Non li ferma nemmeno il filo spinato

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Non li ferma nemmeno il filo spinato

La nuova crisi migratoria dai Paesi del Medio Oriente dura ormai da mesi. Abbandonata la Rotta balcanica, che dalla Grecia passando dalla Macedonia e dalla Serbia giungeva in Croazia e Slovenia, e da lì assicurava l’ingresso in Austria e Germania, i migranti ora ripiegano su confini meno controllati e giungono alle porte della Croazia, vale a dire dell’Unione Europea, attraverso l’Albania, il Montenegro e la Bosnia-Erzegovina.
Dalla Bosnia, dove quest’anno sono stati registrati 20.000 ingressi, tentano di raggiungere la Croazia premendo sul confine. Tentano di passare lungo i sentieri boschivi che le forze di polizia non riescono a controllare.
Si stanno concentrando sui valichi di confine di Velika Kladuša (Bosnia-Erzegovina) – Maljevac (Croazia) e di Izačić (Bosnia-Erzegovina) – Ličko Petrovo Selo (Croazia). Si muovono in gruppi, sono per lo più uomini giovani. Le loro mini tendopoli stanno provocando il blocco del traffico veicolare. Si sono scontrati varie volte con la Polizia del Cantone di Una-Sana (Federazione musulmano-croata) e hanno gettato sassi verso il cordone di polizia sull’altro lato del confine, ferendo alcuni poliziotti croati. Qualche giorno fa, rivela la rete N1, sono stati fermati in Lika (Croazia) dove nell’area tra l’altro ancora minata di Perušić hanno piantato delle tende improvvisate. Sono stati arrestati e dovranno rientrare, come previsto dalle direttive Ue relative agli ingressi irregolari, nel Paese da cui sono arrivati, vale a dire in Bosnia.
Ma la loro destinazione finale rimane la Germania o, comunque, paesi Ue disposti ad accoglierli, nonostante le restrizioni in atto per quanto riguarda l’accoglienza degli illegali.

Attraverso le Alpi Dinariche

Altri gruppi di fuggiaschi transitano, invece, attraversando le Alpi Dinariche, le quali rappresentano il confine naturale tra la regione croata della Lika e la Bosnia occidentale, o si affidano a trafficanti senza scrupoli che nascondono i migranti nei camion, rimorchi o pulmini. In un caso, nei pressi di Fiume, la Polizia croata ha scoperto un pulmino dove erano accalcati ben sessantuno migranti, cinquantotto dei quali erano pakistani e tre turchi. Ma i migranti sono stati pizzicati pure nei quartieri periferici di Fiume dove hanno allestito delle tende, o hanno riparato nei vecchi bunker dell’ex zona militare, ora dismessa, di Santa Caterina, ma solo per riposarsi qualche giorno. Hanno fatto pure irruzione in alcuni villini nel piccolo insediamento turistico-montano del Platak dove hanno trascorso,solo qualche notte, svuotato le dispense, asciugato i propri abiti e poi proseguito verso la destinazione finale che, si presuppone, sia uno dei Paesi Ue ancora disposto ad accogliere migranti.
La polizia della Contea Litoraneo-montana è stata allertata, ma non ci risulta che abbia intrapreso misure severe per bloccarli. Recentemente in Istria vicino a Buie, un migrante è stato fermato, identificato e inviato in un centro di accoglienza. Il suo compagno di viaggio, invece, è riuscito a fuggire.

I conti non tornano

Il problema che si presenta in questi giorni riguarda i numeri. Se dall’inizio dell’anno sono entrati in Bosnia 20.000 migranti e attualmente hanno trovato sistemazione circa 5.000 persone, dove sono finiti ben 15.000 profughi? I conti non tornano visto che la Croazia, se li ferma, li fa ritornare in Bosnia. Pur non avendolo dichiarato ufficialmente Zagabria sta adottando i criteri di altri paesi Ue che da mesi rigettano i migranti. L’ipotesi è che queste persone siano riuscite ad eludere i numerosi punti di controllo e che abbiano raggiunto la Germania o i Paesi scandinavi. Laddove in effetti volevano arrivare.

L’UNHCR teme una catastrofe umanitaria

La popolazione nella regione istro-quarnerina tutto sommato ha un atteggiamento di tolleranza nei confronti di queste persone che cercano un futuro migliore. Alcuni abitanti dei villaggi che circondano la città gli hanno offerto da mangiare, hanno permesso loro di caricare i propri cellulari… qualcuno ha regalato qualche paio di scarpe da tennis. Non tutti fuggono dalla guerra: c’è anche chi è in cerca di un futuro economico migliore per sé e per la propria famiglia. Questo spostamento massiccio verso il confine croato viene monitorato dalle associazioni umanitarie che operano sul territorio e dall’UNHCR che segue con apprensione l’evolversi della vicenda considerati i casi di violenza denunciati.

Pure la Slovenia respinge

Vengono registrati problemi anche lungo il confine sloveno-croato. Il lungo filo spinato che dovrebbe impedire l’ingresso ai migranti non basta più. Pattuglie della polizia di frontiera controllano in modo meticoloso ogni movimento sospetto e sono gli agenti di polizia sloveni a rispedire indietro chi prova a varcare le frontiere. A denunciare il problema è stato il quotidiano ‘Dnevnik’ di Lubiana che ha portato alla luce una circolare interna della polizia che invita gli agenti a respingere i migranti in Croazia. Senza tante scuse.
“Una troupe della Tv di Stato – scrive infatti ‘La Stampa’ – ha filmato una pattuglia di agenti che bloccava a pistole spianate un gruppo di immigrati tra cui c’ erano anche dei bambini”. Dal governo sono arrivate spiegazioni (“è la prassi”), ma lo scontro politico continua. Tanto che alcuni mettono in dubbio la legittimità di un accordo tra Lubiana e Zagabria secondo cui gli immigrati bloccati al confine, anche in territorio sloveno, debbano essere restituiti alla Croazia. E qui essere sottoposti a tutte le procedure per la richiesta di asilo. Il motivo? Nell’accordo si legge che i poliziotti al confine “fermano le persone che sono entrate illegalmente in Slovenia e procedono alla loro identificazione. Lo svolgimento di tutte le altre procedure (quindi anche la richiesta di asilo,) è a carico degli organismi del Paese dove i rifugiati sono stati bloccati”.
Intanto però i controlli alle frontiere continuano. Tanto che le pattuglie miste di agenti di Lubiana e Zagabria nel 2018 hanno messo a punto ben 635 missioni (metà in Croazia e metà in Slovenia). Non sono poche, anche se non è chiaro quanti siano stati i migranti fermati e riportati indietro – scrive ‘Il Giornale’.

Il danno delle fake news

Non possiamo ignorare il fatto che oltre alla solidarietà esiste tra la popolazione locale pure una buona dose di paura. Ad aggravare la situazione sono le fake news sui migranti che si moltiplicano in modo esponenziale. Sono costruite ad arte con lo scopo di far crescere il timore di un’”invasione” e dei pericoli che questa potrebbe comportare. Qualcuno cade nella trappola, anche se i fruitori della rete non sono poi così sprovveduti. La conferma che, il più delle volte, i post siano delle fake è arrivata pure dalla polizia, sia quella bosniaca che croata, che smentisce episodi di violenza denunciati nell’uno e nell’altro Paese. Ciò non significa che la situazione sia tranquilla. Con i primi freddi si potrebbero verificare problemi seri visto che le tende dove sono stati sistemati non basteranno e per questo l’UNHCR, l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati, sta inviando accorati appelli. Il nervosismo, in attesa che il destino di queste migliaia di persone assiepate al confine tra Bosnia e Croazia venga chiarito, non potrà che aumentare, alimentando conflitti e intolleranza. I migranti continueranno a cercare vie sicure per transitare. Ma l’inverno, lo sappiamo, per chi si muove in montagna a piedi, rappresenta una grande sfida e un grande pericolo.

Fragili equilibri

La situazione è quindi assai tesa e gravida di pericoli, poiché la presenza di migliaia di migranti quasi esclusivamente di religione musulmana rischia di far saltare il già fragilissimo equilibrio tra le etnie in Bosnia-Erzegovina. Vi è inoltre la concreta possibilità che l’estremismo jihadista, molto florido tra i musulmani di Bosnia seppure ancora sottotraccia, possa trovare in questa massa di disperati le manovalanza per future azioni terroristiche nell’Europa occidentale.
Dal punto di vista politico regna l’incertezza più totale, i governi di Bosnia-Erzegovina e di Croazia non sanno cosa fare per arginare questa situazione. La Bosnia-Erzegovina, sapendo di essere solamente un Paese di passaggio, si limita a gestire alla meno peggio l’emergenza esistente sul suo territorio, riuscendo al massimo, di tanto in tanto, a calmare gli animi e i migranti che avevano bloccato i posti di frontiera con la Croazia.

Accogliere o allontanare?

La Croazia si divide sui migranti. Ma c’è chi ha idee molto chiare sulla questione. Tra questi una neo acquisizione di Most/Ponte: il dottor Nizar Shoukry, cittadino croato di origini siriane, residente a Zagabria dal 1984. In occasione della crisi dei migranti del 2015 aiutò la Polizia come traduttore presso i centri di accoglienza della Slavonia orientale ai confini con la Serbia. Di recente il dottore ha affermato che la Croazia deve fermare questo fiume di persone che entrano nel Paese senza documenti, e a questo scopo si dovrebbero costruire fortificazioni lungo il confine e inviare ai posti di frontiera l’esercito, la cui presenza incuterebbe timore nei migranti e li farebbe desistere dai loro propositi.
“Siamo dispiaciuti per le sofferenze di queste persone – ha rilevato Shoukry – tuttavia al primo posto deve essere la sicurezza dei confini e quella dei cittadini”. Parola di migrante di origini arabe, regolare e perfettamente integrato nel Paese dove vive. Ma la sua uscita non è stata gradita da numerose forze politiche come nemmeno dalle organizzazioni umanitarie che si occupano di assistenza e cercano di garantire alle persone in fuga un minimo di sicurezza e dignità.

Il Compact divide

La questione migranti ha fatto nascere una lite tra la presidente croata Kolinda Grabar Kitarović e il Ministero degli esteri croato. Il pomo della discordia riguarda la decisione della Presidente di non partecipare al Global compact sui migranti previsto a Marrakech in Marocco l’11 e il 12 dicembre prossimi. Tale presa di posizione è stata cristallizzata dopo che altri Paesi come Austria e Ungheria hanno deciso di non aderire all’incontro, il primo di questo tipo promosso dalle Nazioni Unite con l’intento di individuare un approccio globale al problema migratorio che riguarda in questo momento, a livello globale, 258 milioni di persone. A rappresentare la Croazia sarà probabilmente qualche ministro. Ma sin d’ora è chiaro che anche sul Compact in Croazia non c’è unità d’intenti. Figuriamoci sul resto…

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