Un D’Annunzio costituzionalista

Giuseppe de Vergottini affronta la Carta del Carnaro, mettendo in luce un aspetto inedito dell’impresa fiumana, onorando nel modo migliore, con un saggio che offre molto più di quello che il titolo pare promettere, il centenario di quella complessa vicenda

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Un D’Annunzio costituzionalista

In “Panorama” del 15 settembre avevamo segnalato il libro di G. Scotti La città contesa: Fiume 1918-1924, che inquadrava l’impresa dannunziana nel contesto storico internazionale, ma ora è uscito il saggio di Giuseppe de Vergottini, uno dei nostri maggiori costituzionalisti – tra l’altro da poco subentrato ad Antonio Ballarin nella presidenza della Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati –, La costituzione secondo D’Annunzio (Luni, 2020, pp. 176, £ 20), che affronta un argomento finora quasi del tutto ignorato. Nel profilo biografico Alla Federesuli un giurista con fine sensibilità storica, pubblicato in “Panorama” (n. 19, 2020), dopo aver ricordato che è figlio dello storico del diritto Giovanni, di famiglia nobiliare originaria di Parenzo, si elencano i suoi molteplici interessi in campo storico-giuridico, le numerosissime pubblicazioni in materia nelle più prestigiose sedi nazionali e internazionali e le innumerevoli istituzioni culturali di cui è membro, sicché è evidente che nessuno più di lui era adatto ad affrontare questo tema storico-giuridico, che arricchisce qualitativamente la specifica pubblicistica.
Il centenario dell’impresa fiumana, a lungo trascurata, anche perché predominante il pregiudizio d’un D’Annunzio precursore del fascismo, ha sollecitato la storiografia a prenderla in esame in maniera critica, e non più condizionata da pregiudiziali ideologiche, vedendola nel contesto della crisi postbellica, che dal 1919 almeno sino al 1923 fu connotata da quelle guerre di successione degli stati nati dalla dissoluzione dei vecchi imperi di cui in questa sede s’è già detto, rinviando allo studio di R. Gerwarth, La rabbia dei vinti. La guerra dopo la guerra, 1917-1923 (Laterza). Così, dopo la riedizione del giovanile lavoro di Ferdinando Gerra, Fiume dannunziana (pref. di A. M. Ghisalberti, Longanesi, 1966), e lo studio precorritore, ma allora rimasto isolato, di M. A. Ledeen, D’Annunzio a Fiume (Laterza, 1975), scritto con la consulenza di Renzo De Felice – che l’anno prima aveva curato La penultima ventura. Scritti e discorsi fiumani del poeta (n.ed. Luni, 2019) –, nel 1999 (ricorrendo l’80° anniversario della vicenda) al Circolo della Stampa di Milano il 22 maggio s’è svolto il convegno Fiume: precedenti storici e ripercussioni dell’impresa dannunziana del 1919-1920, mentre il 27 novembre la Lega Nazionale di Trieste ha organizzato il convegno Fiume legionaria: a ottant’anni dall’impresa dannunziana, con relazioni di A. Agnelli, G. Parlato, P. Neglie, R. Chiarini, D. Redivo, M. Dassovich, L. E. Longo e A. Brambilla, stampandone gli atti nel 2001.
Ora, invece, in “Fiume. Rivista di studi adriatici”, nella rubrica “Nel centenario dell’impresa di Fiume, 1919-1920”, sono comparsi i lavori di F. Todero, Isole nella tempesta: Veglia, Cherso, lussino e Arbe e l’occupazione dannunziana dai documenti del colonnello Gaspare Pasini, e di Cr. Prai, Fiume, città di vita e… letteratura. L’arte al potere durante l’Impresa di D’Annunzio (n. 39, 2019); S. Luscia, Fulvio Balisti legionario dannunziano, e R. Atzeri, Un atto di pirateria uscocca: il dirottamento del “Taranto” nel gennaio 1920 (n. 40, 2019); F. L. Ramaioli, Lo Statuto della Reggenza Italiana del Carnaro tra innovazione e tradizione: a cento anni dalla Costituzione di Fiume, e F. Rudi, La prima rappresentazione de “La nave” di Gabriele D’Annunzio (n. 41, 2020); R. Atzeri, Dall’archivio di famiglia: note sulla “Legione sarda in Fiume d’Italia”, e A. Cecera, L’Impresa fiumana e la sinistra rivoluzionaria (n. 42, 2020).
A tali indagini più settoriali s’affiancano le monografie di G. Br. Guerri, Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione: Fiume 1919-1920 (Mondadori), ricostruzione ben documentata, ma di taglio più divulgativo, su cui si veda la recensione di E. Loria nel n. 42 di “Fiume”; L. Villari, La luna di Fiume. 1919: il complotto (Guanda) – riserve critiche di M. Micich sul quale si leggono nel sito della Società di studi fiumani (wwww.fiume-rijeka.it) –, e Cl. Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’annunzio a Fiume (Il Mulino, 2019, ed. accresciuta e aggiornata di quella del 2002), che s’occupa del versante culturale della vicenda, tutt’altro che secondario e trascurabile, data la personalità del protagonista e considerando che Toscanini, invitato da D’Annunzio, venne a Fiume con la sua orchestra a dirigere un concerto di beneficenza, mentre Marinetti, raggiuntala avventurosamente, vi si fermò per 16 giorni, raccontando tale esperienza nel Diario fiumano, esaltando “Fiume futurista” (Italia Storica, 2020).
Freschi di stampa, inoltre, sono i ponderosi atti del convegno internazionale di studi sull’impresa fiumana, Fiume 1919-2019: un centenario europeo tra identità, memorie e prospettive di ricerca (Silvana Editoriale), organizzato dalla Fondazione del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera il 5-7 settembre 2019. Il 22 dicembre scorso, infine, il Limes Club di Verona ha organizzato il seminario D’Annunzio e Fiume a cento anni dall’Impresa: un laboratorio di idee ed utopie, in cui sono stati presentati e discussi i volumi di de Vergottini, di cui qui si parla, di D. Rossi (a cura di), La città di vita cent’anni dopo. Fiume, D’Annunzio e il lungo Novecento adriatico (CEDAM, 2020), ed E. Merlino (a cura di), La sola ragione di vivere. D’Annunzio, la Carta del Carnaro e l’esercito liberatore (Passaggio al Bosco, 2020).
Il saggio di de Vergottini, chiaro e discorsivo, è strutturato in 17 capitoli, il cui elenco è già indicativo dell’impostazione del discorso: 1. Il superamento dello stato liberale prebellico, 2. La Carta del Carnaro nel quadro del costituzionalismo postbellico, 3. La Carta tra tradizione, innovazione e razionalizzazione, 4. Diversità e convergenze fra la concezione di De Ambris e quella di D’Annunzio, 5. La Carta e il suo tempo, 6. La Carta come soluzione provvisoria in vista della futura annessione, 7. Dallo stato di fatto alla legittimazione del nuovo potere statale, 8. La natura del potere costituente fiumano, 9. Il profilo rivoluzionario della Carta, 10. Il progetto di De Ambris, 11. L’organizzazione dannunziana dello stato e la sua forma di governo, 12. Lo stato di eccezione, 13. Una conclusione sulla forma di governo: un ibrido discutibile, 14. La concezione dei diritti: una visione originale e innovatrice, 15. L’incontro tra diritti individuali e collettivi. Le corporazioni, 16. Il regime dei diritti degli appartenenti alle minoranze, 17. La Carta momento significativo del costituzionalismo fra i due conflitti mondiali, mentre nelle Appendici sono pubblicati il Testo di Alceste Ambris e La Carta del Carnaro di D’Annunzio.

innovativa per quel periodo

La costituzione fiumana è esaminata confrontandola con quelle elaborate nel medesimo periodo nei nuovi Stati dell’Europa centro-orientale, sorti sulle macerie degli imperi asburgico e zarista, prendendo in particolare considerazione quella della repubblica di Weimar, dovuta ai maggiori giuristi tedeschi del tempo. Essa venne stesa da Alceste De Ambris – socialista rivoluzionario, a suo tempo fervente interventista democratico e per tale ragione cacciato dal neutralista partito socialista, subentrato come capo di gabinetto del Vate al nazionalista Giovanni Giuriati, dopo che questi s’era dimesso non condividendo la politica dannunziana –, ma poi rielaborata dal punto di vista formale dal poeta, che ne lasciò inalterata la sostanza, frutto di dibattiti e discussioni di mesi.
I suoi contenuti per quei tempi erano d’avanguardia, tant’è vero che sarebbero stati ripresi e applicati appena nel secondo dopoguerra nella costituzione italiana. In essa, infatti, si proclamava la piena uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzioni di razza, sesso, classe, censo, mentre per le donne era pure previsto il diritto di voto, così come per tutti quello al lavoro.
Quanto alle minoranze – nel Fiumano erano presenti numerosi croati, oltre a un certo numero di serbi e sloveni –, esse erano riconosciute e tutelate, come, invece, allora non accadeva a quelle residenti nei nuovi stati centroeuropei, eredi di imperi multinazionali. Oltre ciò, veniva adottato il sistema delle corporazioni, una via di mezzo tra il liberismo incondizionato della società capitalistica e il dirigismo della nuova Russia bolscevica, che il libero Stato fiumano riconobbe ben prima dei governi delle grandi potenze europee, Italia compresa, venendo ricambiato con analogo riconoscimento da parte di Lenin, che guardava con simpatia e interesse all’esperimento fiumano, che in generale, come ha ricordato Cecera nel saggio già menzionato, trovò, salvo rare eccezioni, un positivo riscontro nella sinistra rivoluzionaria italiana. Favorita in ogni modo la partecipazione attiva della cittadinanza alla vita pubblica e stabilita la rotazione delle cariche, per evitare la nascita d’una casta politica legata al potere, erano, invece, severamente puniti e privati dei loro diritti quei cittadini che avessero mancato nei riguardi della res publica. Veniva, oltre ciò, prevista una sorta di dittatura temporanea nelle situazioni d’emergenza statale, un po’ richiamandosi all’antico modello romano e un po’ a quanto previsto nella stessa repubblica di Weimar in casi d’emergenza. Dati, poi, gli interessi dannunziani, giusto spazio veniva riconosciuto a istruzione e cultura.
Si deve, pertanto, essere grati a de Vergottini per aver onorato nel modo migliore il centenario dell’impresa fiumana con un saggio che offre molto più di quello che il titolo pare promettere.

P. S. Quando l’’articolo era stato appena spedito alla redazione, nell’inserto storico de “La Voce del popolo” del 22 dicembre è uscito l’ampio articolo di Ilaria Rocchi, “Il prezzo di un sogno”, che sintetizza in modo egregio la complessa pagina dell’impresa fiumana di D’Annunzio.

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