La voce del territorio

Tra informazione e intrattenimento, da settant’anni crea cultura, presenza, identità, sempre pronta a cogliere le nuove sfide. La storia, il ruolo e il futuro dell’emittente secondo Antonio Rocco, vicedirettore generale della RTV di Slovenia, con delega per i programmi in lingua italiana

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La voce del territorio

È sì “the boss”, ma anche la memoria storica dell’emittente della Comunità nazionale italiana, e uno che la professione la conosce a fondo. Antonio Rocco, vicedirettore generale della RTV di Slovenia, con delega per i programmi in lingua italiana. Impiegato a RC dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, il suo primo contatto con l’emittente avvenne quattro anni prima, nel ’76, quando ancora sedeva tra i banchi del ginnasio italiano di Pola. Lo incontro nel suo ufficio al quarto piano della sede di Radio Capodistria. Non avevo avuto l’occasione di conoscerlo in precedenza e m’immaginavo un vicedirettore generale della RTV Slovenia come uno di quei gerarchi in giacca e cravatta, seri, dei film americani degli anni ’90. L’aspetto esteriore è quello, la serietà pure, ma non c’è il “sergente di ferro”: mi sono trovato di fronte a una persona preparata, gentile, disponibile, un uomo di cultura, che per anni ha fatto il giornalista e che si è “trasformato” in manager per esigenze di lavoro. Ma, soprattutto, è uno che vive il contesto minoritario nel suo più ampio spettro, con il suo attaccamento a Radio Capodistria che traspare da ogni risposta, che si respira nell’aria.

Radio Capodistria ha celebrato settant’anni di vita e attività. Partiamo proprio dai primi passi, da quel lontano 1949.

“All’epoca in quest’area c’era la ‘Zona B’ del territorio libero di Trieste, istituita dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con il Trattato di Pace. Non erano ancora definiti i confini tra l’allora Jugoslavia e l’Italia. A occuparsi del territorio era l’amministrazione militare jugoslava, che pensò, in un periodo in cui c’era da condurre anche una battaglia propagandistica per la spartizione del territorio e per il raggiungimento di un accordo sui confini, di istituire un’emittente radio, trasferendo quella che era l’informazione in lingua italiana da Belgrado a Capodistria. Nasceva così un’emittente radio con mezzi pionieristici, un trasmettitore molto piccolo, spazi improvvisati. L’azienda si chiamava Radiofonia SA, avviò il programma Radio Trieste Zona Jugoslava. È importante sottolineare che la Radio non nasce solamente con ambizioni di propaganda, ma è stata capace di attirare da subito intellettuali, giovani, persone ambiziose con grandi idee, uno su tutti Fulvio Tomizza, poi tanti altri, come Anton Marti, uno dei pionieri della televisione sia in Slovenia che in Croazia. La radio partì con tanto entusiasmo e pochi mezzi. Nel 1954, con la firma del Memorandum di Londra, con i confini ormai stabili, sembrava che la missione dell’emittente fosse esaurita. Seguì un primo periodo buio. Da Lubiana giunse un funzionario con l’intenzione di chiuderci. Poi per fortuna cambiò idea, scegliendo di fare proseguire i programmi, combattendo una propria battaglia anche personale per salvare la Radio. Superate le tensioni tra gli Stati, in un clima di maggiore collaborazione tra Italia e l’allora Jugoslavia, Radio Capodistria ha svolto un ruolo di collante in questi territori proprio perché trasmetteva in lingua italiana, fino al 1956 anche in sloveno e croato, poi solo in sloveno. Grazie all’entusiasmo dei pionieri e a trasmissioni di enorme successo come Musica per voi, Radio Capodistria ha avuto un enorme successo anche in Italia, dove all’epoca non vi erano ancora radio private e dove nella zona adriatica RC registrava picchi di un milione di ascoltatori al giorno”.

Un media all’avanguardia

Radio Capodistria, in due periodi distinti, è stata presente sul mercato radiofonico milanese.

“Infatti, il successo degli ascolti creò le condizioni per raggiungere anche il successo commerciale. Una concessionaria di Trieste, di proprietà della minoranza slovena, prelevò il segnale di Radio Capodistria sviluppando reti di trasmettitori che coprivano po’ tutta l’Italia. Negli anni ’70-’80, con l’agenzia Radio Reti, riuscimmo ad avere una frequenza in FM su Milano, che all’epoca, come d’altronde lo è ancora oggi, era il centro commerciale, industriale, economico e finanziario italiano. La Radio ebbe così un grandissimo sviluppo, partito negli anni ’60 e poi cresciuto particolarmente negli anni ’70 e anche negli anni ’80, che permise di fare un salto anche organizzativo. Le redazioni si ampliarono, la programmazione si aggiornò, come del resto l’aspetto tecnologico, dando alla Radio quella spinta che consentì l’ulteriore crescita”.

Con il successo della Radio si pensò di puntare anche a un’offerta televisiva…

“Sulla scia del successo di RC, sempre con dei partner commerciali in Italia, si pensò di sviluppare anche un’offerta televisiva. Nacque così Tv Capodistria, prima in una fase sperimentale, verso la fine degli anni ’60 e poi dal 1971 Radio Capodistria iniziò a trasmettere anche sui grandi schermi. Ben presto la tv si mise in proprio ed ebbe lo stesso, se non maggiore, successo di Radio Capodistria, sia per i programmi, che erano fortemente innovativi, sia per un motivo tecnico, perché iniziò a trasmettere subito a colori, mentre all’epoca c’era solamente il bianco e nero”.

Per certi versi, Tv Capodistria fece da apripista al passaggio al colore anche in Italia…

“Le racconto un aneddoto. Si stava sviluppando questa nuova tecnologia e Tv Capodistria decise di mettere il trasmettitore a colori sul monte Nanos, decisione che creò non poco scompiglio in Italia, perché il Paese doveva decidere quale tipo di tecnologia adottare per sviluppare il colore. C’era un sistema tedesco e uno francese, il Pal e il Secam, e l’Italia era quasi pronta a passare al francese Secam, mentre noi iniziammo a trasmettere da subito in Pal. Alla fine, anche l’Italia optò per questa scelta tecnologica. Per noi era più facile, perché dovevamo mettere un solo trasmettitore, mentre la RAI doveva cambiare tutti i suoi presenti sull’intero territorio nazionale”.

Poi arrivarono tv e radio private….

“E le cose cambiarono notevolmente. C’era molta più concorrenza sul mercato. Nel ’91 fu approvata la Legge Mammì, che impediva la ritrasmissione in diretta su territorio italiano di programmi televisivi esteri. In quell’occasione si ruppe il giocattolo per quello che riguardava la tv. Nel frattempo, la Slovenia divenne Stato indipendente e quello che era un sistema legato al regime precedente cadde. La radio e tv a Capodistria si sono trasformati, anche grazie alla legge sul servizio pubblico, in emittenti per la Comunità nazionale italiana. Noi siamo qui perché c’è un dettame costituzionale che dice che gli appartenenti alla CNI hanno diritto ai propri mezzi di comunicazione in italiano. mandiamo in onda solo dalla Slovenia. Oggi facciamo parte del servizio pubblico radiotelevisivo sloveno, siamo finanziati dal canone e in parte anche dal bilancio dello Stato”.

Qual è il suo primo ricordo legato a Radio Capodistria?

“È una storia interessante. Frequentavo il ginnasio italiano a Pola, eravamo all’ultimo anno proprio nei giorni in cui uscivamo dalla scuola. Una mattina venne in classe una troupe di RC che aveva con sé il Nagra, uno di quei registratori professionali che pesavano 10 kg. A presentarceli fu il nostro professore dell’epoca. Ci spiegarono che erano interessati a registrare la nostra voce per vedere se tra di noi potevano trovare futuri collaboratori. Pareva che fosse finita lì, invece dopo un po’ di tempo mandarono a me e ad altri compagni l’invito di venire a Capodistria, dove affrontammo ulteriori prove. Superate queste, mi ritrovai a studiare a Zagabria, grazie alla borsa di studio di Radio Capodistria. E così iniziò la mia storia con RC. Il mio avvio al giornalismo però è stato a ‘La Voce del Popolo’, in terza e quarta ginnasio, d’estate, a fare un paio di mesi di pratica giornalistica nella redazione di Pola. Ricordo con grande affetto il grande maestro di giornalismo che fu Luigi Barbalich”.

Quali sono stati i periodi più difficili per RC?

“Ci sono state delle recessioni, che alla fine sono state crisi di sviluppo. Nel ’54-’55, Radio Capodistria doveva chiudere, ma grazie alla passione di chi ci lavorava si riuscì a evitare questo pericolo. Un altro momento di svolta è stato lo sviluppo delle reti in modulazione di frequenza. Prima si trasmetteva solamente in onde medie, con un unico trasmettitore, e si divideva la frequenza con i colleghi sloveni. Poi nel ’79, con lo sviluppo delle reti in modulazione di frequenza, abbiamo potuto separare i programmi in due reti separate complete. È stato un momento delicato, perché prima ci presentavamo insieme e tutto d’un colpo ci siamo ritrovati ognuno per sé sotto lo stesso tetto, a sviluppare un qualche cosa che poteva diventare anche concorrenza. Poi ricorderei il ’91, con l’indipendenza della Slovenia, in cui tutto quanto stava cambiando. Nel 1994 è stata approvata una legge sul sistema pubblico radio televisivo in Slovenia e, grazie anche al fatto che la CNI al momento dell’indipendenza aveva ottenuto dal governo sloveno rassicurazioni che tutti i diritti acquisiti sarebbero rimasti, anche RC e TVC hanno potuto mantenere il proprio ruolo, inserite nel contesto di ristrutturazione completa dell’emittenza pubblica, con il particolare ruolo di emittenza per la CNI. Questo è il nostro ruolo principale, ma non abbiamo mai rinunciato al nostro carattere transfrontaliero”.

La situazione non è rosea nemmeno oggi.

“Oggi ci ritroviamo sicuramente in un momento di grande crisi, perché tutto il sistema radiotelevisivo pubblico in Slovenia è in forte difficoltà a causa dei finanziamenti, con il canone bloccato ormai da dieci anni. Noi abbiamo dei problemi seri per il finanziamento dei programmi, soprattutto per il recupero dei posti di lavoro. Probabilmente oggi stiamo attraversando una delle più gravi crisi della storia della radio. Se non ci sarà un intervento del governo sull’ammontare del canone radiotelevisivo potrebbero esserci dei serie ripercussioni sul nostro lavoro. Siamo molto preoccupati, lavoriamo a stretto contatto con i vertici istituzionali della CNI per ottenere delle garanzie che riguardano le emittenti e i posti di lavoro in quanto tali, ma soprattutto puntiamo a garantire il diritto alla CNI di mantenere le proprie emittenti anche in futuro”.

Essere multimediali necesse est

Quali sono le principali attuali sfide per RC oltre a quelle legate ai finanziamenti?

“Stiamo lavorando molto sui nuovi sistemi multimediali, l’app, il portale, i social, Facebook soprattutto. Proprio di recente abbiamo proposto di creare una struttura più autonoma all’interno della RTV e oggi per quanto riguarda la linea editoriale e le scelte dei programmi siamo più autonomi e indipendenti. Dal punto di vista organizzativo e finanziario, siamo molto dipendenti dal Centro regionale di Capodistria. Chiediamo di avere dal bilancio statale importi che ci garantiscono di pensare allo sviluppo futuro, perché non possiamo rimanere in bilico. Nel momento in cui il sistema RTV entra in crisi, se noi non abbiamo questa garanzia, rischiamo molto più degli altri, rischiamo di venire relegati a dimensioni minime”.

Che futuro attende RC? Ha ancora qualche sfida professionale che vorrebbe affrontare?

“Personalmente, spero di portare a termine questo passaggio al digitale, la creazione del terzio media, radio, tv e multimedia, con una terza redazione, multimediale, che possa portare avanti in maniera professionale, adeguata, con maggiore autonomia un discorso che riguarda esclusivamente questo mondo. L’ambizione più grande, sulla quale ho lavorato dal primo giorno, è fare arrivare il segnale di Radio e Tv Capodistria nelle case di tutti i nostri connazionali. È un problema storico, che non riguarda gli ultimi anni, che abbiamo cercato di risolvere in vari modi, uno dei quali anche attraverso Internet. Negli anni passati avevamo superato il problema grazie al satellite, ma quest’opzione si sta esaurendo pian piano e quest’anno scade il contratto con la ditta Eutelsat, che gestisce il satellite. Abbiamo il timore di perdere il satellite e di non avere l’opzione adeguata per sostituirlo. Spero che riusciremo a trovare una soluzione per il suo finanziamento, perché lo dobbiamo al nostro pubblico, sia in Istria ma anche in Italia”.

E per i media della CNI in generale che futuro prevede?

“Stiamo attraversando tutti un momento di grave difficoltà, di crisi, soprattutto finanziaria, non direi di idee, di volontà, di passione. Il momento non è dei più semplici, sta cambiando, è cambiato l’universo nel quale funzioniamo, ormai Internet, i social, la fanno da padrona e ho il timore che noi siamo rimasti un po’ nella convinzione che radio, tv e carta stampata siano i mezzi più adatti per fare informazione, cultura, proporre la nostra lingua. Dovremo pensare a lavorare di più e meglio sui sistemi multimediali, perché evidentemente anche lì si trova e sempre più si troverà il nostro pubblico. Faccio un esempio: qua in Slovenia c’è un sistema di rilevamento degli ascolti che si chiama radiometria, di recente hanno cambiato il sistema di rilevamento dei dati di ascolto inserendo anche una parte degli ascolti recuperati tramite Internet e social. RC è passata da duemila ascolti giornalieri a cinquemila nel giro di qualche mese, proprio per il cambio di metodologia. Con il lavoro che stiamo facendo, siamo riusciti a pescare grazie ai social e al portale tremila ascoltatori in più in questa zona, dove l’italiano è sì presente, ma non certo ad alte vette”.

“Parlando a livello generale, dobbiamo riuscire a dare stabilità alle nostre redazioni. Sarebbe bene iniziare a pensare a medio termine, cercare le persone adatte, che conoscono la nostra realtà, farle crescere e dargli un opportunità. L’EDIT, come uno dei pilastri della presenza della cultura italiana sul territorio, dovrebbe avere maggiori certezze dai finanziatori. Nel tempo abbiamo collaborato, ma non come potevamo, potremmo fare di più e meglio. Qualche anno fa si pensava di trovarci sul digitale, sulla multimedialità. Anche voi state sviluppando molto bene il vostro portale informativo e in questa direzione potremmo andare insieme. Senza fare critiche a nessuno, in seno all’Unione Italiana non abbiamo più la possibilità di trovarci in qualche comitato o commissione, invece una volta c’erano questo tipo di incontri. Sono dell’avviso che in tempi non troppo lunghi si potrebbe pensare di avere un incontro tra le dirigenze dei media della CNI e l’UI per vedere se possiamo sviluppare un progetto comune almeno nel campo della multimedialità, creare qualche cosa insieme, per aiutarci a vicenda. Mi farò portavoce di questa iniziativa”.

Istruzione e imprenditoria fondamentali per il rilancio

I media sono protagonisti e spettatori del loro tempo, specchio della società. Una sua considerazione sullo stato di salute della CNI…

“Bella domanda. Naturalmente, la minoranza soffre del fatto di essere numericamente piccola. E l’essere dispersi in piccole comunità sul territorio non aiuta. Detto questo, penso che tutte le strutture, noi come radio, le scuole, le comunità degli italiani, e altre stiano funzionando e bene. Le scuole, in particolare, dovrebbero essere il primo termometro per verificare lo stato di salute, ed emerge che si sono difficoltà dal punto di vista del livello di qualità della lingua italiana sia da parte di chi le frequenta, che da parte dei professori. Probabilmente questo è dovuto al fatto che la lingua italiana in questi territori sta calando per vari motivi, è cambiata la demografia. Noi cerchiamo di uscire dal nostro piccolo mondo della CNI, cerchiamo di mostrare questa nostra presenza. Penso che il progetto da cui partire per un rilancio dovrebbe riguardare il mondo delle scuole, poi dovremmo lanciare anche una serie attività economica. Qui per diversi anni si sono utilizzati mezzi del bilancio dello Stato per l’attività economica della minoranza italiana, ma è stato fatto poco o nulla. Da due anni a questa parte sono stati pubblicati dei bandi per gli imprenditori, che stanno dando i primi risultati. Sul territorio si stanno insediando sempre più cittadini italiani, che vengono qui a lavorare, a vivere, si trasferiscono per vari motivi, e noi dovremmo inserirli in maniera adeguata nella nostra realtà. La situazione non è rosea, ma le possibilità di sviluppo ci sono, la passione e l’impegno di certo non ci mancano”.

Aljoša Curavić, caporedattore responsabile di Radio Capodistria

Aljoša Curavić, caporedattore responsabile: “Siamo cresciuti magrado tutto”

Radio Capodistria, la Radio per la Comunità nazionale italiana, compie settanta anni. È una data importante, perché è anche scontato dire che settant’anni sono tanti, per un’emittente che ha attraversato un arco di tempo molto travagliato, non facile per queste terre – ricorda Aljoša Curavić, caporedattore responsabile di Radio Capodistria –. Che ha visto e dato voce a tante storie. Nata come cassa di risonanza del regime jugoslavo, comunque contribuendo non poco all’apertura di quest’area verso l’Occidente durante la cortina di ferro, negli anni si è sviluppata in due programmi, due emittenti autonome ben distinte all’interno del sistema pubblico della radiotelevisione slovena. Quella che dà voce alla popolazione slovena, e la nostra, che dà voce alla comunità nazionale italiana del territorio, di tutto il territorio, anche al territorio della memoria. Anche oggi, malgrado il confine che divide l’Istria, la Slovenia e la Croazia, i due Stati che oggi si condividono la minoranza italiana. Malgrado i nuovi nazionalismi o sovranismi, che rendono più difficile il dialogo e la sopravvivenza delle minoranze. Negli anni radio Capodistria è cambiata molto. Ha attraversato la caduta del muro di Berlino, che ha segnato la disfatta dei regimi comunisti, lo scioglimento della Jugoslavia e la nascita di nuovi Stati. Ha attraversato le crisi economiche che hanno provocato, o che sono state usate come pretesto per provocare drastici tagli ai nostri organici. Ma, dopo settanta anni, dopo tutti i tagli all’organico e ai mezzi, siamo ancora qui, ventiquattro ore al giorno in lingua italiana e con buona musica, con un nostro pubblico, che c’è. E siamo anche cresciuti su nuove piattaforme, per dare voce non soltanto alla Comunità italiana, ma anche alle altre minoranze e alla dimensione multiculturale del nostro territorio”.

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