Rigojanci, peccaminoso dessert della Fiume austro-ungarica

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Rigojanci, peccaminoso dessert della Fiume austro-ungarica

Ci sono due cose, tra le altre, che un “buongustaio” non si deve far perdere trovandosi a Fiume: per la prima, basta aprire il rubinetto e provare la sua acqua, inesauribile – come dice il motto che campeggiava sullo stemma cittadino concesso dall’imperatore Leopoldo I con diploma del 6 giugno 1659 – e dal sapore particolare; per la seconda, diventa forse un po’ più complicato, perché solo di recente sta tornando in pasticceria. È il “rigojanci”, dolce vintage, quasi sparito e risorto, gloria per il palato, che accarezza i sensi delle anime più romantiche (oltre che golose). Sì, perché l’“impasto” di questa torta, tripudio di cioccolato – nella versione locale, presentato sottoforma di trancetto e con l’aggiunta di soffice panna – si narra una storia molto curiosa, che ben s’amalgama con il passato e la tradizione multiculturale della Fiume di fine Ottocento, quando la città faceva parte dell’Impero austro-ungarico, con uno status tutto particolare (quello di separatum Sacrae Regni Hungariae Coronae adnexum corpus, ovvero corpo separato annesso alla Corona magiara, provvisto di una speciale autonomia).
Di fatto è ungherese, ma viene definito tipico di Trieste e addirittura simbolico per quanto riguarda l’identità del capoluogo del Quarnero. Non è un caso, considerato che nelle due città, gemelle e rivali, si rispecchiava la duplice anima della “Defonta”: la prima era il porto principale della Monarchia austriaca, l’altra sbocco al mare dell’Ungheria. Scalzato da più accessibili prodotti da forno “multinazionali”, oggi, come si diceva, rientra nell’offerta gastronomica locale. Quello più famoso e apprezzato (gli altri erano pallide imitazioni) veniva servito nella pasticceria dell’albergo Continental, che è riuscita a rimetterla in vetrina grazie a un progetto che valorizzando e recuperando l’eredità storica, strizza l’occhio al turismo.

Mangiar memoria

Un’operazione che non è solo da maître pâtissier, dunque, ma coinvolge un museo – quello dell’Informatica Peek&Pokee –, che scende in campo in sinergia con diverse istituzioni ed esperti nel campo, e con il beneplacito dell’Ambasciata d’Ungheria in Croazia e del’Istituto Balassi (organizzazione culturale non-profit fondata dal Ministero dell’Educazione e Cultura dell’Ungheria) a Zagabria. A curare il progetto è Svetozar Nilović Tozo, fondatore e direttore della citata istituzione museale. L’appuntamento è per settembre, quando nell’ambito di una mostra dedicata ai dessert di fine Ottocento-inizi Novecento, che verrà allestita nell’ex Palazzo del Governo (l’attuale Museo di Marineria e di Storia del Litorale croato), utilizzando materiali provenienti dalle sue collezioni e da quelle del Museo del Commercio e del Turismo di Budapest); ci sarà poi uno spettacolo per bambini (inscenato dalla Compagnia Kalvarija); uscirà un libro illustrato per l’infanzia; saranno organizzati laboratori sulla preparazione del dolce, guidati dalle pasticciere del vecchio Cont, come Ilonka Poljak. Inoltre, sarà tradotto in croato il ricettario di Francesco Gottardi Come mangiavamo: l’I. R. cucina a Fiume e paesi limitrofi (EDIT, Fiume 1998, 123 p., ill.). Lo storico ungherese Csaba Katona, che ha raccolto tanto materiale d’archivio, sta invece ultimando le sue ricerche sulle origini del “rigojanci” e sul personaggio cui deve il nome nell’ambito di un progetto intitolato “Rigó Jancsi – l’amore come ispirazione in pasticceria”. Insomma, un’operazione da “mangiar memoria” (parafrasando il titolo del ricettario di Chiara Vigini, Associazione delle Comunità Istriane, Trieste, 2007) per nutrire la propria identità.
Tutto parte infatti da una liaison che all’epoca fece tanto scalpore: la relazione tra un virtuoso del violino, lo tzigano Rigó Jancsi (1858–1927) e la bella e prorompente Clara Ward, figlia del primo multimilionario di Detroit andata in sposa a un nobile belga, Marie Joseph Anatole Pierre Alphonse de Riquet, Principe de Caraman-Chimay. Il padre, l’industriale Eber Brock Ward, era produttore di ferro e acciaio – il primo a utilizzare il processo Bessemer per l’acciaio e costruirci binari –, costruttore di velieri, piroscafi, battelli a vapore, proprietario di miniere d’argento, di brevetti di serrature innovative, ma anche giornali, manifatture del vetro, banche, e compagnie assicurative… Era l’uomo più ricco del Midwest.

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Il violinista e la principessa

Clara Ward era la versione spregiudicata di Holly Golightly, l’elegante e svampita protagonista di “Colazione da Tiffany”, romanzo breve di Truman Capote pubblicato nel 1958, da cui è stato tratto il celebre film con Audrey Hepburn. Il padre scomparve quando Clara aveva soli due anni lasciandole tutti i suoi averi. Con un’eredità enorme la ragazza era un buon partito. Grazie alla sua bellezza, la giovane età, la ricchezza e il titolo nobiliare che acquisì in seguito al matrimonio con il principe belga, Clara Ward divenne una delle principali celebrity della statunitense Gilded Age. Era il 1890, lei aveva appena 16 anni, il marito – schermidore, che nel 1900 rappresentò la Francia ai Giochi della II Olimpiade di Parigi nella gara di spada individuale, dove fu eliminato al primo turno – già 31; Clara gli darà due figli. I gossip riportano che lui, amante della musica, era piuttosto bruttino, oltre che squattrinato. Membro della Camera dei Deputati del Belgio, possedeva solo il castello di famiglia, e anche questo da ristrutturare.
In quel periodo, erano frequenti i matrimoni fra aristocratici europei e giovani ereditiere americane, belle e capricciose, spesso colte da manie di grandezza, che all’inizio del secolo XIX venivano in Europa per sposarsi con nobili (spesso squattrinati) del Vecchio Mondo. Era la nuova crema della società e Clara Ward ne era un’icona. Per i nobili queste unioni erano disonorevoli ma utili in termini finanziari e i rapporti all’interno di queste coppie erano spesso complicati. Le famiglie aristocratiche sprezzavano le americane, le consideravano delle intruse; mentre le famiglie delle spose volevano dimostrare che il potere nel nuovo ordine mondiale era ormai nelle loro mani. Questo intreccio di rapporti segnerà l’esistenza di Clara Ward, che non riuscirà mai a inserirsi nella vita monotona della sua nuova residenza in Belgio, nel castello avito del marito, che grazie alle sostanze della famiglia Ward viene restituito agli antichi splendori. Tra i pochi ad averla in simpatia – forse anche troppa! –, lo stesso re Leopoldo II, cugino di Jospeh. Ma la condotta della sposa cominciò ben presto ad essere oggetto di chiacchiere: si sussurra di una sua relazione col reale cugino dello sposo, molto interessato a lei come la gran parte degli uomini del suo tempo; così, un po’ per compiacere la famiglia reale, un po’ per porre fine alle chiacchiere, la coppia principesca si trasferisce a Parigi nel 1894.

Eroina da Can-can

In questa città effervescente e ricca di tentazioni, frequentano l’alta società, i locali alla moda, i ristoranti di lusso, tra mondanità, notti decadenti al Moulin Rouge, nei tanti cabaret, nei privée dei saloni, dove si consumavano assenzio e spumante. Lo chef Auguste Escoffier dedica a Clara due sue creazioni: le Oeufs (uova) a la Chimay e il Poulard (pollo) Chimay. Lei è molto ammirata e desiderata, ha un carattere frivolo e piuttosto incostante, decisamente anticonvenzionale, come in seguito nella sua vita avrà modo di dimostrare. I coniugi Clara e Joseph sono grandi frequentatori di ristoranti eleganti e molto prodighi del denaro di lei. È in un ristorante, appunto, che, una sera del 1896, il giovane sguardo di Clara incrocia quello del tenebroso violinista tzigano Rigó Jancsi, che allieta la sala con la propria musica. Siamo in piena Belle Époque e un artista come Rigó Jancsi era richiestissimo in tutti i ristoranti di lusso e nei cafè chantant, a “caccia” delle sciantose più belle e desiderate della città, ma anche di artisti di grande fama. Era l’atmosfera perfetta per quell’élite che scopriva la bellezza di intrattenersi in luoghi deliziosi.
Lei è stupenda: se ne invaghisce anche lo scrittore Marcel Proust; Cole Porter s’ispira a lei per il personaggio di Simone Pistache (la proprietaria di un locale notturno a Montmartre, che organizza spettacoli proibiti) nel musical “Can-Can”; appare in numerose cartoline (e pare che il kaiser Guglielmo II, visto il fascino conturbante della donna, arrivi persino a proibire la pubblicazione di fotografie di Clara).
Rigó Jancsi nasce a Pakozd, presso Székesfehérvár in Ungheria e viaggia attraverso mezza Europa: Inghilterra, Francia, Germania… finché approda nella Ville Lumière per le feste di Natale del 1896. Qui incontra Clara Ward, che si trova a Parigi con il principe per le vacanze. Lui, dotato di meravigliosi baffi neri da zingaro, suona il violino al loro tavolo… ed è colpo di fulmine. La leggenda racconta che lei si innamora a prima vista, sfilandosi sotto gli occhi inorriditi del marito principe lo splendido anello di fidanzamento per metterlo nelle mani di Jancsi. Lo scandalo è enorme e internazionale: lei è una principessa, notissima e idolatrata in America, dove faceva la gioia della stampa rosa, lui un prìmàs zingaro. Tutta Parigi parla di loro, e Henri de la Toulouse-Lautrec ne fa una litografia di lei con Rigó nel 1897 che intitola “Idylle Princière”. La stampa impazzisce e li insegue ovunque, il pubblico vuol sentir parlare solo di loro e beve avidamente il succo pruriginoso della storia. Al principe abbandonato nonrimane che consolarsi con gli alimenti che Clara è tenuta a pagargli per il mantenimento dei figli, dopo il divorzio pronunciato nel 1897.

A Fiume dal 1894 al 1896

Abbandonata la capitale francese, Clara e Jancsi decidono di visitare la di lui natia Ungheria. Prima approdano a Fiume, all’apice del loro amore. Rimangono in riva al Quarnero – per gli ingaggi del violinista – per due anni, tra il 1894 e il 1896. È proprio in questo periodo che fa la sua comparsa il “rigojanci”, una nuova entrée nelle pasticcerie europee. Poi vanno a trovare la famiglia di lui, che vive nella miseria più nera. La coppia passa poi per Budapest, dove ha accoglienze regali… La particolarità di questo loro soggiorno ungherese è che mentre l’élite e la stampa – che ovviamente ad essa faceva capo – erano scandalizzate dalla relazione e scrivevano parole di fuoco contro di loro, la popolazione elegge Rigò a una sorta di eroe nazionale, in linea con l’animo galante e romantico degli ungheresi, vedendo nel giovane zingaro una “personificazione” del seduttore ungarico, tutto fuoco, che seduce persino una delle personalità più in vista dell’epoca senza avere alcun mezzo materiale. Il loro passare avveniva tra ali di folla curiosa e festante, causando non poco imbarazzo alle autorità. La coppia risiede in Ungheria per un po’ e si sposa, trasferendosi a Budapest al Nemzeti Szálló, diventando un’attrazione al pari delle terme Gellert o di Gerbaud. Proprio Gerbaud, a Budapest, si dice abbia inventato il noto dolce, essendo un pasticcere diventato amico della coppia, nel 1905. La stessa l’incredibile torta fa sensazione, anche per la sua storia piccante e alla moda. 
Quanto alla scandalosa coppia, questa non resistette a lungo all’attenzione di cui era fatta oggetto e si trasferisce presto in Egitto dove, in una splendida villa vicino ad Alessandria d’Egitto, Clara si occupa dell’educazione di Jancsi, cercando di “sgrezzarlo” un po’. Inizia infatti con l’insegnargli a leggere e scrivere, attività che richiederà qualche tempo essendo lo zingaro assai poco dotato nelle materie di studio, sembra. Alessandria d’Egitto, ancora Parigi.. Ma tra Alessandria e l’Europa la linea passa per Trieste, dove la coppia sbarca nel 1898.

Hotel Continental Rijeka

Una fine annunciata

I due cominciano a spendere e spandere in giro per il mondo. Troppo, tanto che lei si ritrova diseredata e priva del sostegno economico familiare, dato che né i Ward sono troppo entusiasti di mantenere la loro scandalosa parente, né tantomeno i principi Chimay. La coppia torna a Parigi dove Clara, che continua a farsi chiamare “principessa Chimay”, per non restare, come suol dirsi, in braghe di tela, mette a frutto la propria bellezza e la propria fama. Tutti la vogliono, tutti vogliono lei e Jancsi: lui suona, lei si esibisce in una forma d’arte particolare, che chiamava poses plastiques e che consisteva nel farsi fotografare in pose plastiche ed eroiche e in costumi succinti attraverso l’Europa, da Budapest alle Folies Bergère e al Moulin Rouge; posa come modella, viene immortalata in cartoline fotografiche che vanno a ruba, ovunque inseguita dai paparazzi del tempo e dalla curiosità della folla, ammaliata e insieme aspramente critica nei confronti di una donna che si attiene così poco alle norme di una corretta condotta muliebre.
Ma la passione non dura. Che sia colpa dell’irrequietezza e della volubilità di lei, come dicono alcuni, o dell’infedeltà di lui, come sostengono altri. Galeotta è l’allegra Parigi, di nuovo: la “principessa” lascia il bel Jancsi e si mette con un cameriere spagnolo. Ma nemmeno questo amore resiste e poco dopo si sposa per la quarta volta, sempre con un uomo di scarse fortune, questa volta con tale Peppino Ricciardo, un addetto alla ferrovia circumvesuviana a Napoli, il cui compito era di aiutare i turisti a montare in vettura e controllare i biglietti. Viaggiano per un po’ finchè finiscono i soldi e, ahimè, anche la vita. Clara Ward-Chimay-Rigò-Ricciardo muore a Padova il 9 dicembre 1916, pochi mesi prima della fine definitiva di quel bel mondo un po’ pazzo e irresponsabile della Belle Époque; un mondo di cui Clara e Jancsi furono le vedette per oltre dieci anni e che finì distrutto dalla Grande Guerra. Il virtuoso del violino, invece, non si riprenderà mai dalla fine del rapporto con Clara. Nel 1911 cercherà fortuna negli Stati Uniti d’America, a New York, rincorrendo la carriera musicale. Non ce la farà. Finirà per suonare nelle strade, povero, magro e malaticcio. Lo troveranno appunto in strada, privo di vita, a 69 anni, nel 1927.
Il frutto più curioso di questa passione fin-de-siécle non è un figlio, ma un dolce. Ci sono diverse teorie su come nacque. Per alcuni, l’avrebbe confezionato un pasticciere di Parigi in un ristorante dove Rigó Jancsi si esibiva con la sua orchestra, per immortalare nel nome la storia d’amore più discussa e celebrata dei suoi tempi; per altri, invece, sarebbe nato a Vienna; per altri ancora, l’avrebbe creato lo stesso Jancsi, con l’ausilio di un pasticciere ungherese suo amico, per farne omaggio alla sua sposa (accompagnandolo con la seguente frase: “Assaggialo, è marrone come la mia pelle, tenere come la tua anima e dolce come il nostro amore”; la più cinica, infine, afferma che il dolce esisteva già sotto altro nome, magari al Remi Hostel di Pest (l’attuale hotel National) e che il suo furbo creatore l’abbia ribattezzato per arguta strategia di marketing.
La ricetta è molto semplice e gli ingredienti alla portata di tutti: cioccolato, burro, uova, zucchero, farina, fecola e panna; in alcune varianti, anche marmellata di albicoche. È crema al cioccolato e panna racchiusa tra due strati di pan di spagna, ricoperta da una glassa al cioccolato fondente e spolverata di cacao. La versione fiumana è lievemente più “bianca” rispetto a quella classica. Tra gli Anni Settanta e Ottanta, divennero famosi i “rigojanci” con la crema chiara e cosparsa di gocce di cioccolato, una specie di stracciatella. Nello stesso periodo si diffuse, sempre al mitico Cont, un tipo di gelato che ricordava questa crema, molto soffice, leggera, mai troppo zuccherata: l’Americano. L’impressione al palato è straordinaria.

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