
“Ricordatevi la vostra umanità e dimenticate tutto il resto”.
(Józef Rotblat)
Le immagini delle dinamiche mondiali di questi giorni sembrano delle figure che si susseguono, si incrociano, si trasformano, scompaiono e ricompaiono formando nuove combinazioni di colori, nuove sagome che risultano visibili solo se illuminate dalla luce esterna. Si contraggono e si distendono, cercando di raggiungere forme perfette, combinazioni di colori incredibili come lo è la stessa vita del mondo che si presenta con sempre nuove soluzioni, più o meno colorate; esattamente quello che succede in un caleidoscopio.
In questa realtà che vacilla tra tragedie e miracoli, l’esistenza stessa si ricrea con intensità, tra pietà e atrocità, dalle quali si può individuare il modo con cui l’uomo tratta il suo prossimo. È così da quando l’umanità esiste su questa terra. L’umanità, artefice e vittima dell’eterno antagonismo tra il bene e il male. Il vincitore finale è noto, ma sul percorso che porta alla vittoria appaiono spesso scorciatoie ingannevoli e svianti. Intrappolano coloro che affrontano la vita con un solo pensiero in testa: conquistare, approfittare e avere successo ad ogni costo. Un tale pensiero porta a risultati pieni di soddisfazioni di superficie, che inseguono nuove conquiste, nuovi profitti e nuovi successi ad ogni costo, senza guardare in faccia a nessuno, ma anche senza realizzare che ogni volta che si seguono pensieri e percorsi simili, si perde di vista l’umanità di questo mondo.

Venti di pace o venti di guerra
Sono un’insegnante. Una docente di lingue straniere con il compito di far diventare le lingue straniere lingue comuni e comprensibili, cercando di avvicinare gli studenti non solo alle strutture linguistiche, ma prima di tutto, a tutto quello che una lingua comprende, descrive, testimonia e veicola: la storia, la cultura e i valori che appartengono prima a un popolo e poi a tutta l’umanità. Non sono né una stratega e nemmeno una funzionaria che trasmette e manipola idee e concetti, perché tali ruoli semplicemente non mi appartengono. Sono soltanto una semplice insegnante con la missione di trasmettere conoscenze e di aiutare a sviluppare la coscienza, la comprensione, il pensiero autentico. Oggi più che mai, pensare con il proprio cervello è importante, come anche non lasciarsi condizionare da costruzioni mentali prefabbricate, diffuse per poter controllare attraverso l’opinione pubblica, i pensieri delle persone.
Negli ultimi tempi siamo testimoni di conflitti che insorgono e si evolvono in guerre di ogni tipo. Sembra che questo mondo abbia dimenticato le conseguenze prodotte dalle guerre. Ne siamo tuttora testimoni, nel Paese in cui dopo 30 anni dalla fine di una guerra inutile (come lo sono tutte, del resto) ne subiamo ancora le conseguenze tra insofferenze, odi, speculazioni di profittatori. Si tratta di un cumulo di macerie umane che non permette al pensiero di esprimersi liberamente. Perciò, personalmente vedo la pace ancora molto lontana. Vicine sono solo le conseguenze con le quali si manipola sulle coscienze e si continua a razzolare in quel poco che è rimasto a disposizione dei manipolatori.
Ribadisco, l’insegnante ha il dovere di agire sulle coscienze, oltre a istruire. Mentre il pensiero umano si forma soprattutto nella famiglia, l’insegnante ne diventa l’appoggio principale e lo aiuta a farsi vivo, a maturare e a manifestarsi nel migliore dei modi. Alla base dello sviluppo del pensiero stanno le condizioni ottimali come la pace, la serenità, la chiarezza, la giustizia e la verità. Il concetto di pace si può insegnare, promuovere e custodire solo tramite l’amore. Perché amore e pace vanno perfettamente d’accordo; sono indissolubili.
Quanto amore c’è tra i nostri bambini, ragazzi e studenti? Quanto amore si può condividere oggi nell’ambiente delle classi e nei cortili scolastici? Dipende dai casi: poco, tanto o quasi tutto. Lo dimostrano i ragazzi stessi. Perché i bambini, i ragazzi, come pure gli studenti interagiscono con amore in modo naturale, vero e sincero. Spunta un ostacolo importante che si manifesta nella promozione della competizione. È cosa buona e giusta anche questa, entro certi limiti come ad esempio, quelli sportivi. Perché? Per una sola e importante ragione: la competizione uccide la collaborazione. Competere significa anche rinunciare a considerare il prossimo. Almeno così si manifesta negli ultimi tempi, nelle varie forme di bullismo tra i coetanei. Nella competizione conta solo il vincitore; gli altri vengono scartati, abbandonati. È molto pericoloso usare il modo competitivo nelle scuole di ogni tipo perché stimola l’individualismo, l’egocentrismo e provoca il dissolvimento dell’altruismo. Lo testimoniano i fatti che accadono nel mondo negli ultimi decenni, globalmente. Mi chiedo dove si vuole arrivare e cosa si vuole ottenere oggi, senza considerare l’altro. Infatti, siamo arrivati quasi a un passo dall’assurdità e dalla perdizione,vista la nuova corsa alle armi e la crescente domanda di difesa armata di nazioni e Stati. Tutti siamo diventati dei potenziali nemici e ci dobbiamo difendere: gli uni dagli altri. Davvero?! Dovremmo invece fermarci e ragionare su come cambiare l’organizzazione mondiale in modo pacifico e raggiungere nuove uguaglianze perché è, senza alcun dubbio, l’unico modo giusto e civile.
Mentre il mondo sta a guardare a bocca aperta e non riesce a capire la quantità di ferocia presente negli animi delle persone che mettono in pericolo e offendono il futuro dell’umanità, c’è chi si oppone all’assurdità di ogni genere con mezzi autentici, basati sulla verità, sull’onestà e sulla moralità. Sono fautori che agiscono in silenzio e il cui lavoro è basilare per il mantenimento di un certo equilibrio mondiale che affronta le sfide della rivoluzione demografica, della crisi climatica e delle guerre industriali ed economiche, accendendo sempre nuovi conflitti nei Paesi di importanza strategica. Sembra che si stiano alzando venti di guerra in tutte le parti del mondo. Pare che un conflitto mondiale sia inevitabile perché le tensioni tra Paesi di una certa importanza salgono in continuazione. D’altra parte, si cerca di arrivare a intese e di tranquillizzare le situazioni, alzando altri venti, venti di pace. Perché solo la pace può portare a un progresso globale.
Gentilezza e violenza
Mi sento amareggiata per il fatto che sui nostri destini alleggino le ombre delle opere di persone prepotenti. Glielo abbiamo permesso, dando loro fiducia e potere. Ci troviamo davanti a dei fenomeni raccapriccianti, che non trovano alcuna sana ragione di esistere. La violenza ha invaso il nostro quotidiano, a tutti gli effetti. Prima la vedevamo molto lontana, ora si trova anche nelle nostre città, nelle nostre case, nelle nostre famiglie. La violenza che va a braccetto con la competizione e con l’indifferenza. Il famoso trio che distrugge anche le idee più nobili. Basta poco per passare alla violenza in un mondo che accellera i suoi ritmi a dismisura. La violenza richiede modi duri, tagli precisi e spietatezza, approfondendo le differenze e le disuguaglianze. Alle anime giovani, gentili e delicate che si stanno formando nella nostra realtà, la violenza deve essere spiegata, come anche i modi con cui la si può e la si deve evitare. La risposta è data con una sola parola: gentilezza. Avere modi gentili significa avvicinarsi a qualsiasi persona che sia essa prepotente o no, senza aver paura di entrare in conflitto e usando strumenti come la saggezza e l’umiltà, cercando di superare momenti di tensione e proponendo soluzioni pacifiche per ogni problema presente. Essere gentili oggi non significa essere deboli. Tutt’altro. La gentilezza appartiene alle persone forti, convinte dei valori e delle virtù che la accompagnano come la pazienza, la prudenza, la temperanza, non dimenticando mai la speranza, la fede e l’amore. All’amore si deve ritornare sempre. Perché senza amore non c’è vita. Così, invece di immaginare un futuro insicuro e tremendo, cerchiamo di aggiungervi un po’ di gentilezza che illumina i nostri pensieri più cupi e le paure più profonde. Bisogna avere coraggio e trasformare le nostre disperazioni quotidiane in piccoli brillii di luce che possono diventare sempre più vivi, alimentati dalla speranza.

Il futuro del mondo nelle mani dei giovani
La speranza è più viva e dinamica tra la gente che sta soffrendo. Più grandi sono le sofferenze, più costante e forte è la loro speranza. Di solito si dice che non esistono casi disperati, ma solo sfide più dure che si sconfiggono e si vincono con la costanza e la fiducia nella vittoria finale. Molti si domandano, dalle loro comode poltrone, come fanno a rimanere speranzosi coloro che non hanno niente, che non riescono ad assicurarsi neanche lo stretto necessario, che soffrono la fame, che vivono in condizioni disperate senza acqua ne luce, che sono vittime di violenze e di abusi di ogni tipo.
Avendo vissuto negli ultimi anni, per dei brevi periodi, in terre sofferenti come lo è l’entroterra nigeriano nel continente africano, posso nuovamente testimoniare l’aumento delle sofferenze insieme all’enorme forza dello spirito della gente. Non si tratta soltanto dell’influsso delle chiese cristiane locali, ma di un modo di pensare la vita diverso da noi, cosiddetti occidentali. Non ho mai sentito le persone lamentarsi perché tutte condividono le stesse condizioni di vita. Il prezzo del carburante è stato quintuplicato in un anno e mezzo e con esso sono aumentati i prezzi di tutti gli altri prodotti, a partire da quelli alimentari in poi. I salari non hanno seguito lo stesso andamento e le conseguenze si possono soltanto immaginare. Dalla povertà già presente, si è passati alla miseria profonda, estrema. La gente sta soffrendo la fame. In modo particolare i più vulnerabili: gli anziani e i bambini. La terra dei paradossi continua ad aggiungerne altri e, mentre il mondo sta per affrontare una nuova crisi di sicurezza oltre a quella economica, l’Africa le vive le crisi, le vive tutte, comprese le vecchie insieme a quelle nuove, resistendo con le proprie forze. Ma quali forze può avere l’Africa, un continente martoriato e tenuto sotto stretta sorveglianza dai potenti che non vogliono allentare la morsa a causa delle sue enormi risorse minerarie? Una forza esiste. Una forza fondamentale che sta crescendo. Sono i giovani che stanno emergendo. Una moltitudine di giovani, sempre più preparati, sempre meglio istruiti, che si prestano a servire i propri Paesi insieme a molti Paesi del mondo. Così, mentre alcune popolazioni mondiali affrontano il calo demografico, i giovani africani rappresentano quella forza e quella speranza che parteciperà alla creazione di un nuovo domani.
Sono i giovani dell’abbondanza e della povertà. E mi sembra giusto che sia così, perché vedo in loro l’instaurazione di un nuovo equilibrio mondiale. Di loro le prime pagine dei giornali non parleranno mai. Perciò, vi presento alcune delle loro vocine. Se chiedete al piccolo Greatness di soli 6 anni, figlio unico di una ragazza madre, cosa vuole fare da grande, lui vi risponderà con orgoglio che vuole diventare medico pediatra per curare i bambini come lui. La piccola Peace della seconda elementare, vuole diventare infermiera e curare le nonne malate. Dixon, che frequenta la quarta elementare, vuole diventare un ingegnere speciale che costruirà strade di qualità per poter andare a visitare i nonni al villaggio quando vuole. E aggiunge che scaverà tanti acquedotti per fare avere acqua potabile in casa a tutti i suoi amici. Non devo dimenticare Omanoye della terza elementare che vuole diventare ingegnere civile e ricostruire la rete elettrica della città di Benin City, dove vive. Molti altri hanno sogni simili: ingegneri, medici, infermiere, levatrici, maestre. Ci sono anche ragazzini che vogliono seguire strade seguite dai loro idoli e diventare calciatori per guadagnare tanti soldi e costruire nuove case ai loro genitori e nonni. Solo in pochi non sognano più e dicono che diventeranno braccianti o agricoltori come i loro genitori ovvero coltivare piante, lavorare in campagna, negli orti e nei giardini vicino alle loro case.
Lucio Battisti cantava anni fa dei “giardini di marzo che si vestono di nuovi colori”. Sinceramente, spero di vedere il mese di marzo vestito di colori chiari e candidi della pace insieme ai colori della terra che si sta risvegliando dal sonno invernale, portando nuovi slanci positivi nel mondo. Un caleidoscopio di colori. Come i colori del continente africano: vivaci e numerosi nelle loro combinazioni. Ho imparato molto dai bambini dell’Africa. Prima di tutto, sorridere alla vita ed essere grata per ogni piccola cosa conquistata e per ogni piccolo passo fatto sul percorso che porta alla vita di successo. La loro convinzione che tutte le sfide possono essere superate se gestite con saggezza e perseveranza, crea una forza inarrestabile. La forza dei sogni, la forza del lavoro, la forza della perseveranza e la forza dell’unione e della pace. Una lezione di vita per tutti.

*docente del Dipartimento di Studi Italiani dell’Università di Zara
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