Le volpi e i cuor di leone

Capodistria, Isola e Pirano diventano sempre più slovene, mentre gli italiani giocano il ruolo di una folcloristica reliquia racchiusa in organizzazioni e associazioni sempre più elitistiche e meno numerose, convinte che il loro compito sia collaborare e soprattutto non irritare la maggioranza, che magnanimamente già tanto concede alla minoranza. Ne esce una Comunità nazionale molto tutelata sulla carta, ma anche addestrata a non abusare dei diritti che in teoria avrebbe e soprattutto a non protestare

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Le volpi e i cuor di leone
Pirano Foto Goran Žiković

Una strategia di lungo periodo perseguita con costanza, perseveranza e passione dove ogni targa, ogni cartello, ogni pubblicità e ogni discorso pubblico senza italiano sono un piccolo passo verso la vittoria finale. Quello di slovenizzare definitivamente la Costa è un progetto nato nell’immediato dopoguerra e portato avanti con fermezza e anche con sagacia. Quando è servito, le autorità hanno saputo fare un passo indietro e a volte anche due per poi farne tre in avanti. Proprio per questo nulla accade in maniera repentina, niente viene cancellato dall’oggi al domani, semplicemente tutto viene lentamente eroso facendo sembrare che sia stato sempre così.
Intanto, Capodistria, Isola e Pirano diventano sempre più slovene, mentre la Comunità italiana gioca il ruolo di una folcloristica reliquia racchiusa in organizzazioni e associazioni sempre più elitistiche e meno numerose, convinte che il loro compito sia collabora e soprattutto non irritare la maggioranza, che magnanimamente già tanto concede alla minoranza. Ne esce una Comunità nazionale molto tutelata sulla carta, ma anche addestrata a non abusare dei diritti che in teoria avrebbe e soprattutto a non protestare.

Un dettaglio di Palazzo Pretorio a Capodistria Foto Goran Žiković
Un dettaglio del Palazzo della Foresteria (Albergo nuovo) a Capodistria, oggi sede dell’Università del Litorale. Foto Goran Žiković

TARGHE E TABELLE, VERSO LA RESURREZIONE. Il 2024 per la minoranza in Slovenia è stato caratterizzato dalla questione targhe e tabelle. Potrebbero essere queste le parole simbolo dell’anno, la cartina al tornasole di quanto sta accadendo sotto gli occhi di tutti senza che si riesca a correre ai ripari. Ma andiamo con ordine. A Capodistria a fine agosto il sindaco Aleš Bržan ha fatto rimuovere le targhe con gli odonimi storici che indicavano le denominazioni storiche delle antiche vie e piazze nel centro. I cartelli erano stati affissi anni fa non senza polemiche e non erano altro che un parziale risarcimento per la cancellazione dell’identità storica della città messa in atto nel dopoguerra dalle autorità comuniste.
A ingiungere la loro rimozione, una delibera dei servizi ispettivi del ministero della cultura, che constatava che quelle targhe non rispettavano i dettami previsti dalla legge sull’uso pubblico della lingua slovena. Il procedimento è scattato a seguito della denuncia arrivata dall’unico frate presente oggi nel convento di Sant’Anna, che si era opposto a far affiggere la targa con la dicitura “già Riva Sant’Anna” sul muro perimetrale del convento che dava sulla strada oggi intitolata all’eroe popolare partigiano Janko Premrl – Vojko. Avrebbe voluto che il toponimo fosse tradotto anche in sloveno.
La decisione del sindaco di far togliere le targhe è stata salutata con favore da gran parte dei rappresentanti della comunità italiana, che ci hanno tenuto a sottolineare la genialità del primo cittadino, visto che non le aveva proprio rimosse dai muri, ma si era limitato a farle girare in modo che la scritta fosse celata ai passanti. La sua solenne promessa è stata che la questione si sarebbe risolta “in alcune settimane” e che le diciture italiane sarebbero ritornate al loro posto.
Le targhe sono ancora girate. I rappresentanti della minoranza dicono che stanno seriamente lavorando per risolvere la faccenda, che gli odonimi non verranno tradotti in sloveno e che ci vorranno comunque ancora “alcune settimane”, forse mesi. Prima parlavano della fine dell’anno, adesso il traguardo è metterle prima di Pasqua, non è chiaro se il riferimento sia a quella che verrà a fine già ad aprile del prossimo anno.

Isola. Foto Goran Žiković
Una veduta di Isola. Foto Goran Žiković

DISARMANTI BANALITÀ E INCONGRUENZE. A Capodistria, comunque, si collabora bene con l’amministrazione Bržan. Nel 2024 si sono celebrati i 1500 anni della fondazione cittadina. Per ricordare l’evento non sono mancate una serie di iniziative a cui hanno partecipato con slancio ed entusiasmo anche le organizzazioni della minoranza. In una mostra organizzata dal Comune si sono liquidate le vicende legate all’esodo con disarmante banalità, spiegando sbrigativamente che la popolazione autoctona era “emigrata”. Alla fine, dopo qualche protesta il riferimento all’emigrazione è sparito, ma è stato spiegato che, comunque, al suo posto non era possibile usare il termine “esodo”.
Che le cose funzionino è testimoniato anche dalle nuove insegne affisse sui palazzi cittadini di particolare valore storico. Prima di attaccarle gli incaricati del sindaco hanno chiesto consiglio ai rappresentanti della minoranza, che si sono subito messi di buzzo buono per trovare i nomi antichi e per correggere le molte incongruenze presenti nella lista fornita dal Comune. Sono stati ascoltati. Alla fine, però nelle insegne la dicitura slovena è evidenziata, quella in italiano e in inglese no. Una soluzione simile a quella già adottata nelle carte d’identità.
I responsabili del Comune precisano di aver seguito alla lettera i dettami previsti dal manuale emesso anche questa volta dal Ministero della Cultura. Una violazione palese del decreto sul bilinguismo emanato dallo stesso Comune, che i funzionari comunali non hanno esitato a non rispettare. Non risulta che nessuno abbia segnalato la faccenda ai locali servizi ispettivi e nemmeno che qualcuno si sia mosso per far togliere le targhe incriminate almeno dai palazzi del potere della minoranza. In conclusione, saranno i risultati a parlare e spetterà al tempo giudicare l’azione politica fin qui condotta.

PIAZZA TITO E (SANTA) LUCIA. Le cose, comunque, non sono sempre andate bene. Come ricorda Aurelio Juri, storico sindaco di Capodistria, nel 1992 partì l’iniziativa per cambiare il nome di Piazza Tito. Dopo due anni di consultazioni c’era l’accordo tra i partiti e anche con l’Associazione dei combattenti della Lotta popolare di Liberazione. Avrebbe dovuto chiamarsi Piazza Civica. Le tre camere di allora dell’Assemblea comunale votarono per la modifica, ma la quarta camera, l’equivalente dell’odierna Comunità autogestita, all’ultimo momento negò il suo appoggio, chiedendo che fosse adottato il nome di Piazza del Duomo.
All’epoca gli unici a insistere per questa soluzione erano gli uomini del vescovo. Così il Comune commissionò un sondaggio. Il 64% dei capodistriani si disse favorevole a mantenere la piazza intitolata al Maresciallo e nessuno riaprì più la questione. Per Juri, quindi, se c’è ancora Piazza Tito la colpa è della Comunità autogestita della nazionalità italiana dell’epoca.
Un simile scenario potrebbe aprirsi anche a Pirano, dove all’inizio di questo mandato il vicesindaco Christian Poletti aveva annunciato la disponibilità del sindaco Andrej Korenika ad aprire la porta alla modifica del nome italiano di Lucia in Santa Lucia.
Da allora nulla si è mosso e nessuno sembra impegnarsi per far muovere qualcosa. Alla fine, i più saggi appaiono gli isolani, che in città non hanno le targhe con gli antichi odonimi e non si preoccupano della mancanza di un nome italiano per Jagodje. Quando se ne discusse anni fa si azzuffarono tra loro per decidere se dovesse chiamarsi in un modo o in un altro, poi lasciarono perdere.
Non c’è da sorprendersi. Riccardo I d’Inghilterra passò alla storia per la coraggiosa abitudine di combattere sempre in prima fila tra i suoi soldati. I “Cuor di Leone” tra i dirigenti della minoranza sembrano, invece, essere assai rari. Purtroppo, non abbondano nemmeno le volpi e i fini strateghi.

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