
Negli ultimi decenni, a causa dei cambiamenti dei processi produttivi delle industrie, soprattutto nei Paesi più avanzati, come quelli dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti, si è verificato un progressivo abbandono delle attività industriali primarie, in favore di produzioni più tecnologiche. Di anno in anno, anche in conseguenza delle delocalizzazioni, diminuiscono le industrie e cresce il comparto servizi. In tale contesto, aumenta anche il numero dei siti industriali che vengono dismessi. Alcuni di essi, purtroppo, vengono abbandonati per anni, talvolta in attesa di bonifica, mentre in altri casi le aree che un tempo erano occupate da tali attività vengono recuperate e viene data loro nuova vita modificando la precedente destinazione d’uso. Le strutture in disuso sono parecchie e la valorizzazione di tali siti può essere una leva di competitività per i territori.
Un’opportunità per il territorio
La riconversione di queste aree può rappresentare un’opportunità per il territorio, per le aziende che intendano aprire nuove attività o per allocare i servizi a volte mancanti, il tutto con zero consumo di suolo e in un’ottica di uso circolare degli spazi. A queste strutture si aggiungono altre aree oggi inutilizzate o sottoutilizzate, come ex caserme e strutture militari dismesse.
La deindustrializzazione ha reso inutilizzabili molte aree, anche di grandi dimensioni. Le conseguenze sono, tra le altre, strutture e capannoni dismessi, lasciati in stato di abbandono e degrado. La criticità sta nel fatto che spesso proprio queste aree si trovano in zone ad alto valore strategico per lo sviluppo delle città e del territorio circostante, con un notevole impatto anche sulle condizioni sociali delle comunità locali. Perciò è fondamentale attuare piani per un loro recupero non soltanto per le ricadute di carattere economico e sociale, ma anche per uno sviluppo urbano sostenibile.
Strategie di riuso
Un’idea sarebbe trasformare gli spazi in questione in ciò di cui ha bisogno il territorio in quel momento, grazie a bandi, piani e appositi strumenti urbanistici. Le soluzioni possono essere diverse. Ad esempio, per dare flessibilità al territorio è sicuramente calzante il Temporary use, cioè un uso temporaneo degli spazi. Questa strategia di riuso permette di destinare l’area a manifestazioni musicali, fiere e grandi convention, eventi che spesso faticano a trovare una collocazione adeguata.
Un’alternativa altrettanto interessante è l’archeologia industriale, ovvero il filone di studi che attraverso discipline, quali pianificazione urbanistica, ingegneria e tecnologia, va ad analizzare la storia del passato e del presente industriale. Per cui si parla di recupero e valorizzazione della storia industriale attraverso la creazione di spazi museali e dedicati alla cultura.
Reinventare gli spazi
La soluzione giusta per tutti i territori non esiste. Ogni realtà differisce per le proprie complessità, ma già dagli anni ‘60 questa è la strada scelta. Un vero e proprio riciclaggio di magazzini e stazioni trasformati in centri a forte valenza sociale, centri espositivi, poli di riferimento per l’arte e la moda, fabbriche e laboratori di cultura. Le chiamano officine di sperimentazione in cui artisti emergenti e giovani appassionati danno libero sfogo alle loro creazioni, come nuove forme di espressione e future correnti artistiche.
Ad oggi sono in continuo aumento i progetti per il recupero degli spazi industriali in cui troviamo le firme di grandi architetti chiamati a partecipare e mettere a disposizione delle città un po’ della loro arte. In questo contesto avremmo voluto poter citare Fiume, ma a parte la rivitalizzazione del complesso Benčić, grazie principalmente al titolo di Capitale europea della cultura 2020, facciamo grande fatica a individuare in città esempi di riqualificazione di spazi dismessi. Reinventare gli spazi per dare loro una seconda vita non è certo una novità, ma dalle nostre parti questa pratica sembra non venir presa in considerazione.

Foto: Ivo Vidotto
Riqualificazione: modelli virtuosi
Sono diversi gli esempi di aree dismesse riqualificate e trasformate in spazi e location per eventi. Uno su tutti è sicuramente quello della città di Bilbao, nei Paesi Baschi, che in passato ha affrontato il declino dell’industria metallurgica e navale; una crisi che l’amministrazione ha deciso di affrontare con una scelta consapevole e coraggiosa che ha portato alla nascita del Guggenheim Museum di Frank Ghery. L’intera area è stata riqualificata e restituita ai cittadini di Bilbao; una strategia vincente se si pensa che il solo museo generi un profitto enorme. Si calcola che il solo museo, nei primi tre anni di vita, sia responsabile di un indotto che supera i 600 milioni di dollari. Un successo che ha trasformato il museo in un simbolo e che è stato possibile grazie a una progettazione urbana che si è ben integrata con la realtà della città e della sua economia, seguendo la vocazione turistica. A cosa è dovuto il successo? Il successo è dovuto alla perfetta integrazione tra l’architettura della città e quella del museo, che è diventato il simbolo della rinascita di Bilbao, regalando benefici anche alla sua vocazione turistica.
Proseguendo, sempre in Europa troviamo Londra; tra i tanti progetti attuati c’è il modello del Bankside, sede della Tate Modern, che da area profondamente segnata dal degrado sociale è divenuta luogo dedicato alle arti e allo spettacolo. In chiave di sostenibilità ambientale e territoriale fa fede il caso di Ruhr in Germania, che da fulcro dell’industria siderurgica e mineraria è diventato un virtuoso esempio di recupero dell’identità industriale del luogo – identità che anche nel caso di Fiume andrebbe mantenuta – di cui si sono mantenute le originali forme architettoniche, e con il quale è stato possibile restituire alla comunità nuovi spazi pubblici. Insomma… si cerca di non demolire, ma di recuperare il più possibile.
Rigenerare l’esistente
Una città dinamica è costretta nel tempo ad affrontare cambiamenti sociali ed economici, vedendo sempre crescere la necessità di ridisegnare o rigenerare l’esistente, così da renderlo attuale e adeguato alle esigenze contemporanee. Pensare che le città siano un qualcosa di immobile è impossibile, ma va considerato che ciò che era perfetto ieri, oggi magari non lo e domani lo sarà ancor di meno. Molto spesso le industrie sono strettamente legate al territorio in cui si trovano e magari hanno anche il merito di averle plasmate e fatto crescere, per cui vanno ritenute assolutamente meritevoli di poter avere l’opportunità di una seconda vita, ancor meglio se al servizio di quello stesso territorio.
La dismissione di una grande fabbrica va pertanto vista come un’occasione per trasformare quel luogo e dargli una nuova identità. Il recupero delle aree dismesse può essere il centro di un dibattito variegato, che coinvolge tecnici, progettisti, amministrazioni, ma anche i cittadini stessi. Rigenerare un’ex area industriale significa rilanciare un’intera area, arricchire la città in cui si trova e dare nuovo valore al territorio. Un’alternativa altrettanto interessante è quella di non dimenticare la storia industriale di questi spazi, di valorizzarla creando spazi museali e dedicati alla cultura.

Foto: Ivo Vidotto
La Raffineria in Mlaka
I territori industriali in abbandono venivano associati a luoghi inquinati, segnati negativamente dal loro carattere di marginalità urbana e sociale, molto spesso animati solo dal degrado urbano. Quando un’attività industriale cessa, non lascia soltanto un vuoto fisico, ma continua a occupare il territorio, continua a inquinarlo con i suoi residui, come nell’esempio della Raffineria dell’INA in Mlaka. Per molto tempo si è ritenuto che la soluzione migliore per queste aree fosse la bonifica, che facesse tabula rasa, cancellando però testimonianze cariche di storia, che valevano la pena di essere conservate. Senza trascurare il fatto che la bonifica dell’area ancora occupata dagli impianti dell’ex Raffineria comporterebbe costi elevatissimi. A carico di chi?
Patrimonio industriale e bonifica non vanno a braccetto, ma ci sono dei casi in cui è stato possibile conciliare queste due esigenze individuando soluzioni che rappresentano la forma migliore di valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio insieme. In quanto a sostenibilità ambientale, la riqualificazione industriale non è solo una questione urbanistica, ma anche ecologica, motivo per cui sarebbe quanto mai necessario integrare strategie di sostenibilità nei progetti di riconversione, come il riutilizzo di materiali, il risparmio energetico o la creazione di spazi verdi.
Tipologie di intervento
Ci sono tre tipologie di intervento per il riuso delle aree industriali: il rinnovo, la rivitalizzazione, il recupero, anche tenendo conto del fatto che le testimonianze delle attività produttive assumono una valenza culturale che vale la pena conservare e promuovere. Le aree industriali dismesse inoltre sono in genere già servite dalle principali opere di urbanizzazione e sono spesso collocate in prossimità di impianti ferroviari o di tratte importanti della rete stradale che ne possono determinare una buona accessibilità, pertanto la restituzione di queste aree alla città può costituire un’occasione importante per il ridisegno del tessuto urbano locale. In diversi casi, la riqualificazioni di molti luoghi è stata possibile grazie al Fondo europeo di sviluppo regionale, uno dei fondi strutturali dell’Unione europea, che li aveva destinati a città che avevano sofferto gli effetti del declino industriale. Ci sono anche altre forme di finanziamento che potrebbero essere utilizzate, tra cui partenariati pubblico-privato, investimenti privati, crowdfunding e incentivi statali.
Quanti «scheletri» a Fiume…
A Fiume, questi “scheletri” di cemento e acciaio andrebbero visti come un’opportunità di sviluppo e di crescita per il territorio e le comunità, un motivo di vanto e orgoglio per la città. In un contesto simile, sarebbe opportuno, per non dire necessario, il coinvolgimento della comunità – cittadini, progettisti e amministrazioni – nel recupero delle aree dismesse. L’importanza della partecipazione attiva della comunità potrebbe delinearsi soprattutto nella definizione della nuova destinazione d’uso.
Le aree industriali, una volta dismesse, creano dei vuoti urbani spesso problematici, a causa di questioni di sicurezza, di degrado sociale e ambientale. Investire nella loro riqualificazione significa trasformare un problema in un punto di forza, restituire al territorio nuovi spazi di valore. E di “scheletri” ce ne sono nel capoluogo quarnerino, dalla Cartiera alla summenzionata raffineria, dall’ex Silurificio – la rampa di collaudo dei siluri è una ferita dolorosa nel cuore dei fiumani – al deposito locomotive in zona Pioppi. I nostri avi ci hanno lasciato in eredità luoghi che ospitano, a diverse profondità, ancora oggi storie di secoli diversi: aree dismesse e abbandonate al degrado che meritano di essere recuperate e valorizzate. Se non nella realtà, almeno attraverso la memoria e la progettazione.

Foto: Ivo Vidotto
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