L’occasione perduta

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L’occasione perduta

I partiti di sinistra hanno mancato l’appuntamento con la storia e per questo sono entrati in crisi. E ciò vale non solo per la Croazia, ma anche per l’Italia e l’Europa intera. Quello che sta succedendo in tutte le democrazie occidentali non è un ammutinamento repentino dell’elettorato progressista ma è l’esito di uno iato storico che va ampliandosi da almeno tre decadi tra la sinistra e il popolo.
Perché mentre il mondo cambiava e le premesse della socialdemocrazia post bellica diventavano anacronistiche, l’intellighentia al potere non è stata in grado di captare il malcontento del suo elettorato e di comprendere che, in un mondo sempre più globalizzato, digitalizzato e frammentato parlare di partito operaio, lotta di classe, conflitti di capitale e proletarizzazione dello Stato non aveva più senso.
A entrare in crisi, infatti, è stato il concetto stesso di sinistra storica che ha ceduto il passo a chi è stato in grado di trasformare e attualizzare i valori socialdemocratici.

Diffusione del precariato

Ripercorrendo la storia dell’ultimo ventennio ci si trova, infatti, faccia a faccia con quella rivoluzione tecnologica e digitale che ha modificato la geografia degli impieghi con quella che era la classe operaia che ha ceduto il passo ai computer e ai robot e che ha dovuto riciclarsi lasciando, peraltro, un vuoto professionale alle generazioni future.
E così il giovane che fino a un ventennio fa avrebbe cercato lavoro in fabbrica si è trovato nella condizione di trovare un altro modo per sopravvivere, entrando nel vortice dei contratti a termine, delle collaborazioni occasionali, degli stage non pagati e trasformandosi in un precario in eterna attesa di rinnovo del contratto di lavoro.
Il precariato strutturale ha determinato la perdita della fiducia nella vecchia politica e soprattutto nella rappresentanza sindacale che veniva intercettata dalle sinistre del mondo.
I progressisti non hanno avuto la lucidità d’intercettare l’insoddisfazione di quei lavoratori vittime del nuovo precariato di massa, di quei neo-proletari figli di una classe operaia che non c’è più.

Risultati catastrofici

Ma in genere nel mondo le cose non vanno per niente meglio per progressisti, laburisti e democratici. In quasi tutta Europa, infatti, i partiti socialdemocratici e socialisti lamentano una perdita di consenso. La socialdemocrazia europea lotta per la sopravvivenza politica, dall’inizio del nuovo millennio ha perso consensi alle elezioni in 15 Paesi e talvolta in maniera clamorosa.
In Germania il risultato conseguito dall’Spd alle elezioni federali del 2017 (il 20,5 per cento) è stato il peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale. Eppure intorno al volgere del millennio il partito era ancora la forza politica dominante. Nel 1998 i socialdemocratici guidati da Gerhard Schröder avevano ottenuto più del 40 per cento dei voti e il 38,5 per cento nel 2002, riconfermando il cancelliere. Ma da allora il partito è alla deriva. Soprattutto all’indomani della nascita della grande coalizione (dal 2005), gli elettori hanno punito la sinistra, come dimostra il consenso crollato di oltre dieci punti percentuali. Dopo una timida ripresa nel 2013, l’andamento negativo è continuato.
In Francia lo scorso anno il Partito socialista (Ps) è sprofondato nella sua crisi peggiore.
Anche nei Paesi Bassi e in Repubblica Ceca i partiti socialdemocratici hanno ottenuto solo risultati a una cifra alle elezioni parlamentari e, rispetto alle consultazioni precedenti, hanno perso rispettivamente 19 e 13 punti percentuali.
In Grecia il declino è cominciato già diversi anni fa. Dopo l’inizio della crisi del debito sovrano il Movimento socialista panellenico (Pasok), che era al governo, ha subito una sconfitta clamorosa perdendo la maggioranza assoluta in Parlamento. Alle elezioni del 2012 ha perso più di 30 punti percentuali e nel 2015 è sprofondato ulteriormente e il Pasok oggi non ha quasi più voce in capitolo.
In Austria alle ultime elezioni il Partito socialdemocratico (SpÖ) ha in parte riconfermato il risultato di quattro anni fa, tuttavia non è più al governo e negli ultimi 15 anni ha perso quasi dieci punti percentuali.
In Italia, in Spagna e in Portogallo nel primo decennio del nuovo millennio i partiti socialdemocratici hanno ancora ottenuto risultati elettorali superiori al 40 per cento. Tuttavia tali cifre sono un lontano ricordo: il Partito socialista spagnolo (Psoe) ha ultimamente ottenuto poco più del 22 per cento dei consensi.
Anche in Svezia e in Finlandia i risultati elettorali incassati dai socialdemocratici sono diminuiti in maniera costante negli anni a cavallo tra un millennio e l’altro. La forza lavoro è frammentata e gli ambienti che hanno appoggiato i socialdemocratici per decenni si sono dissolti.

Dissolto l’appoggio

Dopo il tracollo subìto all’inizio del millennio in Norvegia il Partito laburista (Ap) si era ripreso. Nel 2001, dopo più di 40 anni al potere, l’Ap aveva perso oltre dieci punti percentuali ottenendo il 24,3 per cento dei consensi, passando di nuovo all’opposizione. Grazie a uno spostamento a sinistra, l’Ap era comunque riuscito a compensare le perdite. Dalle elezioni del 2009 il partito è di nuovo in affanno e nel 2017 si è attestato al 27,4 per cento. Nel 2017 alla elezioni parlamentari il Partito laburista (di matrice socialdemocratica) aveva ottenuto il 27,4 p.c. dei consensi.
In Francia il socialista Hollande, nel 2017, non ha neppure avuto il coraggio di ripresentarsi all’Eliseo spianando la strada all’ibrido tentativo centrista di Macron di sostituirsi a una sinistra che non è più di sinistra. Addirittura Macron è arrivato al ballottaggio con l’estremista di destra Marine Le Pen, mentre il candidato della sinistra moderata francese, Benoit Hamon, ha ottenuto solo il 6,4% dei voti.

Diverse ragioni e scenari

Naturalmente in ogni Paese ci sono ragioni diverse e di carattere individuale che spiegano tali sviluppi. Esistono però anche fattori che spiegano la crisi sia dei socialisti sia dei socialdemocratici in molti paesi. Innanzitutto i partiti hanno perso molti elettori fedeli.
A causa delle nuove tecnologie, gli impieghi nel settore industriale diventano superflui, oppure sono dirottati verso paesi con livelli salariali più bassi. Alla forza lavoro permanente retribuita con salari elevati si contrappongono i lavoratori interinali che spesso svolgono le stesse mansioni con salari inferiori. In Germania, negli ultimi cinquant’anni la percentuale di lavoratori tradizionali è diminuita, passando dalla metà a meno di un quarto della popolazione attiva. I sondaggi evidenziano che i lavoratori non scelgono più solo i socialdemocratici.
In secondo luogo, nell’ultimo decennio o ventennio sono emersi partiti estremisti che hanno ottenuto consenso. I partiti socialisti e populisti di sinistra sono riusciti a convincere gli elettori che alle precedenti consultazioni avevano scelto i socialdemocratici. È successo così grossomodo con Syriza in Grecia, ai partiti di sinistra in Portogallo e Danimarca o in Germania alla Linke, nata dalla fusione tra il Partito del socialismo democratico (Pds) della Germania dell’Est e il movimento Lavoro e giustizia sociale-Alternativa elettorale (Wsg) della Germania Ovest.
Al contempo anche i partiti populisti di destra si rivolgono alla restante classe lavoratrice tradizionale. È il caso del Front national in Francia, del Partito della libertà austriaco (Fpö), del Partito per la libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi e di Alternative für Deutschland in Germania.
Quale futuro si profila per la socialdemocrazia europea? Come intende affrontare le sfide di un mondo globalizzato e digitalizzato? Potrà riconquistare la fiducia degli elettori? Il primo grande test saranno le elezioni europee di maggio. A quel punto tante cose saranno, si spera, più chiare.

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