Final Fantasy IX: Il ritorno dell’incanto perduto

Un tributo nostalgico alla tradizione della serie, tra maschere, ricordi e mondi sospesi tra fiaba e malinconia

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Final Fantasy IX: Il ritorno dell’incanto perduto
Foto: Shutterstock

Dopo due episodi segnati da sperimentazioni ardite, ambientazioni futuristiche e meccaniche complesse, Final Fantasy IX giunge nel 2000 come un’opera che guarda indietro con affetto e riverenza, recuperando lo spirito originario della saga e proiettandolo in una cornice moderna. È come se, dopo aver attraversato le inquietudini postmoderne di FFVII e le ambiguità temporali di FFVIII, Square avesse deciso di compiere un atto d’amore verso le proprie radici, offrendo ai fan di lunga data un capitolo che riabbraccia le atmosfere medievali, le classi tradizionali, i castelli, le navi volanti e i misteri arcani. Eppure, sotto la superficie di questo omaggio nostalgico, FFIX cela una profondità emotiva e una consapevolezza metanarrativa che lo rendono uno degli episodi più sfaccettati e poetici dell’intera saga.

Il gioco si apre con una scena teatrale, introducendo il protagonista Gidan, un ladro spavaldo ma dal cuore gentile, e il suo gruppo di attori-pirati impegnati in un rapimento che si trasforma in una fuga rocambolesca. La principessa Garnet, desiderosa di sfuggire alla propria gabbia dorata, si unisce volentieri a loro cambiando il suo nome in Daga e dando inizio a un’avventura che coinvolge un cast corale tra i più memorabili: Vivi, il piccolo mago nero alla ricerca del senso della propria esistenza; Steiner, il cavaliere impacciato ma leale; Eiko, la giovanissima sciamana legata a un passato dimenticato; Freija, la draghiera dal cuore spezzato; Amarant, il mercenario in cerca di risposte e Quina, personaggio bizzarro al limite della caricatura ma emblema della libertà espressiva che permea tutto il gioco. Ogni membro del gruppo contribuisce con una storia personale intrecciata al tema centrale dell’identità e della memoria, rendendo il viaggio, oltre che epico, profondamente umano. Sul piano del gameplay, Final Fantasy IX rappresenta un ritorno alle meccaniche classiche della saga, rielaborate con sensibilità contemporanea. Il sistema di combattimento Active Time Battle è ancora presente, ma con un ritmo più calibrato e una chiara suddivisione dei ruoli. Ogni personaggio ha una classe definita e abilità esclusive: Gidan come ladro, Vivi come mago nero, Steiner come cavaliere, Daga ed Eiko come invocatrici e maghe bianche. Questa scelta contrasta con la tendenza degli episodi precedenti alla flessibilità estrema, riaffermando l’importanza della complementarità strategica nel party. Le abilità si apprendono equipaggiando armi e accessori, accumulando AP (Ability Points) fino a poterle padroneggiare in modo permanente, un sistema che ricorda da vicino quello degli Esper di FFVI o dell’equipaggiamento in FFVII, ma reso più chiaro e immediato. Le invocazioni, qui chiamate Eidolon, tornano a occupare un ruolo narrativo centrale, legate a doppio filo alla storia di Daga ed Eiko, e diventano simboli di potere ma anche di distruzione incontrollata, facendo eco alle invocazioni giganti di FFVII ma inserite in un contesto più mitologico. Allo stesso modo, l’esplorazione del mondo si svolge con la classica world map, i villaggi pittoreschi, le foreste incantate e le città cosmopolite, recuperando quel senso di meraviglia che era stato sacrificato sull’altare del realismo tecnologico nei due capitoli precedenti. Narrativamente, FFIX è un inno alla memoria, all’oblio e al valore dell’effimero. Vivi, forse il personaggio più amato del gioco, incarna con struggente semplicità il dramma dell’essere programmato per una fine imminente, ma deciso a vivere intensamente ogni momento. Gidan scopre lentamente la verità sulle proprie origini, confrontandosi con Kuja, antagonista tragico e teatrale, la cui ricerca di potere è in realtà un grido disperato contro l’insignificanza dell’esistenza. Il tema dell’identità come maschera attraversa tutto il gioco, dalla compagnia teatrale iniziale al castello dell’illusione, sino allo scontro finale in un luogo dove tempo, spazio e memoria si dissolvono. Dal punto di vista tecnico, FFIX è il canto del cigno della PlayStation originale. La grafica, pur limitata dall’hardware, brilla per direzione artistica e cura nei dettagli: ogni ambientazione sembra uscita da un libro illustrato, con colori vivaci, architetture ricche di personalità e animazioni espressive. Il character design torna a essere più stilizzato in contrasto con il realismo di FFVIII ma perfettamente coerente con il tono fiabesco dell’opera. Anche la colonna sonora di Nobuo Uematsu, probabilmente una delle sue migliori, accompagna con grazia ogni scena, alternando leggerezza, epicità e malinconia in un equilibrio perfetto. Brani come “Melodies of Life”, tema principale del gioco, racchiudono lo spirito di FFIX: un canto dolceamaro che celebra la bellezza di ciò che è destinato a scomparire.
Final Fantasy IX è dunque un ritorno alle origini pienamente conscio che i tempi passati non tornano. È un gioco che, proprio attraverso la sua apparente semplicità, riesce a parlare con profondità di temi fondamentali offrendo un’avventura che emoziona, diverte e commuove. In continuità con i due capitoli precedenti prosegue il percorso di introspezione della saga ma lo fa con un linguaggio più tenue e più saggio, quasi consapevole della propria natura di addio a un’epoca. Ed è forse proprio per questo che, a distanza di anni, la nona fantasia finale continua a risplendere con una luce tutta sua: quella delle storie che non temono di guardarsi indietro per ritrovare sé stesse.

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