Il coraggio è donna

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Il coraggio è donna

Di recente s’è avuto più volte occasione di rilevare come la storiografia stia dedicando una crescente attenzione alla storia al femminile nei suoi diversi aspetti e componenti. Di ciò si ha una piena conferma dalla più recente produzione editoriale relativa alle vicende del Novecento. Qualche anno fa (2006), infatti, il triestino Ramo d’Oro ha dato alle stampe Donne di frontiera. Vita, società, cultura, lotta politica nel territorio del confine orientale italiano nei racconti delle protagoniste (1914-2006), a cura di Gabriella Musetti e Marina Rossi; la Società Italiana delle Storiche nel 2008 ha dedicato un fascicolo monografico della sua rivista, “Genesis”, alleFlessibili/Precarie, mentre nel 2014 per i tipi di Viella ha fatto uscire, a cura di M.T. Mori, Di generazione in generazione. Le italiane dall’Unità a oggi; del 2010, invece, è il volume, a cura del Telefono Rosa, Le italiane. Dal Risorgimento ai nostri giorni, 150 anni di storia nazionale raccontati attraverso le biografie delle protagoniste della politica, della cultura, della scienza, dell’economia e dello sport (Castelvecchi); nel 2011 Laterza di Perry Willson ha tradotto Italiane. Biografia del Novecento. 

Il Mulino ha appena pubblicato Donne nel Sessantotto, di autrici varie, mentre Iacobelli editore ha dato alle stampe Tutte le anime del mio corpo. Diario di una giovane partigiana (1943-1945), di M.A. Moro, che rientra a pieno titolo in quel filone bellico cui appartiene pure il saggio di Stefania Catallo La memoria scomoda della guerra: le Marocchinate, a cura del Centro antiviolenza Marie Anne Erize (Universitalia), che si riferisce alla tragica vicenda che ha ispirato “La Ciociara”di Alberto Moravia e il relativo film di Vittorio De Sica, con Sophia Loren. 
Il tema della violenza contro le donne è stato affrontato pure nei volumi Stupri di guerra. La violenza di massa contro le donne nel Novecento, a cura di Marcello Flores (Angeli), e Senza via di scampo. Gli stupri nelle guerre mondiali, di Michele Strazza (Consiglio Regionale della Basilicata). Due anni fa Rosanna Turcinovich Giuricin ha pubblicato con Comunicarte Maddalena ha gli occhi viola, che raccoglie la testimonianza d’una delle poche sopravvissute all’orrore dei campi di sterminio tedeschi. Infine, in 1918: basta con la guerra! Scioperi politici, ammutinamenti, diserzioni di massa, di Marina Rossi (Editoriale Programma), appena uscito, in molte delle fotografie che corredano il testo, relativo all’ultimo anno di guerra nell’impero asburgico, si vedono in primo piano donne operaie, infermiere, scioperanti, a fianco dei compagni uomini nelle battaglie per la pace. Va, inoltre, rilevata la concomitante e crescente affermazione della storiografia femminile: non è certo un caso che gli ultimi volumi segnalati in questa sede siano tutti firmati da studiose di qualità.

Diversi ruoli

In tale panorama storiografico si colloca ora il volume, fresco di stampa, Tutte per la Vittoria. Femmine, fate, massaie nella propaganda bellica 1915-1918(Kellermann, pagine 80, euro 15), di Camilla Peruch, giovane studiosa esperta di didattica della storia, che con il medesimo editore aveva già pubblicato La storia ritrovata del soldato Jòzsef Kiss. Dal Piave alla Bàcska alla Valle dello Jiu, e, insieme con Sonia Santin, Piave e Grande Guerra e Il Corriere dei Piccoli va alla guerra, puntuale indagine sull’uso propagandistico patriottico anche di giornali per l’infanzia, un tema, questo, indirettamente trattato da Sergio Luzzatto nell’elzeviro dell’inserto culturale del “Sole 24 Ore” del 7 agosto 2011 Il Risorgimento in versi, e nel saggio di Suzanne Stewart-Steinberg L’effetto Pinocchio: Italia 1861-1922. La costruzione di una complessa modernità (Elliot).
Questo nuovo contributo – che trova un significativo precedente in Donne nella Grande Guerra, di varie autrici (Il Mulino), con introduzione di Dacia Maraini, cui si deve pure la prefazione del presente studio, e che non a caso appare in occasione del centenario del 1918 –, corredato d’un ampio e accurato apparato iconico, che riproduce copertine di settimanali, cartoline, fotografie, vignette umoristiche, illustranti l’apporto femminile alla Nazione in armi o irridenti al nemico, per più versi si ricollega a quello di Irene Bolzon, segnalato nello scorso n. 7 della rivista, e s’articola in otto agili capitoli (oltre a un’essenziale nota bibliografica), scritti in maniera molto chiara e discorsiva, che riproducono fedelmente il contenuto d’un ciclo di conferenze tenute dall’autrice in Norvegia nelle varie sedi dei locali comitati della Società “Dante Alighieri”, istituzione benemerita, dalla fondazione (1889) – dovuta all’impegno d’un gruppo di intellettuali guidati da Carducci – impegnata nella tutela, promozione e diffusione della lingua e cultura italiana all’estero, e il cui comitato triestino ha in programma una presentazione autunnale dell’opera in oggetto.
I temi affrontati sono, nell’ordine: “Donne di ieri e di oggi”, “Pallide identità”, “Casa e Chiesa”, “Massaie della guerra”, “Fate guaritrici”, “Mani operose”, “Prede dei barbari”, “Donne di domani”, che consentono una lettura a tutto campo dell’argomento, ormai imprescindibile per comprendere la portata epocale d’un evento come la Grande Guerra. Dopo aver ricordato il radicale pacifismo di Bertha von Suttner – amica e consigliera di Alfred Nobel, dal quale ottenne l’istituzione del premio Nobel per la Pace (1901), che lei stessa conseguì appena nel 1905 –, e l’impegno già nel 1854 della scrittrice femminista norvegese Camilla Collet per l’emancipazione del proprio sesso, l’autrice mette giustamente in rilievo il fatto che la donna, per quanto sino allora priva di diritti sostanziali, sottoposta all’autorità maschile, relegata nell’ombra, con lo scoppio del conflitto venne “scoperta” dalla propaganda, che la esaltò in ogni modo. Tant’è vero che essa rappresentò la Vittoria e, riprendendo una tradizione secolare, la stessa Italia, come documentato da Nicoletta Bazzano in Donna Italia. Storia di un’allegoria dall’antichità ai giorni nostri (Colla ed.), sia ponendone in rilievo l’operosità al servizio della Patria nei diversi ruoli che era stata chiamata a ricoprire nelle fabbriche, negli uffici e nei servizi, sia valorizzandone il fascino erotico, visto come un premio (con tutto quel che ne poteva conseguire) per i soldati in licenza o reduci dal fronte, sia sottolineandone il ruolo nell’educazione in chiave patriottica dei figli, che dovevano essere pronte a sacrificare per la causa nazionale, così come la sottoscrizione dei prestiti nazionali per finanziare l’immane sforzo bellico e la fedeltà ai prodotti dell’industria italiana, tutt’al più anche dell’Intesa, ovviamente aborrendo quelli del nemico.

donne prima guerra mondiale

Manipolazioni e violenze

A essa, inoltre, furono affidati compiti sino allora quasi esclusivamente propri della Chiesa, come la beneficenza e il volontariato, donde l’attività nelle istituzioni caritative e assistenziali in pro delle famiglie più disagiate, che, prive dell’apporto degli uomini al fronte, vivevano in miseria assoluta, e di conforto ai feriti negli ospedali, a parte le infermiere e le crocerossine, particolarmente elogiate dalla stampa e glorificate dall’apparato iconologico, di cui nel saggio sono forniti copiosi esempi – non a caso in copertina è riprodotta una cartolina che raffigura una di loro, ammiccante, tra l’altro, a un ufficiale convalescente –, mostrandole, però, sempre in ambienti accoglienti e decorosi, che non lasciavano immaginare quello che era il volto autentico della guerra, mentre era volutamente ignorata la realtà, ben diversa, degli ospedali da campo nelle immediate retrovie del fronte, dove la maggior parte d’esse si trovò ad operare e, sovente, a morire; al riguardo si tenga presente che la propaganda si guardava bene dall’illustrare il volto orrendo della guerra, rappresentata sempre come qualche cosa di bello e romantico, come, del resto, s’è già visto nel libretto della Bolzon.
Tutti questi inenarrabili sacrifici, però, glorificati dalla propaganda durante la guerra, furono ignorati alla sua conclusione, perché le donne furono costrette a rientrare nell’ombra, ottenendo soltanto limitati riconoscimenti giuridici e dovendo attendere il secondo dopoguerra per vedere riconosciuti i propri diritti sociali e civili, mentre le consorelle francesi e inglesi li avevano ottenuti già dopo il 1918 quale riconoscimento del loro fondamentale apporto alla vittoria e quelle russe nel 1917 con la rivoluzione. Da ultimo viene trattato un risvolto “demonizzante” della propaganda, che mostra sempre il nemico come un barbaro e un selvaggio, pronto a stuprare e a violentare le donne viventi nei territori occupati; se effettivamente episodi del genere vi furono su tutti i fronti, non si trattò comunque d’un fenomeno generalizzato; in merito si veda anche il volume di Bruna Bianchi Nella terra di nessuno. Uomini e donne di nazionalità nemica nella Grande Guerra (Salerno ed.).
Le pagine finali della Peruch mettono in evidenza il lungo percorso sulla via dell’emancipazione compiuto dalle italiane in questi ultimi cento anni, nonostante tutto e contro tutto, ma riescono pure – facendo un confronto con la ben più progredita situazione norvegese, conosciuta di persona nella sua missione per la “Dante”, dove le donne hanno la piena parità anche ai vertici statali – un interessante e valido apporto alla conoscenza di quella questione femminile così abilmente manipolata e strumentalizzata durante il primo conflitto mondiale.    

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