Osmiz(z)e e istroveneto entrano di diritto nella lingua italiana

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Osmiz(z)e e istroveneto entrano di diritto nella lingua italiana

Riportato in due forme, un termine fino a oggi gergo locale, derivato dallo sloveno “osmec” (ovvero otto), entra ufficialmente e di diritto nel novero delle parole italiane con l’edizione 2019 dello Zingarelli. Fin dalla sua prima uscita nel 1922 a fascicoli il più diffuso vocabolario della lingua italiana, si connota per la disponibilità ad accettare nuovi vocaboli, all’insegna di una dantesca lingua viva e in continua evoluzione. La versione 2019, a cura di Mario Cannella e Beata Lazzarini, tra le sue 145.000 voci e gli oltre 380.000 significati contiene circa mille lemmi nuovi. E tra questi pure “osmizza” oppure “osmiza”, che sta a indicare uno spazio in cui si vendono e consumano vini e prodotti tipici della zona del Carso. 
Dunque, dopo “jota”, “pinza”, “mulo” e “ciacolare”, tanto per citare alcuni “nomi” triestini – ma anche dell’istroquarnerino –, lo Zingarelli inserisce anche il nome dei locali tradizionali di tutto l’altipiano, tanto nel Friuli-Venezia Giulia quanto nel Litorale sloveno, e di buona parte della Valle del Vipacco in Slovenia; negli ultimi decenni si sono diffusi anche nell’Istria slovena (in particolar modo nel comune di Capodistria). Indicati solitamente da una frasca rossa (oggi molto più spesso da un ramo di alloro e da una freccia solitamente rossa), risalgono a un’usanza molto antica, che affonda le radici in un’ordinanza di Carlo Magno, che concedeva a tutti i viticoltori dell’Impero il diritto di vendere direttamente il loro vino. Presente anche in epoca medievale, fu quindi restaurata con un decreto del 1784 emanato da Giuseppe II d’Asburgo, che permetteva agli agricoltori di vendere vino sfuso prodotto in casa per un periodo di otto giorni. Da rilevare che lo Zingarelli riporta entrambe le forme, sia con una che con due “z”, come attestato nella letteratura (dai lavori del linguista Tullio De Mauro a quelli degli scrittori Claudio Magris a Fulvio Tomizza e Mauro Covacich).

c’è pure il «Badantato»

Nei nuovi termini, molti sono il risultato di scambi interculturali; non mancano i neologismi tecnologici, i prestiti dal linguaggio scientifico anglosassone, ma anche espressioni che disegnano un Paese scettico, incline alla polemica, spesso “contro” (antivaccini o “no vax”) e “antagonista a prescindere”, in crisi, “tecnoscettico” e “tecnodigitale” (versione aggiornata e banalizzata degli “apocalittici” e “integrati” di Umberto Eco). Vi troviamo l’“analfabetismo funzionale” (condizione di chi, pur non essendo analfabeta, non è in grado di comprendere o redigere un testo minimamente complesso); “credito deteriorato” (quando il debitore è in una situazione di permanente difficoltà nell’onorare il debito”); “radicalizzato” (che o chi ha assunto posizioni più radicali e in particolare si è avvicinato a quelle dell’estremismo islamico); “elusore” (chi riduce o elimina il carico tributario mediante comportamento giuridicamente lecito); “badantato” (servizio di assistenza svolto da badanti); dove si diffondono il “salottismo” (fenomeno delle riunioni nei salotti mondani, la frequentazione di tali salotti) e i “vipparoli” (frequentatori o esponenti del mondo, dell’ambiente dei vip) pieni di “figaggine” (nel gergo giovanile, caratteristica di chi o di ciò che piace, si fa ammirare, è alla moda). Nei contesti sociali in forte movimento, si diffonde l’abitudine a farsi “allertatore” (che segnala qualcosa di anomalo o di preoccupante) oppure a essere “iperconnesso” (persona che fa ampio o eccessivo uso di dispositivi digitali connessi alle reti telematiche), a “spoilerare” (anticipare alcuni particolari della trama di un film, di un romanzo, ecc., rovinando l’effetto sorpresa) e quella peggiore di “stalkerare” (molestare insistentemente qualcuno). A teatro, invece, potremmo trovarci a “buare”(disapprovare un artista, uno spettacolo, ecc. mediante ripetuti “buu”).
Dal calcio o dallo sport in generale arrivano ad esempio “Var” (sigla di Video Assistant Referee, la tecnologia che consente all’arbitro di rivedere un’azione al replay, nel corso della partita), “triplete” (vittoria ottenuta da una squadra, nel corso dello stesso anno sportivo, nelle tre competizioni principali, cioè nel campionato, nella coppa nazionale e nella Champions League), “tuttocampista” (nel linguaggio del giornalismo sportivo, il calciatore in grado di coprire con profitto ogni ruolo nelle varie zone del campo), “lay up” (nella pallacanestro, tiro effettuato con una mano a breve distanza dal canestro dopo un’avanzata in palleggio), “imbucata” (nel calcio e nel basket, passaggio che ha lo scopo di smarcare un compagno tagliando la difesa avversaria) o “pitturato” (nel basket, area di forma rettangolare sotto il canestro, colorata in modo da risaltare rispetto al resto del campo, nella quale un giocatore in attacco non può rimanere più di tre secondi).
E, come anticipato dai Mario Cannella al quotidiano triestino “Il Piccolo”, nell’edizione 2020 lo Zingarelli accoglierà anche “istrioto” – riscontrato ampiamente negli studi linguistici, oltre che in ambito regionale –, con cui si è soliti indicare i dialetti istriani meridionali, preveneti. Ci sono già dizionari italiani che contempla il lemma, come il Sabatini-Coletti del 2008, che lo definisce “dialetto istriano”, derivato “dal nome Istria con – oto”, e ne data un po’ curiosamente l’impiego a partire dal 1969. Da rilevare che il nome “istrioto” si deve a un grande linguista dell’Ottocento, il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli (di cui ha scritto a più riprese su “Panorama” il prof. Fulvio Salimbeni), che s’ispirò al “veglioto” e inquadrò per la prima volta scientificamente queste parlate in un’opera del 1873.

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