese di settembre avevamo in piano di organizzare un incontro con gli esperantisti di Trieste intitolato ‘Dal triestin e fiuman all’esperanto’, che doveva vedere la traduzione di una serie di poesie dal dialetto all’esperanto, tra cui anche sei poesie di Tiziana Dabović, ma visto che la Comunità degli Italiani è ancora chiusa a causa dei lavori, abbiamo deciso di spostare la data al mese di ottobre. Devo dire, comunque, che tutti sono i benvenuti nella nostra società e che tutti gli interessati possono frequentare il nostro corso di esperanto. Le lezioni sono gratuite, si paga soltanto un importo simbolico per il manuale”.

Boris Di Costanzo: “Per esperienza personale possiamo affermare che se una persona ha affinità per le lingue può imparare l’esperanto in un mese. Soprattutto se si ha una buona conoscenza dell’italiano, l’esperanto si impara con facilità perché ha tanti elementi tratti delle lingue romanze. Visto che il creatore dell’esperanto era un medico, molti termini sono stati presi proprio dal latino o hanno comunque una base etimologica latina. Ma vi troviamo anche elementi di tante altre lingue, slave, germaniche, africane, asiatiche, russo e altro. L’importante è mantenere un’uniformità e una costanza nell’uso. A differenza delle altre lingue, l’esperanto è molto semplice, ha delle regole senza eccezioni, senza verbi irregolari e altre anomalie che lo renderebbero arduo e complesso. Per questo motivo si impara facilmente e rappresenta il veicolo ideale per una comunicazione internazionale”
Ana Alebić-Juretić: “Certo, esiste anche l’europanto, una lingua artificiale creata nel 1996, ma per impararla è necessario apprendere le regole linguistiche di cinque lingue differenti e una volta imparate l’europanto diventa superfluo”.

Il viaggio a Pechino al Congresso degli esperantisti nel 2004

I piani per il futuro?

Ana Alebić-Juretić: “In Germania c’è una città, Herzberg am Harz, bilingue. Tutte le tabelle, le insegne e i toponimi sono segnati sia in tedesco che in esperanto. Ovviamente non puntiamo così in alto, ma ci piacerebbe che anche Fiume, come Zagabria e Osijek, potesse avere una via o una piazza dedicata all’esperanto. Fino a pochi anni fa Zagabria aveva pure una trasmissione radio in esperanto, ma poi questa è stata soppressa. Noi ci impegneremo affinché venga intitolato ‘piazza Esperanto’ lo spiazzo di fronte a Palazzo Modello, in quanto non ha ancora un nome e durante l’Italia veniva chiamato ‘piazza Otto vie’. Stiamo ancora trattando con il Comitato di quartiere, che deve inoltrare la richiesta alle autorità cittadine e speriamo di riuscirci prossimamente. Nel frattempo, però, siamo sempre disposti a organizzare dei corsi di lingua per tutti gli interessati”.

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