Incantevoli declinazioni… al femminile

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Incantevoli declinazioni… al femminile

l centro dell’arcata principale della sala “Arturo Vigini” del Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata campeggia un raro bozzetto di Leopoldo Metlicovitz (1868 – 1944), realizzato per la Lottera ippica di Merano nel 1938. Una “chicca” che risplende di una luce diversa se pensiamo che proprio in queste settimane Trieste, nell’attiguo Civico Museo Sartorio (che la ospita insieme con il Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”), dedica al noto pittore, illustratore, scenografo teatrale e pubblicitario italiano la prima grande retrospettiva monografica (L’arte del desiderio. Manifesti di un pioniere della pubblicità), nel 150° della nascita. Il tassello metlicoviciano che l’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata ha recuperato ed esposto al pianoterra del palazzo di via Torino 8, compone invece il percorso di un’altra rassegna, che come il poster – e tanti altri lavori dell’artista cartellonista triestino –, ha al centro la figura mulierbe. Ma non di una donna in generale, bensì di quella giuliana (triestina e goriziana), istriana, fiumana e dalmata tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Una realtà che ovviamente è accomunata al più ampio universo rosa, in fermento (leggi emancipazione) in quegli anni, ma che presenta caratteristiche e tematiche affatto specifiche, come del resto particolare è il contesto storico, sociale e culturale.
Sono uomini che amano le donne, quelli che hanno realizzato – allestito o dipinto – quest’omaggio …. al femminile, come recita il titolo dell’esposizione realizzata dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata, in collaborazione con il Sistema bibliotecario giuliano, la Società istriana di archeologia e storia patria e la Deputazione di storia patria della Venezia Giulia, attingendo, oltre che alle raccolte e alla biblioteca dell’IRCI, anche a significative collezioni private: libri, volumi antichi e preziosi, stampe, cartelloni e cartoline, dipinti, oggetti d’epoca, fotografie – di studentesse triestine e del Liceo provinciale femminile di Pola (anno 1907/1908), oppure delle dignanesi nei loro costumi tradizionali o, ancora delle donne della famiglia Quarantotti Gambini – rappresentativi. Inaugurata lo scorso 28 novembre, doveva essere una mostra “piccola”, di breve durata; invece è cresciuta già nel suo stesso divenire, trasformandosi in qualcosa di molto accattivante, incontrando un consenso di pubblico inaspettatamente ampio. In meno di un mese, ha superato quota 3.000 visitatori, cifre di cui si fregiano musei ben più grandi. Il successo e il notevole interesse ha spinto gli organizzatori a prorogarne l’apertura (doveva chiudere il 16 dicembre scorso) almeno fino all’Epifania (ma probabilmente, vista la richiesta, anche oltre). Rimane dunque visitabile, sempre a ingresso libero, tutti i giorni, dal lunedì al sabato dalle 10 alle 12.30 e dalle 16 alle 18.30; la domenica fino alle 17.

Bianco, rosa e verde

L’accompagna un catalogo che illustra soltanto in parte la ricchezza dei materiali librari, iconografici e altri offerti in visione, e che contiene contributi scritti del presidente dell’IRCI, Franco Degrassi, del direttore e curatore Piero Delbello, di Giovanna Paolin (Deputazione di Storia Patria della Venezia Giulia) e Annalisa Giovannini (Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, che si sofferma su “Nicolina de Gravisi-Barbabianca Madonizza, Bruna Forlati Tamaro, Margherita Guarducci: tre donne per la cultura dell’Histria terra”), oltre a Gabriella Ziani (che assieme a Roberto Curci firma Bianco, rosa e verde. Scrittrici a Trieste fra ‘800 e ‘900, ed. Lint, testo in cui in quasi 500 pagine è condensata la letteratura regionale al femminile). Il catalogo IRCI (94 pagine, edizioni Mosetti), condensa il senso della “nostra” letteratura “al femminile” e consente, grazie all’elenco dei libri in mostra, una visione d’insieme di tale produzione, suddivisa tra scrittrici e poetesse “antiche”, “moderne” e autrici di libri per l’infanzia. 

Lo scrigno aperto nel Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata è incentrato sulla produzione letteraria di una novantina di autrici che facevano parte di quel vivace mondo culturale, incorniciato in uno dei momenti più fortunati della storia di Trieste, cioè la seconda metà dell’Ottocento. Il pubblico ha riconosciuto la qualità dell’iniziativa, la cui durata che viene prorogata almeno fino all’Epifania

Ma ci sono anche giornaliste e traduttrici, personalità dall’attività poliedrica, non isolate nel loro “piccolo mondo antico”, ma molto attente a ciò che stava accadendo in Italia e in Europa, capaci di assorbire e rielaborare tendenze. Spiccano i nomi della parentina Lina Galli, Willy Dias, Haydée (alias Ida Finzi), Nerina Feresini, Annamaria Muiesan Gaspari, Ada Sestan e tante altre ancora. In tutto, una novantina di autrici – in buona parte sconosciute alle più vaste platee, ora riscoperte e valorizzate –, che facevano parte “di quel vivace mondo culturale, incorniciato in uno dei momenti più fortunati della storia di Trieste, cioè la seconda metà dell’Ottocento”, come spiega Gabriella Ziani. ll periodo in questione è il momento di maggior fulgore, con 550 riviste, giornali, fogli che ospitavano i saggi e i contributi di tante donne che si dedicavano allo scrivere, nelle sue varie forme e accezioni. Rotocalchi come “Femmina”, uscita nel capoluogo giuliano nel 1924 e 1925, con contributi anche di spessore (di Ada Sesta, Pia Da Rimini, Lina Galli), illustrata dal polese Marcello Claris, le testate liberty di Marcello Mascherini, le copertine di Gustavo Petronio, Giorgio Settala (Hiorgio Hirsch), Antonio Quaiatti (Quaiat), ad esempio. Oppure la tedesca “Zick Zack”, alle stampe a Monaco, con tavole di Marcello Dudovich (un’allusiva Die Romatischen, raffigura due viaggiatrici in treno in una posa molto libera, quasi fossero più che due semplici amiche).

MOSTRA 16
Giochi di forte impatto

Vezzose e impegnate (tanto in politica – in un periodo cruciale per i destini di queste terre, fra irredentismo e internazionalismo socialista –, oppure nel sociale, come l’albonese Giuseppina Martinuzzi), intellettuali e contadine, laboriose e al contempo “festaiole” – capaci, come osserva Lina Galli in Femmina istriana di godere delle cose più umili, come il canto, una semplice “passeggiata fino all’osteria di campagna dove sotto la pergola si beve il vino biondo”, o il gioco della tombola –, al contempo forti, sensibili e audaci. I titoli proposti nelle bacheche danno solamente un’idea della varietà e della ricchezza della produzione culturale e artistica “rosa”, i cui contenuti messi così stuzzicano l’interesse per eventuali ulteriori studi e approfondimenti. È la parte iconografica quella di maggior impatto: stampe, dipinti, acquerelli, ritratti (come di Margherita Tarabocchia, del primo Ottocento), disegni, bozzetti, studi, tutti tratti dalle collezioni dell’IRCI e da alcune raccolte private, che “giocano” sulla figura della donna, assurta a simbolo e interpretata da artisti locali di fama europea, come Giovanni Craglietto, Marcello Claris, Argio Orell, Carlo Wostry, Giuseppe e Pollione Sigon, Gustavo Petronio, Ugo Flumiani, Urbano Corva, i citati Metlicovitz, Claris, Dudovich, Quaiat, Settala. E tanti altri ancora.
Tra le artiste, spicca la fiumana Anita Anoniazzo Bocchina – spirito inquieto e curioso, è stata pittrice, fotografa futurista, scultrice, illustratrice e poi ancora insegnante, pubblicista, ricercatrice storica attenta alla conservazione dei monumenti culturali (memorabile il suo volume sul Cimitero monumentale di Cosala, a tutela delle tombe (ambito del quale si è occupato tantissimo lo stesso IRCI, al quale ha lasciato in eredità i suoi quadri – e Anita Pittoni, personaggio poliedrico, importante e significativo per la città di Trieste, di cui colpisce, per una serie di particolarità, un lavoro realizzato su carta… “ricilata” (come si evince dal retro). 
L’esodo chiude idealmente il percorso della mostra: saggi, memorialistica, emozioni affidate a prosa e versi, e testimonianze – come quella su Maria Pasquinelli (che in segno di protesta contro gli Alleati e le ingiustizie che venivano inflitte a Pola, uccise con tre colpi di pistola il generale inglese Robert W. De Winton) o la moglie e i figlioletti dell’eroe di Vergarolla, Geppino Micheletti –, la satira di Gigi Vidris, che ben riassume e riflette, ma anche sdrammatizza con la sua ironia, una delle pagine più dolorose del passato recente di quest’area, e la rottura dell’unità della Venezia Giulia.

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